Traduzione a cura di Maria Cristina Cavassa.
In “Alberto Laiseca: Tensiones en el realismo delirante y su relación con la crítica literaria argentina. Un abordaje discursivo de su propuesta estética y ética” tesi di dottorato di Maria Celeste Aichino per l’Universidad Nacional de Cordoba, 2017.

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Com’è fortunato il lettore di autori: ogni nuovo libro,
quando gli porta qualcosa di nuovo,
una nuova variazione della stessa cosa,
gli offre di incontrare ancora l’affascinante prima volta
della scoperta di un mondo
ALBERTO GIORDANO

Uno scrittore geniale che, scrivendo,
ci dice, o meglio, ci esorta:
leggetemi e leggetemi ancora, leggetemi una e un’altra volta,
leggetemi sempre. Come resistere, dunque?
Laiseca, o una definizione impossibile del genio letterario:
l’autore che leggiamo senz’altra ragione
che continuare a leggerlo
GUILLAUME CONTRÉ

 

Amare l’opera di Alberto Laiseca implica quasi una devozione. Lo stesso Piglia nota che: «Laiseca è un grande scrittore ma non è Saer, non è Puig; in altre parole, affinché la sua prosa funzioni il lettore dev’essere incondizionato, un fanatico[2]».
Capire appieno le sue finzioni è possibile quando la lettura è avallata dall’appartenenza a una comunità di discorso che condivide alcune conoscenze e una posizione di fronte alla vita. Il concetto di comunità di discorso di Michael Halliday viene preso da Linda Hutcheon e riformulato per spiegare il funzionamento dell’ironia. Implica che l’appartenenza a una comunità che condivide alcuni valori e conoscenze permette al soggetto di riconoscere l’ambiguità di un messaggio ironico e superare la lettura letterale che ne farebbero le persone estranee a tale comunità. Hutcheon si differenzia da altri teorici che postulano che tale comunicabilità si generi dal messaggio ironico stesso per postulare che l’appartenenza preceda la comunità e renda possibile il riconoscimento e l’attivazione del messaggio secondo (ironico).
Nel caso della letteratura di Laiseca, ci arrischiamo a dire che è soprattutto la sua opera a generare una comunità, i lettori di culto, i quali incorporano, attraverso un’opera iniziatica particolare, certi codici che consentono loro di decodificare nei giusti termini le letture successive.
L’opera di Laiseca ammette molti tipi di lettori, ma a sua volta stabilisce determinati codici ristretti mediante i quali costituisce un lettore speciale, un “lettore di culto”. Non si tratta esclusivamente di meccanismi testuali e di effetti dell’opera, bensì del fatto che questi elementi sono strettamente vincolati alla figura dell’autore di cui abbiamo precedentemente parlato[3].

Il lettore di Laiseca accetta la realtà proposta dall’autore, più prossima alla categoria di verità, perché ha incorporato i codici necessari grazie alle letture realizzate e a un’attitudine rispetto a tali letture che implicano non solo il “come se” caratteristico di ogni finzione, ma anche un modo specifico di capire realtà, finzione e delirio.
Il realismo delirante si oppone a ciò che è intersoggettivamente vero di un segno, secondo quanto proposto da Pierce e ripreso da Eco[4], poiché spoglia l’interpretante finale del suo carico sociale stabilito. Questo permette ai lettori di ridere del porno e di leggere la tortura in termini umoristici, sebbene il discorso sociale dominante faccia una lettura politica e storicamente situata della tortura associandola all’ultima dittatura militare e ai desaparecidos e, da tale nesso, ne vincoli la semiosi a effetti seri e di condanna. L’assenza di riferimenti al periodo (e quasi in generale alla storia argentina) e il tono ludico con cui le scene vengono descritte disattivano tale lettura, non per ogni lettore ma sì per un lettore di culto che ha incorporato i codici (l’enciclopedia) per una lettura singolare di tutti i testi firmati da Laiseca.
L’accettazione e l’adesione a certa etica vitalistica forniscono la chiave per leggere le sue finzioni politicamente scorrette in maniera non letterale, bensì in maniera ironica, e la lettura di varie o di tutte le sue finzioni permette di riconoscere le battute familiari di cui parleremo più avanti e di muoversi con abilità nel sistema di riferimenti all’opera stessa e alle interviste nelle quali si costruisce come un personaggio coerente con tale produzione letteraria.
Il riconoscimento di una base reale, materiale, sulla quale si posa e della quale si nutre il realismo delirante permette, come già segnalato, l’adesione da parte del lettore a un senso che si conforma al di fuori o al di sopra delle regole della logica e del “bello scrivere”. Si tratta di una battaglia contro i bravi scrittori, e le armi con cui li affronta sono una scommessa sull’eccesso: se a questi scrittori (e lettori) danno fastidio i gerundi «mal utilizzati», egli «Indubbiamente, ferocemente, orribilmente» offrirà loro non solo «tali gerundi, ma avverbi, frasi germanizzate, virgole prima del verbo, rime, iati e dissonanze del più puro e classico ceppo atonale, aggettivazione eccessiva, ecc.[5]».

Tra i suoi possibili lettori ci saranno nemici e alleati. I primi saranno i dubbiosi e i pensanti, coloro che non si lasciano trasportare dalla finzione, che non praticano il culto laisechiano, e ai quali raccomanda, senza peli sulla lingua, «che lo prenda(no) in culo. Come dice Carlos Calanternik: “Inizi da qui”[6]». Al contrario, gli alleati saranno i lettori di culto, coloro che si meravigliano del barocchismo delle sue finzioni senza far caso alle banalità del “dover essere” dello scrittore. Nelle sue interviste abbiamo anche un esempio dei suoi insegnamenti come docente di laboratori letterari:

Agli alunni dico che se vogliono imparare la grammatica devono andare altrove. Io, in particolare, ho imparato da grande. A scuola ero negato e non capivo niente. Ritengo che sia qualcosa che arriva con il tempo. Se qualcuno scrive frasi molto contorte o ripete parole o usa molti avverbi do qualche indicazione, ma generalmente non dico niente. Quello che mi interessa è che gli alunni lavorino su cose sulle quali non avrebbero mai immaginato di lavorare. Assegno loro delle consegne e chiedo di scrivere. Spesso assegno quanto segue: «Un ragazzo viene invitato a trascorrere un fine settimana in una fattoria e incontra dei maiali, li vede mangiare e prova paura». Racconto questo e chiedo loro di inventare una storia, con l’introduzione, lo sviluppo e il finale. L’idea è far sì che percorrano mondi sconosciuti, perché è così che si cresce. (…) Non mi importa che cambino tutto ciò che do loro. Voglio soltanto che mi raccontino una storia e mettano in movimento la loro immaginazione[7].

D’altronde, il lettore di Laiseca in qualche modo funziona come un “collezionista”. In un primo senso ovvio, si trova la feticizzazione dell’oggetto libro. La prima edizione de Los sorias fu un evento tanto posticipato quanto annunciato, e quando finalmente trovò l’editore che ebbe il coraggio di intraprendere l’avventura, si limitò soltanto a 350 esemplari, per lo più prevenduti e numerati. Coloro che hanno acquistato tali esemplari hanno la tendenza a esibirli come oggetti unici e a presentare se stessi come dei privilegiati[8]. L’edizione illustrata del Manual sadomasoporno è anch’esso un oggetto che difficilmente conserva il proprio valore se viene fruito su fotocopie o in formato ebook. La stessa cosa accade con l’ultima opera pubblicata in vita da Laiseca, La madre y la muerte, un adattamento dell’autore di un racconto di Christian Andersen in cui le illustrazioni di Nicolás Arispe sono le protagoniste, cosa che non impedisce che i lettori devoti di Laiseca desiderino incorporare tale volume allo scaffale con le opere dell’autore.
Apportiamo un’ultima considerazione che rafforza ciò che stiamo affermando sulla feticizzazione dei libri di Laiseca. Tra i miei “amici” di Facebook si annoverano certi lettori di Laiseca che professano la loro ammirazione per l’opera dell’autore, alcuni di loro hanno svolto delle ricerche sulla sua opera per l’accademia o in modo informale. Uno di loro ha omaggiato l’autore nel giorno della sua morte con un post che includeva la fotografia dei libri di Laiseca di sua proprietà, molti in prima edizione. Crediamo di leggere in questo gesto una differenziazione, un desiderio di distinguersi rispetto agli altri lettori “ultimi arrivati” (che hanno avuto accesso alle opere di Laiseca tramite fotocopie, prestiti e seconde edizioni) e rispetto a chi potrebbe averlo letto in modo intermittente[9].
Ma ci sono altri modi in cui la metafora della collezione ci può essere d’aiuto per capire il comportamento che ci si può aspettare da parte dei lettori di Laiseca. La sua abbondante opera costituisce una serie nella quale le similitudini e le differenze permettono di stabilire serie interne secondo diversi criteri: il genere, la tematica, l’esotismo, i personaggi che si ripetono, gli episodi che rimandano alla “grande opera” (Los sorias), ecc. La sua opera come totalità in qualche modo ha funzionato come un’eterotopia, poiché ogni volta che una nuova opera veniva integrata alla precedente totalità, costringeva a una rilettura. Un lettore “comune”, che non si consideri un cultore dell’opera laisechiana, può affrontare ogni opera singolarmente senza fare riferimento alla totalità, ma il comportamento del lettore che qui analizziamo non solo cercherà i nessi tra le opere, ma cercherà inoltre di completarne il senso facendo riferimento alle interviste pubblicate, alle conferenze e alle presentazioni dei libri, gli aneddoti raccontati dai discepoli, potrebbe persino tentare di diventare un discepolo egli stesso, iscrivendosi al suo laboratorio di scrittura o avvicinandosi a casa sua (finché è stato possibile) con una birra a temperatura ambiente sottobraccio, come raccomandava un mito piuttosto diffuso.
Questo atteggiamento di culto e della centralità che acquisiscono i discepoli per capire l’accoglienza dell’opera laisechiana diventa evidente nell’inclusione del supplemento della rivista «El ansia», nel quale tre articoli hanno come protagonisti (o coprotagonisti) i giovani scrittori che professano devozione allo scrittore. Piccola biografia amorosa narra un incontro con «il nucleo duro del seguito laisechiano». Lì, Juan Guinot, Leonardo Oyola, Sebastián Pandolfelli, Alejandra Zima, Natalia Rodríguez Simon e Selva Almada (presentati come discepoli ed ex discepoli di Laiseca) si riuniscono per parlare dello scrittore. «Parlano dei loro inizi con Lai. Parlano di flash. Dicono che iniziare un laboratorio con lui “ti spacca dalla testa in giù”, “ti apre”. Parlano di questo: di esperienza[10]». Tuttavia, chiariscono che non tutti coloro che giungevano al laboratorio poi vi restavano, che dovevano superare un’iniziazione, restare pazienti di fronte al silenzio dello scrittore sui loro scritti, finché a un certo punto arrivava la ricompensa. Formano un “noi”, gli iniziati, a fronte degli altri, di quelli che non capiscono, quelli che “fanno una gaffe” e vengono redarguiti dal Maestro. Dicono che «Bisognerebbe inventare una leva per eiezione, ma per noi, che già conosciamo il codice. Perché c’è sempre qualcuno che arriva e gli chiede: E lei crede in Dio? E lì vorresti premere il pulsante e sparire, perché sai già che andrà per le lunghe. O peggio, quelli che dicono: Non ha mai pensato di smettere di fumare?[11]». All’interno del noi gli intervistatori percepiscono addirittura non solo la vicinanza allo scrittore, bensì anche una certa competitività latente tra i discepoli sui gradi di tale prossimità, una «lacerante inquietudine»: «Lai ci ama tutti allo stesso modo? È più vicino a qualcuno? Più lontano da altri? Condivide qualcosa con lui che non condivide con me? C’è un Lai che parla alle mie spalle? Ci sono altre facce di Lai che non conosco?[12]».
Il secondo articolo è di Guinot e si intitola: A Camilo Aldao con Laiseca y Leo e racconta proprio l’esperienza di dirigersi verso il villaggio nel quale lo scrittore è cresciuto assieme a lui e all’altro discepolo (Oyola); mentre il terzo è scritto da Almada e si chiama La mesa vaticana. In entrambi gli articoli predomina il tono intimista, l’aspetto sentimentale, l’avvicinamento all’uomo/personaggio che si nasconde dietro il nome e le finzioni, ma non si fa menzione (se non secondariamente) del suo stile, i suoi temi, le sue narrazioni. Le proiezioni o i residui degli scrittori nei loro successori, che nella rivista «El ansia» costituiscono la chiusura di ogni singolo approccio autorale (che in quel primo numero si dedica anche a Marcelo Cohen e Hernán Ronsino), per la “Sezione Laiseca” si sfuma e abbraccia ogni cosa, come se dicessimo “Laiseca è ciò che genera”. Sulla copertina della rivista, ogni autore scelto per quel numero viene definito con un sostantivo. A Cohen si attribuisce il mistero; a Ronsino, il mondo; mentre a Laiseca viene assegnato “una religione”. Il Dio, il culto, i discepoli che lo adorano.
Dopo la morte di Laiseca, nel dicembre 2016, alcuni dei suoi discepoli gli hanno dedicato parole di commiato in cui si evidenzia l’eccentricità del Maestro, la sua intimità e generosità, e una certa dovuta devozione. Leandro Ávalos Blancha ricorda la prima volta che frequentò il suo laboratorio, quando arrivò presto e Laiseca gli manifestò il suo disgusto per l’anticipo. «Il laboratorio aveva i suoi codici, i piccoli particolari che potevano irritare il Conte. Di quali cose non parlargli. Quali domande evitare[13]».

Molte volte ci si interroga sull’utilità di un laboratorio letterario. Non so cosa saremmo stati noi, i suoi discepoli, senza Lai. Ci ha dato sempre il migliore degli esempi. Il suo impegno nei confronti della letteratura e del lavoro era assoluto. Provava molto quando doveva raccontare o prendere parte a una lettura, come se per lui fosse la prima volta. Sopra ogni altra cosa ci ha fatto scoprire il piacere della scrittura, e quanto sia meglio imparare il mestiere condividendolo con altri [14].

Zima, da parte sua, indica il carattere eccezionale della relazione che l’aveva unita a Laiseca e ricorda a sua volta aneddoti relativi alla sua partecipazione al laboratorio di scrittura.

Non ho mai detto maestro a nessuno, anche se ho avuto molte persone importanti che mi hanno insegnato. Ma Lai è il maestro indiscutibile, con lui ho iniziato a scrivere sul serio, con lui ho iniziato a leggere libri che non sapevo che esistessero, con lui e con i miei compagni di laboratorio, che sono diventati colleghi e amici cari. Lui favoriva tutto questo. Si cresce assieme agli altri. Per adottare un maestro bisogna abbandonarsi, bisogna abbandonarlo. Non è una relazione facile, si ama e si soffre[15].

Per tornare alla rappresentazione del lettore modello presente nelle finzioni laisechiane, occorre evidenziare che in molti casi questa si fa esplicita. Questi alleati lo saranno incondizionatamente, e rispondono in qualche modo agli spiriti liberi nietzschiani[16] in quanto si permettono di superare dicotomie culturalmente fissate rispetto a cosa sia valido o non valido esteticamente, cosa sia accettabile in termini morali e cosa no, cosa sia logico e cosa no. Nel Balneario de los crotos, un clochard avverte un altro: «ciò che sto per riferirle è un racconto solo in parte. Con la chiaroveggenza che la caratterizza, non dubito che lei sarà capace di intravedere la verità del dislocamento delle esagerazioni[17]».
Il lettore di culto laisechiano è colui che si permette di farsi trascinare dal delirio, dalla proliferazione che esige una pazienza superiore a quella a cui sono abituati altri lettori, che si permette di seguire una trama apparentemente priva di senso finché arriva un colpo di scena che permette di unire tutti i frammenti fino ad allora scollegati, o persino che non lo fa, per cui il senso si conforma in ogni lettore grazie alla conoscenza previa dell’opera di Laiseca o tramite il riempimento con un’etica/estetica alla quale è abituato.

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[2] Citato in Bêgné 2016.

[3] A questo proposito, è interessante recuperare il modo in cui John Waters definisce se stesso e la relazione tra lui e i suoi lettori. In Role Models leggiamo: «(sono) un cineasta di culto il cui pubblico ha un nucleo che consiste, indipendentemente da quante volte abbia cambiato schieramento, in minoranze che non riescono neppure a coincidere con le proprie minoranze» (Waters 2012, 12). In questa citazione due sono gli aspetti secondo noi rilevanti per pensare a Laiseca e ai suoi lettori: l’esistenza di una certa incondizionalità e l’eccentricità o marginalità del pubblico/dei lettori (che non appartengono interamente a nessun sottogruppo: né generazionale, né di genere, né professionale, ma che decidono di guardare o leggere prodotti culturali che non rispondono al mainstream).

[4] Eco 2013, 62.

[5] Laiseca 2011, 39.

[6] Laiseca, 2011, 353.

[7] Marcos, 2008.

[8] Un aneddoto che illustra la questione fu la consegna da parte di Claudia Kozak del suo capitolo per Sinfonía para un monstruo, in cui l’inclusione de Los sorias nella bibliografia aggiungeva ai dati richiesti da Eduvim (autore, titolo, editore, anno e città di pubblicazione, numero delle pagine, come si usa in ogni elenco bibliografico) il numero del volume, quel dato prezioso per il lettore di culto-collezionista che stiamo descrivendo.

[9] Questo gesto è tipico dei fruitori di culto, sia di letteratura, sia di musica o cinema, che sono soliti “litigare” per stabilire chi sia stato il primo a scoprire un’opera o un autore.

[10] Espinosa, 2013, 234.

[11] Espinosa 2013, 237-238; evidenziazione nostra.

[12] Espinosa 2013, 242; evidenziazione nell’originale.

[13] Ávalos Blacha, 2016

[14] Ávalos Blacha, 2016. Notiamo la familiarità e l’affetto presenti negli epiteti utilizzati per nominare Laiseca: “Lai”, “Conte”, in un altro punto del testo vi si riferisce come “il Mostro”.

[15] Zima 2016.

[16] In Umano, troppo umano, Friedrich Nietzsche si riferisce agli spiriti liberi come coloro che hanno spezzato i lacci di ciò che si considera non questionabile nell’epoca in cui vivono. Uno spirito libero è colui che: «Con una risata cattiva capovolge le cose che trova velate, risparmiate d’un qualche pudore: vuol provare come esse appaiano, quando sono messe a testa in giù. Per puro capriccio, per puro gusto del capriccio, rivolge adesso il suo favore a quanto finora è stato in cattiva fama: s’aggira, curioso e tentatore, intorno alle cose più proibite. Sul fondo della sua agitazione, del suo vagabondaggio […] incombe il punto interrogativo di una curiosità sempre più pericolosa: Non si possono capovolgere tutti i valori?» (Nietzsche 2013, 6).

[17] Laiseca 2004 a, 32.

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Bibliografia

Ávalos Blacha 2016 = Ávalos Blacha L., “El goce de la escritura”, «Página/12», Buenos Aires, 26 dicembre 2016.

Begné 2016 = Begné Y., “La imaginación tiránica del maestro zen” (entrevista), «Revista Anfibia», 2016.

Eco 2013 = Eco U., Lector in fabula, Editorial Sudamericana, Buenos Aires, 2013, [1979].

Espinosa 2013 = Espinosa F., “Pequeña biografía amorosa. Un encuentro con el núcleo duro de la estela laisequiana”, «El ansia», 1, 2013, Buenos Aires.

Laiseca 1982 b = Laiseca A., Matando enanos a garrotazos, Buenos Aires, Editorial de Belgrano, 1982 [Buenos Aires, Gárgola, 2004].

Laiseca 2004 = Laiseca A., Las cuatro Torres de Babel, Buenos Aires, Simurg, 2004.

Laiseca 2011 a = Laiseca A., Cuentos Completos, Buenos Aires, Simurg, 2011.

Marcos 2008 = Marcos J. M., “El mundo de Alberto Laiseca” (intervista), «Insomnia», 124, aprile 2008.

Nietzsche 2013 = Nietzsche F., Umano, troppo umano, Milano, Adelphi, 2013.

Waters 2012 = Waters J., Mis modelos de conducta, Caja Negra Editora, Buenos Aires.

Zima 2016 = Zima A., “Un viejo maestro”, «Página/12», 31 dicembre 2016.

 

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