Ieri sera, in un incontro privato – un incontro di sole voci -, eravamo in tre: io, Alfahridi e Agathe. Dove eravamo, se in fodo si trattava di essere voci, onde sonore e niente più? E’ semplice, così semplice perché c’è un indirizzo (sì, tutto questo mistero in verità a che serve?): Via Gran de Mantis, 10, Vacca pezzata. Eravamo lì seduti ciascuno sul proprio culo – che comodità il culo! – e discutevamo, facendo connessioni, cercandole più che altro.
Alla fine si è giunti all’approssimativa certezza che, in fondo, le vie mediane, les beaux mots, non ci piacciono affatto. Abbiamo riso, perché ridere è ben più che stringere alleanze – in litteris.
Stamattina, poi, appena sveglio non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero dell’equivoco, della via di mezzo tra il dire in un modo e il dire in un altro modo. Poi m’è ritornata in mente una frazione dell’incontro, un nome: Machiavelli, dalla voce di Agathe e dal suo furore.
Ecco qui, dunque, una lectura Maclavelli da Discorsi sopra la prima decade di Tito Livio, libro primo.

XXVI

[…] 5 Ma gli uomini pigliono certe vie del mezzo che sono dannosissime: […]

XXVII

1 Sanno rarissime volte gli uomini essere al tutto cattivi o al tutto buoni.

2 Papa Iulio secondo, andando nel 1505 a Bologna per cacciare di quello stato la casa de’ Bantivogli, la quale aveva tenuto il principato di quella città cento anni, voleva ancora tratte Giovampagolo Baglioni di Perugia, della quale era tiranno, come quello che aveva congiurato contro a tutti i tiranni che occupavano le terre della Chiesa. 3 E pervenuto presso a Perugia, con questo animo e deliberazione nota a ciascuno, non aspettò di entrare in quella città con lo esercito suo che lo guardasse, ma vi entrò disarmato, non ostante vi fusse drento Giovampagolo con gente assai, quale per diesa di sé aveva ragunata. 4 Sì che portato da quel furore con il quale governava tutte le cose, con la semplice sua guardia si rimise nelle mani del nimico; il quale dipoi ne menò seco lasciando un governatore in quella città che rendesse ragione per la Chiesa. 5 Fu notata, dagli umoni prudenti che col papa erano, la temrità del papa e la viltà di Giovampagolo; né potevono estimare donde si venisse che quello non avesse con sua perpetua fama oppresso a un tratto il nimico suo, e sé arricchito di preda, sendo col papa tutti li cardinali con tutte le loro delizie. 6 Né si poteva credere si fusse astenuto o per bontà o per coscienza che lo ritenesse, perché in uno petto d’uomo facinoroso, che si teneva la sorella, che aveva morti i cugini e i nipoti per regnare, non poteva scendere alcun pietoso rispetto; ma si conchiuse, nascesse che gli uomini non sanno essere onorevolmente cattivi o perfettamente buoni, e come una malizia ha in sé grandezza o è in alcuna parte generosa, e’ non vi sanno entrare.
7 Così Giovampagolo, il quale non stimav essere incesto e publico parricida, non seppe, o adir meglio non ardì, avendone giusta occasione, fare un impresa dove ciascuno avesse ammirato l’animo suo, e avesse di sé lasciato memoria eterna sendo il primo che avesse dimostrato a’ prelati quanto sia da stimare poco chi vive e regna come loro, e avessi fatto una cosa la cui grandezza avesse superato ogni infami, ogni pericolo che da quella potesse dependere.