Tutti questi bambini. Gente pensata a propria immagine e somiglianza. E invece no; occhio miope di Dio, direbbe Orbhur. Inermi e filiformi creature, lune nuove a buon mercato; offre la natura: un terreno se nasci numero tre, un cavolo per pancia. Questo attaccamento patologico alla vita, al bene forzato degli scambi cellulari. Codardi, direbbe Orbhur. Tutti questi bambini senza lingua, con un cuore piccolo di lepre e orecchie dritte, e corrono, corrono da fermi lontano dai giganti. Orbhur accanto a loro, a tavola; steso nel letto, il respiro sulle loro schiene; Orbhur con la cassetta degli attrezzi, pronto a smontare la tentazione di esistere.

Il bambino senza lingua vedeva la schiena di cose belle: una spina dorsale, a volte squame, un paio d’ali. I muri della sua stanza erano fogli colorati, bianco e nero, due centimetri per due di pietra grezza; i tre strati del mondo. Tra i colori c’erano i sogni, nel secondo strato la delusione, rannicchiata sulla pietra grezza, la malinconia. Orbhur in divisa e un registro sottobraccio; un freddo appello a cui il bambino senza lingua non sa rispondere. Le parole sono in gola, mute come pesci, una lisca infilata nel palato. Bambini e pesci non imparano mai, sempre appesi agli ami. Esche: crisalide, orsetto, verme di terra e, come in una favola, appare la regina per la pesca al colpo.

Eutrigla gurnardus. Occhi a forma circolare e bocca ampia. Le pinne dorsali hanno raggi spinosi e molli. Ecco le ali del pesce, pensò il bambino. La livrea varia dal rosso mattone al violaceo. Abbocca alle lenze, sottolineò con il dito. Pulizia e trattamento: praticare un’incisione sul ventre per eliminare le interiora. Un taglio di lama, veloce, secco in mezzo agli occhi. Spillo porta pesci inserito nelle branchie, arriva dritto al cervello. Quanta crudeltà, chiuse gli occhi.

Io sono il mio corpo. Sono il bambino curvo sotto il castagno, l’occhio che disegna gli oceani, seduto nella gola del pesce. Sono la carne nello specchio, il mondo mi attraversa. Cerco il Dio nascosto, il suo taglio di luce nella notte, e le parole, che si aprono piano e schiudono i gigli. Tengo a bada un esercito di fantasmi mentre Orbhur sgrana la fede nella misura del mondo.

Tutti questi bambini che vedono ciò che non esiste, disse Orbhur. Pensano che il mondo sia mosso da fili invisibili e da cose belle, e invece no. A sentirli, li prenderebbero per pazzi. L’illusione: una bolla di sapone per circensi. E mentre punta il dito in aria, puf, cadono i sogni, i bambini e cose belle. Eccoli in guazzetto sulla pietra grezza, fuoco lento e malinconia. Aggiungere il burro del sacrificio. Lucidare le squame; l’integrità del pesce, un vestito di paillettes.

Ottobre dai colori mutevoli, per mano tua cade la vita. E le nubi?

Il bambino senza lingua prese il sentiero per cose belle. Arrivò al fiume e si immerse di schiena, trattenendo il respiro; nel mondo silenzioso, creature minuscole si agitavano per sopravvivere. Guardò i pesci e le uova schiuse, le piante acquatiche dondolavano con ritmo regolare. Sciacquare bene fino a quando non esce più sangue. La saignée doit être effectuée avant qu’il ne reprenne conscience. In quel mondo meraviglioso, il suo corpo era freddo: non nascevano squame, non un accenno di ali, nessun insetto a portarlo via. Serve coraggio per sognare cose belle, fili invisibili e parole che schiudono i gigli, rimanere immobili e diventare la parte pesante del mondo.

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Immagine di copertina: Laura Fortin, Dear Carol.