– Io sono Misericordia – mi sono svegliata stamane con in testa questo esordio, dondolava tra le dita. Un’eco di Misericordia. E così la desertificazione avanza.

Paolo entra in camera in mutande, dice che è in ritardo. Mezzo calvo, mezzo ingegnere.
«Che fai oggi? Lavori?»
«No.»
«Non vai in studio?»
«Resto qui. Mi sento la Misericordia.»
«Prendi le pillole, subito.»
«Ma vaffanculo.»
«Amore, stai tranquilla per favore.»
«Lo sono. Tranquilla. Ma mi sento la Misericordia!»
«Sei solo stanca.»
«Mi sono appena svegliata! Sei fastidioso.»
Esce portandosi dietro la sua calma imbecille, la sua calvizie e anche la sua pancia.

Paolo non è il tipo d’uomo che si fa carico delle mie intolleranze esistenziali. Ha una voce troppo spessa per accorgersi che qualcuno intorno a lui sussurra, ansima, recita rosari. Eppure mi era piaciuto tanto il suo rassicurare le mie tempie, bastava che gli appoggiassi la testa sulla spalla. Mi sembrava un atto necessario. Come le sue esortazioni a un «regime alimentare sano». Amen.

Guardo l’ammasso di panni da stirare. Tracima dai cesti di contenimento. «Ragazzi, tranquilli, è solo una fase limbica», li rassicuro. E il mio senso di Misericordia s’acuisce.
Riesco a decidermi di riordinare la casa. I cassetti, soprattutto. Ci vorranno un paio d’ore di fastidio. I più insidiosi sono i suoi calzini, non si combinano mai. Mi sfuggono, si organizzano accoppiandosi in base a criteri a me preclusi. Una sciocchezza in verità, potrei sorvolare, stare sul contenuto, apprezzare, anzi, questa condizione leggera. Misericordiosa.
La polvere non la sopporto. A volte la vedo più sfacciata di quanto non sia. Non c’è Misericordia per la polvere. Ha la forza di trattenermi, con uno straccetto in mano, prima di uscire per il lavoro.

Di figli non ne abbiamo avuti. Credo sia sempre colpa della desertificazione, ha pervaso il corpo, lasciandomi terra incolta. Io sono il Vuoto.
Le pillole non le prendo, fanno effetto varechina, castrano i colori. Perdo piccole scaglie del ben dell’intelletto, per minuscoli lassi di tempo. E mi sbiadisco.

Marta capita puntualmente a casa in queste occasioni, quelle del riordino casalingo. Dice che le fa piacere passare a trovarmi e rendersi utile. Io la tengo sempre un po’ in freddezza formale. Misericordia! Lei si è fatta Paolo.
La cosa non ha destato neppure grande clamore. Siamo ancora amiche. Oggi poi è pure il suo compleanno. Mica ho fatto scenate allora. Manco una. Ma lui non sa che lo so. Non ho creduto utile ingozzargli l’ego. Ci ho riflettuto con modalità chirurgiche: l’avrei lasciato? No. Questione risolta. L’amore a volte si dipana in modo del tutto intuitivo. Inutile complicarlo con ideologie. Anche la gelosia è concettualità. Una pura elucubrazione.
Marta aveva persino il sospetto di essere rimasta incinta.
Chi è Marta? Il Pieno. Amen.

Prosciutto
Parmigiano
Uva sultanina
Yogurt
Insalata belga
Tofu
Pesce spada
Shampoo
Regalo per Marta.
La lista della spesa l’ho scritta sul blocco note del cellulare. La penna sarà finita nel cassetto riordinato, quello delle cose la cui collocazione è «da definire».

Farò un giro oggi. La solitudine è la formula matematica di sussistenza che preferisco: 1+0 = Io.
Perché sono rimasta con Paolo? Perché gli alberi si nutrono dalle radici. Lui è solido. Io parlo tanto. E mi distribuisco.
Sì, la Misericordia chiede sacrifici. Uno di questi è la stratificazione. Una sorta di risposta adattiva alla condizione generale.
Ho elaborato, nel tempo, la teoria della distribuzione equa della propria complessità personale su piani alternati. Ne rende accettabili le diverse esistenze.

E che voce stridula aveva quella signorina al bar. Il rito del caffè è semplice, con un goccio di latte di soia, niente zucchero, tanta cannella. Cammino sotto la pioggia. Con calma, uno dei vantaggi della desertificazione è l’apprezzamento degli stati umbratili.

Marta ha pressappoco la mia età: 45 io, 35 lei.

Un tipo all’uscita della stazione mi ha guardato con interesse, e passandogli davanti gli ho sussurrato «non ne vale la pena»; alcuni ancora lo pensano, di poter andare in giro a servirsi d’amore, a volte ho visto sconosciuti più a fuoco di mio marito. Amen.

Quella volta lì: «quanto zucchero? – niente, grazie, lo bevo amaro – ma no, che la vita è già amara di suo!» Ho sempre odiato questa frase inutilmente irrispettosa.
E cosi ci siamo sposati.
Dieci anni di straordinaria quotidianità. Lui si veste ed esce, io mi vesto ed esco, la signora accanto si veste e non esce, riceve. Mi piace il fatto che ci sia via vai sul pianerottolo. A volte vorrei andare a bussare alla sua porta e dirle «vuoi che te la tenga in frigo l’anima? – No grazie, ne regalo un pezzo a ognuno». E a quel punto mi sconvolgerei appena – «perché tu ami?»

Marta oggi mi ha detto che si è innamorata di un collega in banca, sarebbe durata poco con Paolo. Le ho chiesto se fosse ricambiata e mi ha detto che era sposato. Le ho dato una sberla, istintivamente. Un gesto di merda, lo so, non si dovrebbe mai essere così tranchant.
Che cosa profondamente ridicola. Non ha reagito male però, il suo senso di colpa l’ha resa riconoscente, potrei chiederle di pulirmi tutti i giorni il cesso di casa.

Mia madre non è d’accordo sul fatto che io non cerchi di riprendermi la mia vita. Mia madre non è d’accordo sul fatto che io non abbia figli.
Mia madre non è d’accordo sul fatto che lavori poco. Mia madre è un avvocato. Pure io sono un avvocato. Amen.

L’altro giorno è venuta a chiedermi se poteva lasciare da noi il cane per il week-end. Deve esserci rimasta male per il mio rifiuto. In verità non mi piace il suo cane, è come Paolo, abbaia troppo.
Non che io ami il silenzio, o le conversazioni pacate a tutti i costi, ma pratico una certa igiene emotiva. Il chiasso pungola le pagine dei miei libri.

C’è uno che ha preso a scrivermi su Facebook, è un citazionista, un iconer d’assalto. Per noia gli ho risposto in chat, mi ha detto che lui aveva capito tutto di me. Mi ha detto che di certo ero compressa, che non esprimevo tutto quello che avevo dentro e che mi sentivo sola. A nulla è valso dirgli che queste sono verità apodittiche e che vanno bene per chiunque. Ci è rimasto male quando ho smontato le sue aspirazioni da psicologo e pure l’invito a bere un caffè. Non so come potrei interessarmi a questo genere di sciocchezze.
Non ho mai tradito mio marito solo per noia. Il mondo è mediamente noioso, a esclusione delle puntate di Grey’s anatomy.

Squilla il telefono: è Paolo, chiede se ho pagato la bolletta della luce, è arrivato un sollecito. Io ho provato e riprovato a far mente locale, di questa bolletta nella mia memoria non c’è traccia.
Così ho chiamato l’Enel, Servizio elettrico di maggior tutela, e loro mi hanno detto che in effetti c’era una bolletta non pagata e io, Misericordia, ho risposto che credevo di non averla mai ricevuta.
La questione si è risolta, ma i singhiozzi della memoria mi raggelano.

Mia madre non è d’accordo con le mie amnesie. Mia madre non è d’accordo sul fatto che non faccia sesso. Lei dice che ho «il viso arcaico». Che cosa voglia dire non so. Amen.

Intanto si è fatta sera, mi vesto con cura, mi trucco, mi pettino, imprimendo affascinanti colpi di sicurezza personale alla spazzola, un mix di autostima e zoccolaggine. Almeno così pare a me.
Ho pensato di invitare Paolo a cena fuori. Al mare, frittura di pesce. Le sere si accendono dove non sappiamo e io vorrei soltanto capire il senso di questo immenso sentire e vedere dov’è la fine di noi che a lungo ci siamo incazzati come iene. A cosa è servito dirsi ti amo e a cosa non dirselo? C’è sempre tanto rigore nelle sue parole, quanto incuria nelle mie.

E c’è un porto sicuro nei nostri ricordi, un ricovero perfetto per l’intemperanza degli anni giovani, per l’ingenuità. La Misericordia, quando è nostalgia, mi piega ancora in preghiera. Ci vuole un tempo infinitamente piccolo per non esserci più.

In copertina: Marc Chagall, Reclining Nude, 1911.