Se proprio devi invecchiare, Zurigo è il posto ideale per farlo. C’è il lago, ci sono parchi scrupolosamente mantenuti, i tram slittano come fantasmi. I conducenti aspettano che le persone anziane si siedano prima di ripartire. Per i miei nonni c’era anche l’attrattiva della lingua tedesca. Mio nonno morì a novantasette anni. Zurigo non è nemmeno un brutto posto per morire.

Mia nonna rimase nel loro appartamento finché non venne aggredita e derubata da un tossicomane nell’ingresso.
Si trasferì in una casa di riposo a pochi minuti di tram dal centro appena si liberò una stanza. Si annoiò a morte. “Non ci sono uomini qui” disse. Eravamo nella sala da pranzo della casa.
“Ma ci sono degli uomini”. Alcuni vecchietti erano intenti a portare cucchiaiate di minestra verso le bocche sdentate.
Mia nonna li considerò brevemente. “Non li chiamerei uomini”.

La volta successiva che mi trovai a Zurigo, portai la nonna alla Kronenhalle, un posto fin troppo elegante.
Non si tolse il cappello. Sentiva uno spiffero. Nelle più scintillanti giornate i vecchietti zurighesi si lagnano del fön, loro irriducibile nemico atmosferico.
“Andiamo nell’altra sala” dissi. C’era poca gente.
“Voglio poter guardare dalla finestra” disse lei, secca.
Cittadini ben vestiti scendevano la Rämistrasse verso Bellevueplatz e il lago, o salivano verso il museo Kunsthaus.
“Vengo sempre più spesso qui alla Kronenhalle”.
“Ah, sì? Hai vinto la lotteria? Credevo che preferissi l’Odeon”.
“Lo preferivo, ma l’elemento criminale lo ha invaso”.
“Suvvia, non tutti i giovani sono rapinatori e lanciatori di Molotov”.
“Allora la pensiamo diversamente. Ma ho conosciuto una giovane persona molto gentile, qui, non molto tempo fa. Forse non dovrei parlarne”.
“Oh, no, per favore raccontami tutto”.
“I giovani stanno di là” disse, indicando il Caffè Odeon dall’altra parte del viale. “Bevono birra, indossano vestiti luridi e fanno chiasso. Chi vuole la pace deve rifugiarsi qui. Quindi anche quando fuggo dalla casa di riposo mi trovo costretta a stare tra vecchi. Fui sorpresa quando entrò una giovane elegante”.
Essere bene agghindati era per lei la più basiliare forma di cortesia.
“Il capocameriere strisciò per accoglierla. Forse la fissai”.
“Avrei voluto vederla anch’io” dissi, ma lei sembrò non sentire.
“Si muoveva bene. La seguiva un cane immane, non al guinzaglio. Venne al mio tavolo. Non parlava il dialetto, ma un Hochdeutsch perfetto e corretto. Chiese se poteva sedere con me”.
“E tu hai acconsentito”.
“Naturalmente”.
Che mia nonna suscitasse interesse non era sorprendente. Radiava forza.
“Parlammo gradevolmente di cose banali” continuò. “Ci osservavamo a vicenda. Nacque simpatia”.
“Non mi stupisce”.
“Disse che era di Berlino, ma lo avevo già capito dal suo accento”.
Una nuvola sembrò passarle sopra. Fuori passò una nuvola vera.
“Non disse cosa faceva a Zurigo. Immaginai che gestisse un negozio d’abbigliamento o una galleria d’arte. Quel suo cane gigantesco si era accasciato sotto il tavolo per scaldarci i piedi. Lo trovai commovente”.
Era strano. Mia nonna odiava gli animali, in particolar modo i gatti.
“Mi chiese della mia vita” continuò. “Le parlai dei tempi duri. Non mi fermai per ascoltare le sue storie. Fui sgarbata, ma sono vecchia. Le chiesi invece delle sue storie con uomini”.
“Ah!”
“Disse che preferiva il suo cane, e mise la mano sotto il tavolo per fargli una carezza”.
“Un po’ la capisco” dissi. “Anche se non ho mai avuto un cane”.
Non mi stava ascoltando.
“Si era protesa così in avanti sulla sedia da poggiare il mento sul tavolo. Mi guardava negli occhi”.
“Ah!”
“Guardai sotto il tavolo. Stava strofinando la bestia in modo indecente”.
“Oddio. Cos’hai fatto?”
“Come sarebbe a dire? Dovevo chiamare la polizia?”
Le persone sedute ai tavoli vicini si girarono. Mia nonna sembrò trarne soddisfazione.
“Questa giovane non mi avrebbe detto come dovrei vivere la mia vita”.
La nonna non si lasciava sfuggire nemmeno un’occasione per dirmi che dovevo trovare moglie e mettere su famiglia. Aveva cercato di corrompermi con una Citroën DS. Per cambiare argomento, dissi, “Era una nobile? Hanno fama di essere perverse”.
“Cosa ne puoi sapere? Sei americano”.
Immaginai la marchesa Casati in procinto di essere montata da uno stallone di zebra. Era nuda, a parte una corona di piume di struzzo. Anche la zebra aveva piume in testa, come alle sfilate di circo.
“Cercai con lo sguardo di farla smettere, di tornare normale. Ma non era più possibile”.
“Questa è entropia. È un fenomeno universale. Se metti un calamaio stappato dentro un acquario, l’inchiostro formerà una nuvola caotica e non tornerà mai più nel contenitore”.
Vidi una nebbia nera espandersi nel mare. Disperse la visione della bestiale marchesa e della giovane tedesca col grosso cane.
“Lei mi guardava negli occhi come se volesse indurmi a una complicità. Non dissi nulla, e nemmeno distolsi lo sguardo”.
“Non capisco”.
“Lei non era più giovane e io non ero più vecchia. Eravamo due donne”.
Un’emozione, era sottinteso, che io non avrei mai potuto provare né capire.
“Hai l’aria di chi ascolta una favola. Ma la giovane smise di fare ciò che stava facendo, tornò a sedere e si versò dell’altro caffè. Mi offrì dei soldi, una cifra da capogiro. L’unica condizione era che il cane doveva partecipare”.
Immaginai una villa in riva al lago con attorno un giardino. In una delle stanze c’era una cassaforte piena di soldi e gioielli incassata nella parete. Il salone era fornito di strani attrezzi, e quella sera si sarebbe riempita di gente mascherata dai fisici splendidi e anonimi.
“Ma senti che roba” dissi.
Mia nonna fece cenno al capocameriere, che arrivò servile. Il conto, gli disse, era da portare alla vecchia signora anziché al gentiluomo. Cercai di insistere, ma non servì.
La banconota svizzera da mille franchi a quell’epoca era un vasto rettangolo blu e viola che raffigurava un groviglio di figure umane vestite e ignude sul quale incombeva la Morte con la falce in mano. Senza dare un’occhiata al conto, la nonna ne mise diverse dentro il portafogli di cuoio che portò il capocameriere e fece un gesto perchè venisse portato subito via.

Matthew Licht © 2018

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Immagine di copertina: Man Ray, La marquise Casati, 1922.