La mia mamma ha ucciso il mio papà, o forse era il contrario. No: la mamma viene prima del papà. Uno dei due comunque è finito in prigione e l’altro è morto. No: uno è morto e l’altro è finito in prigione. La morte viene prima della prigione. Io ora vivo dalla zia. La zia Mia è gentile con me, anche se non capisce che non deve toccare le mie cose. E non lo capisce nemmeno Nadia, la domestica, che si ostina a mettere gli oggetti che cominciano con la bi insieme a quelli che cominciano con la esse. Mette in disordine l’ordine che ho faticosamente stabilito e poi si rifiuta di pulire camera mia. È un porcile, urla, mentre la zia Mia allarga le braccia come a dire: non è mio figlio, che ci posso fare?

Per la zia Mia è incomprensibile che nell’armadio ci sia l’astuccio per la scuola; che i calzini, la candela, la cartella, il cellulare e il cuscino siano a destra dell’armadio, a seguire Harry Potter e il lenzuolo, il letto, la libreria vuota – che ho dovuto spostare con gran fatica –, la macchina fotografica, le merendine, le mutande, i pantaloni, Pennac, la Play, la poltrona, i quaderni, Rodari, la scrivania, la sedia. Infine il tagliacarte, il termosifone – che mi ha obbligato a spostare tutto ciò che si poteva spostare, essendo questo un punto fermo –, la trapunta, la ventosa e lo zerbino che ho rubato alla zia Mia. Il resto è in disordine; è vero.

Per il compleanno la zia Mia vuole farmi un regalo. Io le ho chiesto libri di autori con la elle, così da poter riempire la libreria, ma lei l’ha preso come uno scherzo e io rimarrò con una tristissima libreria senza libri. Potrò festeggiare con i miei amichetti – come li chiama la zia – solo se metterò in ordine la mia stanza; altrimenti niente. La stanza è già abbastanza in ordine, ma è un ordine troppo raffinato perché lei lo capisca. Il problema forse è che gli oggetti non sono sistemati veramente su una linea e danno l’impressione di non essere in ordine. Così li sistemo in maniera che siano tutti allineati al centro della stanza, che per fortuna è molto lunga; sposto i mobili, faccio rumore, la zia si affaccia alla mia stanza, sembra contenta e se ne torna di là a guardare la televisione. Il volume è molto alto e credo che la zia Mia sia un po’ sorda. Dall’armadio allo zerbino, tutto deve essere sulla stessa linea. Sto attento a lasciare quattro centimetri tra gli oggetti con lettere diverse; tra quelli della stessa lettera non deve esserci nessuno spazio. È perfetto, così. Sono soddisfatto del mio lavoro e dico alla zia che ho finito, le dico anche di venire a vedere: è tutto in ordine. Lei entra in camera mia e dice che non è in ordine, ma va già molto meglio, poi mi chiede di nuovo: sicuro che non vuoi andare a parlare un po’ con il dottor Obizzo? Io faccio segno di no con la testa e la zia Mia per fortuna non insiste.

Mi dà il permesso di organizzare la festa e mi dice che dobbiamo decidere chi invitare; poi scrivere gli inviti. Io pensavo di dirlo semplicemente a voce, ma la zia Mia è sola e un po’ mi fa pena; non voglio darle un dispiacere e le dico i nomi delle persone che vorrei invitare. Amedeo, Biagio, Carlo, Davide, Eleonora, Francesca, Giovanni, Ilaria, Luigi, Marta, Nora, Paolo, Roberto, Sara e Veronica. Quindici persone, avevamo detto al massimo venti. La zia Mia mi chiede perché non ho scritto anche Marco e Matteo, dice che sono i miei migliori amici e forse davvero lo sono, ma io non posso dirle che preferisco invitare Marta perché mi piace e non posso avere tre invitati con la stessa iniziale.

Mancano la acca, la o, la qu, la ti, la u e la zeta, anche se Marta di cognome fa Zilli e Roberto Unfer. Decido di invitare Tiziana della terza B e Onofrio, un mio lontano cugino. Giovanni ha una sorella di nome Helene e sull’invito gli scrivo che è invitata anche lei, anche se la conosco poco. Quintina non la vedo ormai da anni, ma un tentativo lo faccio e la zia Mia è contenta che io riprenda rapporti con amici che non vedo più.

L’unica presenza a cui davvero tengo però è quella di Marta e mi tremano le mani quando davanti a scuola le do il biglietto e lei sorride ringraziandomi. Mi fa aspettare tre giorni, poi, durante l’intervallo si avvicina a me mentre sto mangiando l’ultimo pavesino e non ho studiato niente per la verifica di matematica, e mi dice che verrà al mio compleanno. Sono felice e la ringrazio. Disdicono solo in tre e io ne invito altri tre con le stesse iniziali: Italo, Sabrina e Anna.

La festa è bella e ci divertiamo, ma capisco solo quando arrivano tutti che né la zia Mia né Nadia hanno intenzione di andarsene. Io pensavo che ci avrebbero lasciato la casa, altrimenti non avrei invitato Marta né Nora. No: Marta l’avrei invitata comunque e avrei utilizzato la zeta di zia per cui Marta Zilli sarebbe stata solo Marta e avrebbe avuto solo la emme invece che la emme e la zeta.

Mentre gli altri bevono coca cola e mangiano pizza, Marta mi sussurra all’orecchio che vorrebbe vedere camera mia. Io sono un po’ agitato perché ho paura che la sua reazione sia simile a quella della zia Mia e di Nadia. Entriamo e lei fissa gli oggetti in fila al centro della stanza. L’indice balla nel vuoto, conta e sussurra qualcosa che non capisco. Ma sono in ordine alfabetico?, mi chiede e io sento il cuore battermi forte dall’agitazione. Annuisco. Lo sapevo. Che figo!, dice lei e poi mi guarda con aria di sfida. E se mettessi la Play al posto dei fazzoletti e lo zerbino subito dopo l’armadio? Ha l’aria divertita; lo fa per davvero. Inizia a spostarmi tutti gli oggetti: Rodari è al posto della ventosa e la ventosa al posto di Rodari, il tagliacarte è al posto della radio. Marta ora si diverte ad allontanare tutti gli oggetti dalla linea immaginaria al centro della stanza. Sto per impazzire, sento una rabbia dentro che mi fa formicolare le orecchie e le mani, ma non posso farle una scenata, non posso rimetterli in ordine. Sento il sudore bagnarmi la camicia che si è appiccicata alla schiena; mi gira la testa, mi viene da piangere, ma devo trattenermi. Che cosa penserebbe di me? Marta mi guarda ridendo, poi si fa seria. Giurami che li lascerai per sempre così come sono adesso, mi dice lei fissandomi negli occhi. Gi ci elle elle pi esse ci ci esse a: lo urlo nella mia testa, avrei voglia di sbattere la testa contro il muro fino a non sentire più nulla. Emme. Emme come Marta. Mi devo calmare. Emme di ci. Emme indossa un vestito blu e ha la coda alta che le tira leggermente il viso. Ha capito. È davvero bella, Emme. Io faccio fatica, ma alla fine giuro. Giuro che lascerò tutto così, Marta. Gi ci elle ti ci emme. Lei mi bacia a stampo sulle labbra e se ne va.

La stanza è in disordine e io sto male solo a guardarla, ma Marta mi ha baciato e giuro anche a me stesso che lascerò tutto così per sempre. Anche se questo mi impedirà di dormire, anche se avrò il continuo impulso a rimettere in ordine alfabetico e sulla stessa linea gli oggetti che Marta si è divertita a mettere sottosopra. L’ho giurato.

Per preservare l’ordine di Marta però non posso più uscire e mi fingo malato per non andare a scuola, in modo che nessuno cambi il disordine che ha creato e che ho giurato di lasciare così. La zia Mia non vedeva l’ora di farmi visitare da un medico e il medico mi visita, mi fa mille domande stupide a cui rispondo in maniera intelligente. Poi si alza e va a parlare con la zia, ma io non ascolto perché chatto con Marta che mi dice che è orgogliosa di me; sapeva che sono uno di cui ci si può fidare.

Quando la zia va a comprare le medicine e a fare la spesa – Nadia è dovuta partire per un lutto in famiglia – Marta passa a salutarmi e mi porta i compiti. Ha i jeans chiari e una maglietta bianca aderente con una scritta rossa. Andiamo in camera mia. Lei guarda gli oggetti a terra e mi dice: bravo. Parliamo di quello che è successo oggi a scuola e lei mi dice che Mario ha preso una nota, che Giulia è innamorata di Giovanni e che la Paolini ha fatto una scenata e quasi si metteva a piangere. Le chiedo perché e lei dice che non l’ha capito, avrà problemi personali. Ridiamo e io penso che Giulia non può mettersi con Giovanni, perché i loro nomi iniziano entrambi con la gi.

Marta sfila dallo zaino un pacchetto di sigarette e mi chiede se ho mai provato a fumare. Io non voglio fare la figura del rammollito e mento, dicendo di sì. Dico: ovvio. Lei si siede sul materasso accanto a me e si accende una sigaretta, mi guarda e io la guardo, mentre fuma e me la passa. Il sapore è disgustoso e io tossisco, lei ride e poi sentiamo un rumore. È la zia che torna dalla spesa. Marta si alza di scatto e si nasconde nell’armadio, mentre io vado di corsa dalla zia. È di buon umore e mi racconta dell’edicolante, della vicina, del figlio del macellaio che è andato in America a studiare e fa proprio bene, che cosa vuole trovare uno così in un Paese come il nostro? Io annuisco, ma penso che io non ci andrei mai e poi mai a studiare in America, ma penso anche che io non sono come il figlio del macellaio. Poi la zia Mia sembra ricordarsi improvvisamente di me e mi chiede: E tu, invece, stai un po’ meglio? Annuisco e lei dice che sente rumore di bruciato, le chiedo se intende in senso metaforico o nel vero senso della parola, la zia Mia non risponde; a me viene da ridere perché dice rumore, ma ho paura che abbia capito che abbiamo fumato, io e Marta, e quindi dico che non è vero. In nessun senso.

La zia Mia inizia a cucinare e ora lo sento anche io, l’odore di bruciato. Salto dalla sedia, mi precipito in camera e vedo il materasso in fiamme, apro di scatto l’armadio e dentro c’è Marta, il cui nome inizia con la emme e non con la a di armadio, che mi fissa come sotto shock. Poi mi urla: Prendi la coperta! Non capisce che è una trapunta, con la ti e non una coperta con la ci e non capisce nemmeno che io non posso spostarla: l’ho giurato. Muoviti! Io non so che cosa fare, guardo Marta con la emme nell’armadio con la a e la trapunta con la ti che non è una coperta con la ci che dovrei buttare sul materasso con la emme che non può stare sul letto con la elle ma è sul pavimento con la pi e capisco che il mio sistema con la esse ha seri problemi con la pi e con la elle; brucia perché sopra c’è un mozzicone con la emme e un fuoco con la effe. Che cosa aspetti, muoviti! Ci ci a emme. Mi muovo, Marta: emme emme emme. Merda, mi muovo. Emme emme emme. Cedo con la ci? Prendo la trapunta con la ti e copro il letto con la elle? Mi dispiacerebbe per la promessa con la pi e cerco velocemente la benzina con la bi, ma non la trovo perché in questa casa con la ci è tutto così in disordine. Prendo Marta con la emme per mano con la emme e la porto fuori da questa casa, corriamo veloci, passando per il corridoio laterale, la zia così non può vederci e io avrò salvato Marta. Siamo fuori e Marta sembra spaventata. L’abbraccio e le dico che va tutto bene, lei non dice niente e la porto al muretto dove possiamo baciarci in pace. Quando siamo seduti sul muretto io abbraccio Marta e la sento tremare. Sto per baciarla quando sento le sirene.