La genesi strutturale delle gang giovanili è correlata alla storia delle città, dalla Roma antica alla Chicago proibizionista, fino alla New York multiculturale.
Dal punto di vista sociologico si possono rintracciare per grandi linee dei tratti comuni alle numerose gang giovanili che dimorano in particolare nei quartieri periferici, emarginati, marginalizzati e segregati delle città, le quali, al contempo, possiedono caratteristiche variabili secondo le epoche storiche e i contesti sociali di riferimento. È, pertanto, improbabile schematizzare un modello di gang giovanile impiegabile in tutti i casi osservati.
C’è però una costante di cui tenere conto: le composite forme della “disuguaglianza sociale” relativa allo status socio-economico di appartenenza e all’etnia, interpretabile come subalternità materiale e simbolica che origina i cosiddetti “invisibili”, ossia giovani senza alcuna prospettiva di futuro che, di fatto, non partecipano al sistema sociale e alle norme etiche condivise dalla maggioranza della popolazione. Vivono nelle zone più oscure e latenti della società, non accedono neanche al minimo previsto dalla “soglia di integrazione”: associandosi in gang conformate come subculture, spettacolarizzano se stessi attraverso atti di violenza.
Laddove, in presenza di “variabili strutturali” (povertà, assenza di lavoro) falliscono le “variabili di processo” (rappresentate dai cosiddetti “corpi intermedi” quali famiglia, scuola, partiti politici, associazioni varie e organizzazioni religiose), emerge la funzione sociale delle gang giovanili che consiste nell’assicurare protezione ai suoi membri e un senso di appartenenza,
Le dinamiche che caratterizzano il comportamento gruppale da “branco” sono attribuibili al fenomeno sociale definito in group (gruppo del “noi”) out group (gruppo degli “altri”). Nei casi oggetti di cronaca attributi alle baby gang, la società fungerebbe da “altro generalizzato” e le singole vittime individuate come membri “nemici”.
In riferimento alle norme comportamentali e ai fattori socioculturali dominanti, i membri delle baby gang – spesso affetti da deficit Super-egoico civico – compensano con l’espressione di rabbia e aggressività il complesso di inferiorità strutturale frustrante causato dalla loro condizione di marginalizzazione ed emarginazione foriero di precarietà e incertezza esistenziale.
Le differenze individuali di personalità non spiegano l’uniformità del comportamento violento collettivo agito in gruppo. In questi giovani devianti non scatta l’identificazione con la vittima, il gruppo diviene, quindi, sociopatico nel suo insieme. Esso non ha uno scopo razionale, è un gruppo emotivo che nel disperato tentativo di provare una sensazione di potenza e di superiorità, attraverso la dinamica del capro espiatorio, colpisce le persone (in genere coetanei) ritenute deboli.
Appartenere a una specifica baby gang innalza l’immagine di se stessi come membri di un insieme che fornisce un senso alla realtà, e procura, inoltre, una identità sociale superiore alla percezione di sé come singolo individuo critico.

Va precisato che il fenomeno non è esclusivamente napoletano.
Le baby gang si sviluppano più facilmente laddove il tessuto sociale italiano, in cui rientra anche quello napoletano, è disgregato, dove vi è la presenza di una maggiore anomia, ossia, di una condizione in cui i rapporti e le relazioni sociali, le norme, i valori etico-morali e culturali sono sempre più flebili, assenti o contraddittori.
Dal punto di vista fenomenologico, in tutta Italia – che nel frattempo è diventata una società multiculturale, multietnica e mediamente più povera a causa della crisi economica – le gang giovanili stanno emergendo e vanno moltiplicandosi.
Le fasce di popolazione più svantaggiate che risentono del disagio socio-economico e socio-cultu-rale rifiutano di adattarsi ai valori e alle norme dominanti. Ne consegue una tensione strutturale dovuta alla disorganizzazione sociale, alla dequalificazione urbana, ai deficit educativi, alla crisi della famiglia, che in Italia, anche se in via di ridefinizione funzionale, è stata, e in parte lo è ancora, una istituzione nodale. In “assenza” della famiglia per molti giovani la strada è divenuta ormai la casa e l’associarsi in “gang di pari” surroga il nucleo familiare.
A Napoli vi è anche la particolarità della Camorra, la quale attivando un “processo di socializzazione differenziale” incoraggia i comportamenti criminali devianti dei giovani, anche se non tutte le baby gang sono riconducibili al fenomeno camorristico.

Per quanto riguarda programmi televisivi come Gomorra – La serie, ritenuti possibili produttori di effetti negativi sui pubblici che ne fruiscono, occorre dire che gli studi di Sociologia delle comunicazioni di massa evidenziano che non vi è una correlazione diretta tra l’esposizione a programmi simili e il pericolo di perpetrare atti di violenza o, come in questo caso, di diventare camorristi.
Tali programmi rafforzano più che modificare atteggiamenti e comportamenti devianti. Ovviamente è possibile che si inneschi il fenomeno dell’imitazione: si attiva una sorta di “conformismo differenziale” che determina il senso di appartenenza a una subcultura criminale. Di fatto la capacità di agire i processi di selezione e filtro delle informazioni varia a seconda dei contesti familiari, socio-relazionali, socio-culturali e del sistema dei valori.
Il problema degli effetti causati dall’esposizione ad alcuni programmi è complesso. Non vanno misurati solo gli effetti a breve termine ma anche quelli a lungo termine o cumulativi, dati dalla cosiddetta “tematizzazione” degli argomenti che nella loro serialità vengono ripetuti, ruminati e rimasticati di continuo, producendo conseguenze non soltanto sugli atteggiamenti e sui comportamenti di giovani individui ma anche sulle conoscenze, sui modelli sociali da adottare, sulle rappresentazioni del mondo.
È l’intera struttura sociale con i suoi subsistemi che viene investita dalle comunicazioni di massa, costruttori delle realtà sociale nonché agenti socializzatori che definiscono e ridefiniscono la “normalità”. L’esistenza delle comunicazioni di massa rappresenta la specificità storica che caratterizza la società postmoderna, nella quale si sono affermati anche i new media – tra cui Internet e i Social – in cui i baby criminali esibiscono pose da duri, diffondendo, spettacolarizzando e mediatizzando il proprio Sé per ottenere riconoscimento sociale.

Come già accennato in precedenza, la famiglia, la scuola, la Chiesa, in quanto “agenti socializzatori” e “corpi intermedi” della società, rientrano nelle “variabili di processo”. La loro funzione educativa e autoritativa è mediare tra sistema sociale e singoli individui, facilitando l’adattamento di questi ultimi attraverso il trasferimento di valori condivisi di convivenza civile.
Di conseguenza, se nella società postmoderna altamente tecnologizzata – che ha assistito alla fine delle “grandi narrazioni” ideologiche del passato, le quali fornivano un senso collettivo all’esistenza e un’etica sociale, e al subentrare della “presentificazione del tempo” (un tempo senza più vettore che ha smarrito la direzione a scapito di un “eterno presente”), dove ciò che conta è consumare il più velocemente possibile merci ed esseri umani, di possedere a scapito di tutto e tutti – la funzione educativa della famiglia, della scuola e della Chiesa si indebolisce, esse smettono di essere punti di riferimento comunitari perdendo così credibilità e consenso come istituzioni. Affievolendo la loro rappresentatività sociale consegnano i singoli individui – soprattutto giovani – al pericolo dell’etica-fai-da-te.

Quali sono, a questo punto, i rimedi possibili? La sola repressione non è sufficiente. È necessario rinnovare il tessuto sociale innescando un processo di neo-civilizzazione, riproducendo fiducia in un futuro migliore, disattivando l’angoscia del presente, recuperando il meglio del passato, delle tradizioni.
In un momento storico in cui la globalizzazione economica ha accentuato l’asservimento della politica al capitalismo finanziario di cui è divenuta “ancilla”, al fine di ridurre le diseguaglianze, favorire l’integrazione sociale dei membri che abitano le periferie socio-esistenziali implementandone il livello culturale, una delle possibili soluzioni al problema delle baby gang è ridistribuire in maniera più equa il reddito nazionale.
Pertanto, è sempre più urgente e necessario che lo Stato italiano, per continuare a garantire un livello di vita accettabile ai propri cittadini, mitigando gli effetti devastanti causati dalla “finanziarizzazione” della società avvenuta grazie al neo-liberismo che sta cancellando il welfare state, recuperi ulteriori risorse economiche pubbliche, ottimizzando gli investimenti erogati a favore delle famiglie, della scuola, delle associazioni del terzo settore impegnate nel sociale.

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Nota bene: il seguente contributo è un estratto quasi integrale dell’intervista di Salvatore Russo ad Antonio Sposito pubblicata il 20 gennaio 2018 in vesuviolive.it.