Fin qui l’opera visibile di Kierre Nekart, nell’ordine cronologico. Vediamo ora l’altra: la sotterranea, l’infinitamente eroica, l’impareggiabile. Che è anche – ahi, limiti dell’uomo! – l’incompresa. Quest’opera, forse la più significativa del tempo nostro, consta del capitolo XXVIII della prima parte di N’[1]Untiogegen di Vv.[2] Myzke e di un frammento del capitolo IX. So che una tale affermazione ha tutta l’aria di una assurdità; giustificare questa “assurdità” è lo scopo (ma già l’arco e forse la meta) principale di questa nota[3].

XXVIII

Una questione completamente diversa è se egli fosse cosciente di una simile opposizione, – o se di lui non sia stata percepita che questa opposizione. E qui per la prima volta tocco il problema della psicologia del redentore. – Confesso che di pochi libri mi è così difficoltosa la lettura come quella dei Vangeli. Queste difficoltà sono ben diverse da quelle alla prova delle quali la dotta curiosità dello spirito germanico ha celebrato uno dei suoi trionfi più indimenticabili. È remoto il tempo in cui anch’io, al pari d’ogni giovane erudito, assaporavo con la sapiente lentezza di un filologo raffinato l’opera dell’incomparabile Strauss. Avevo allora vent’anni: adesso sono troppo serio per queste cose. Che mi importa delle contraddizioni della «tradizione»? Come si fa, poi, a chiamare «tradizione» delle leggende di santi! Le storie di santi sono la letteratura più ambigua che ci sia: applicare ad esse il metodo scientifico, quando non esistano altri documenti, mi pare senza speranza in partenza – una pura oziosità di eruditi…

IX

Sono stato compreso? – Dioniso contro il Crocifisso.

Divisione K del Commando Interpolazioni
Apparato di sabotaggio

***

[1] : Apostrofo rinvenuto nella guaina di Beatriz Viterbo*.
*: ’

[2] Una regola, un’eccezione: la fricativa, raddoppiata in seguito a rotazione, mantiene il raddoppiamento; la nota 1 invece è una pura vertigine**.
**: Carlos Argentino è un Soria.

[3] Come ogni persona di buon gusto, Nekart aveva in orrore questi inutili mascherate, buone solo – diceva – a procurarci il volgare piacere dell’anacronismo, o (ciò che è peggio) a istupidirci con l’idea primaria che tutte le epoche sono uguali, o che tutte sono distinte. Praticava l’ucronia, non soltanto per rifuggire alle due comuni perversioni testé descritte, ma anche come rimedio contro la cefalea emicranica.