Mauro Tetti inizia dalla creazione, dal Verbo e dalla musica, e il suo romanzo, A pietre rovesciate, è un mondo che si consuma in nemmeno cento pagine. Strana impresa in tempi di frammenti e di ‘ombelichismi’, di scritture – tante – ibride, di generi (thriller, noir, horror, ecc.) recuperati e innalzati in blocco a grande Letteratura, passando dallo snobismo alla celebrazione enfatica (si pensi all’incoronazione del re King Stephen da onesto mestierante a Genio, laddove il giusto mezzo non sarebbe disprezzabile). Nel solito contesto confuso dei confusi tempi di postmodernismo o post-postmodernismo (sia libera, qui, la scelta), questo piccolo romanzo di una casa editrice che non è tra le grandi, la Tunué, rappresenta un ritorno alla ‘narrazione’ del tipo di Benjamin Walter, ossia quale ripresa di un afflato epico, di un certo sentore di oralità e di una ancestrale saggezza. Nel suo piccolo è chiaro che l’opera non può mantenere totalmente fede alle sue intenzioni e che l’autore, Mauro Tetti, è al principio del suo percorso, peccando come spesso i prìncipi: c’è qualche ingenuità, c’è uno stile a tratti indeciso e frenato dai consueti giovanilismi di tanta scrittura giovane, soprattutto ci mette tanto, troppo, per afferrare il lettore e stringerlo alla lettura.
A pietre rovesciate ha la pecca di non decollare subito. Eppure la prima parte è quella dal respiro più ampio: si narrano le origini di Nur, il paese dove tutto accade. Poi c’è quello spunto delle pietre, che la pietra fu creata per prima col cielo, che una pietra servì a segare l’albero della vita per mangiare i frutti del peccato, che una pietra fu usata per il primo assassinio; e poi dalla pietra alle case, al fuoco, al commercio, a Nur, «che voleva dire: pietra preziosa».
Le pietre dicono tanto, nelle prime pagine, finché ammutoliscono. Perdono quel «fuoco primordiale» da cui erano animate, come fa dire Nikolaj Leskov al protagonista de L’Alessandrite, passano gli antichi tempi, «quando le pietre nel grembo della terra e i pianeti nel cielo lontano si preoccupavano del destino dell’uomo», «è passato il loro tempo di parlar con l’uomo e sono adesso come quegli oratori eloquenti, diventati pesci muti». Non è casuale il richiamo a Leskov, sia perché preso da Benjamin quale modello di ‘narrazione’, sia, soprattutto, per la struttura del racconto L’Alessandrite che, fondando sul segno «pietra», pare modello, seppur involontario, del romanzo di Tetti.
Quando le pietre ammutoliscono il romanzo ha una svolta, e per ritmo e per appeal sul lettore. Tetti ci pone davanti a un passaggio gerarchico lineare: dalle pietre animate alle pietre inanimate (le pietre-oggetto di Heidegger, potremmo dire), fino agli animali e agli uomini. Sicché, giunti al livello animale/umano, ci appassioniamo a una storia d’amore e a un villaggio leggendario con tanto di strega, magia, sangue. Il rapporto animale-umano, a Nur, appare confuso né potrebbe essere altrimenti in un villaggio che non è un mondo alla rovescia ma si trova ai pressi di un mondo alla rovescia (il villaggio di Saru); gli animali, addirittura, non muoiono:
«Adesso però ci pensavano due volte prima di seppellire le bestie morenti. Piuttosto le lasciavano sotto casa di Lucia, e l’aria si impregnava di fango e sangue fresco. Lei raccoglieva i corpicini pelosi e li portava dentro. Il piccolo fuoco ardeva e restituiva la vita. Cuciva le ferite, curava le infezioni, placava l’effetto dei veleni. Le bestie nel giro di una luna ritornavano come sane.»
[p. 78]
L’effetto Tim Burton – sembra di essere in uno dei suoi film d’animazione in stop motion – emerge e sorregge la seconda parte del libro, in cui l’epica sarda ha un respiro meno ampio, in cui la ‘narrazione’ diventa plot. Da qui inizia a piacere molto A pietre rovesciate, proprio quando le più audaci intenzioni vengono meno e all’afflato epico mantenuto a fatica subentra la bella storia, una fiaba nera che leggiamo/ascoltiamo (persiste il sentore di oralità) e che, nella sua riduzione a schemi prevedibili, ci piace/rassicura.
Mauro Tetti
A pietre rovesciate
Latina, Tunué, 2016
pp. 103
NB: le citazioni del racconto L’Alessandrite (un fatto naturale sotto luce mistica) sono tratte da Nicola S. Ljeskòv, L’angelo suggellato, trad. it. di Ettore Lo Gatto, Roma, Alberto Stock, 1925.
In copertina: particolare del portico di Saccargia, complesso monastico camaldolese della SS. Trinità, con “Caccia infernale” (fonte: http://www.sardegnamedievale.it/cms/saccargia-la-caccia-infernale.html).