E così, oggi, in qualità di membro anziano, vi racconto una storia dopo la quale spero di non dover sentir più parlare di certi personaggi. Il titolo della storia che mi appresto a narrarvi è: “Gonzalo Higuaín, la mia ex fidanzata”.

Capitolo I. Il Real Madrid e la passione per il tango argentino

Nel 2013, non conoscevo ancora Gonzalo, ma sapevo già che era bellissima. Ci eravamo sfiorati più volte, avendo amici in comune, senza mai incontrarci. Gonzalo all’epoca giocava per il Real Madrid di Fiorenzino Pérez. Il Real all’epoca inseguiva la decima che non arrivava ed era rimasto soffocato dal quadriennio di Guardiola. Il Pipita Gonzalo viveva perciò una parabola discendente piuttosto peculiare. Nel 2007-08 aveva segnato il gol decisivo per lo scudetto, l’anno prima questo da esterno destro, e insomma la sua storia evidenziava una crescita arrestatasi però sotto Mourinho. Il fulgido Gonzalo conobbe infatti l’avvento di Karim Benzema, che progressivamente gli contese il posto da centravanti titolare, fino a scalzarlo quasi completamente. Lo stesso Gonzalo, peraltro, fu protagonista di errori macroscopici in occasioni decisive nell’ultimo anno di Madrid (tipo questa, che poteva favorire la rimonta del Real in semifinale, che aveva perso all’andata in esterna 4-1 e che vinse quella partita 2-0). L’impressione era quella di un grande giocatore sofferente psicologicamente, sia sotto l’aspetto della concorrenza sia sotto l’aspetto delle partite decisive, che incredibilmente si rivelava incapace di gestire. In quella estate solida e flemmatica come il dolore di un uomo che muore dopo una lunga malattia, il buon Pipita riuscì a scrollarsi di dosso anche l’insistenza di Ronaldo, quello finto, che cercò di convincerlo a rimanere con lui per vincere la decima. Gonzalo quella volta si schermì con una smorfia da troia consumata, e a 7’40’’ dice qualcosa del tipo: “O vengo pagato meglio o me ne vado” (chiedo scusa allo Zucchi per la traduzione).  Gonzalo non piange, reclama un trattamento da prima stella che al momento non ha: si sente soltanto una delle tante della scuderia di Fiorenzino Pérez, e così chiede la cessione: meglio essere protagonista e meglio pagata altrove che una delle tante gallinelle del magnate madrileno. Se non avesse parlato di soldi, forse avremmo potuto persino ammirarlo per la sua alta considerazione dell’epica sportiva.

Capitolo II. Non posso essere per te la stella, sarò cometa altrove: il Napoli

A quel punto Gonzalo viene cercato soprattutto da due squadre italiane, il Napoli e la FC Schifentus. La Schifentus (altrove, Juventus) non ha però ancora realizzato quella ipertrofia capitalistica sabauda agevolata da politiche statali e fughe di capitali in Olanda, ragione per la quale non si spinge oltre i 27 milioni per il cartellino di Gonzalo. Il caso di quell’estate volle che il Napoli di Aurelion de Aurelioniis avesse venduto il pio Edinson Cavani al Psg per oltre sessanta milioni di euro, assieme a un paio di chiese, col relativo gruppo di fedeli, che l’uruguagio aveva fondato nel territorio flegreo; a quel punto, l’imprenditore capitolino ne gira trentasette a Fiorenzino, e il povero Gonzalo si trova in sostanza a dover accettare il Napoli. In quel momento storico, il Napoli stesso sembrava rappresentare una scommessa intrigante, una società in rampa di lancio, con un progetto interessante: da Mazzarri a Benítez, l’aura di internazionalità si era accresciuta, e con i soldi di Cavani e Lavezzi il Napoli era riuscito a portare a casa nomi del calibro di: Albiol, Callejón, Mertens e lo stesso Gonzalo. I primi due anni di Gonzalo al Napoli sono anni normali, scanditi da un ritmo tanto naturale da sembrare quello della gioventù, in cui il fuoriclasse di tango argentino lascia intravedere le sue potenzialità, ma sbaglia ancora gol decisivi: una delle più recrudescenti e poco citata di questi primi due anni (le altre le conoscete: contro il Porto in Uefa, rigore con la Lazio ecc.). Certo Gonzalo vince anche una Supercoppa quasi da solo, ma l’impressione è che l’esperienza scottante con Fiorenzino Pérez sia ancora lì nei suoi pensieri. Forse Gonzalo, quando torna a casa, si lancia sul suo letto, e fra le coperte e il cuscino il suo volto è come un grande occhio che non si distoglie dalle voragini che dal soffitto si stagliano su di lui, fissandolo.

Capitolo III. Il Pipita incontra Arrigo Sarri

Il Pipita nell’estate del 2015 vuole andarsene. Ha appena fatto la seconda figura di merda consecutiva in diretta galattica divorandosi un gol e sbagliando un rigore decisivo nella finale di Coppa America, e punta i piedi: Napoli le sta stretta, è troppo poco per lei. Chiede di essere ceduta, ma l’incontro con lo studioso Arrigo Sarri la convince che un altro futuro è possibile. Viene conquistata seduta stante dallo charme di Arrigo, cui dedica 38 gol stagionali, trasformandosi in un misto di Batistuta, Milito e Crespo. Si vocifera persino che Gonzalo sia stato costruito dal dott. Gelo con le cellule di questi grandi centravanti argentini raccolti nei campi di calcio più importanti del mondo e creato in laboratorio. Batte il record di gol della serie A con una rovesciata, anche se sembra che la lotta scudetto con il suo migliore amico lo abbia logorato, fino al punto che, quasi quasi, adesso mi metto con lui perché in fondo mi piace, lì si vince. Tu sei solo bello e profondo come la vita e il dolore che provo per non averti saputo amare quanto questo tuo amore che qui vedo, in fondo, meritava. Si congeda da Arrigo dicendogli che non hai mai trovato nessuno come lui e che, forse, nessuno sarà alla sua altezza nel futuro prossimo venturo.

Capitolo IV. L’estate della crisi

Mentre Arrigo Sarri cerca di capire se veramente ci siano differenze apprezzabili fra uomini e animali e in cosa consistano, Gonzalo parte per gli Stati Uniti, dove si disputa la Copa America del Centenario. Tutto fa pensare che l’Argentina vincerà a mani basse, ma qualcosa va storto: lontano dal suo Arrigo, e con un nuovo allenatore, il Pipita si schianta in una incomprensibile gestione della situazione, un pallonetto che neurologicamente è poco spiegabile, se non come il risultato di una decisione spezzata nella sua attuazione. Sarà capitato anche a voi di scegliere qualcosa o qualcuno pensando che sia la cosa più giusta da fare, e cambiare idea mentre quella scelta la si è già attuata. In quel momento, Arrigo Sarri, nell’oscurità della sua casa, da solo con i suoi libri e nient’altro, guarda l’errore del Pipita in tempo reale e capisce che quell’errore innescherà una reazione nell’emotivo Gonzalo che lo porterà per sempre lontano da lui. Arrigo è troppo sensibile e intelligente per non capire che Gonzalo realizzerà di poter vincere solo laddove la tradizione gli impedirà di sbagliare; laddove l’eidos borghese si mescola all’aisthesis musicale muovendo la danza diabolica e seducente di un Dioniso compositore, del gusto così delicato del suo bianco miele. Arrigo decide così di non dire più nulla, e di lasciare al tempo tutto quel dolore che vedrà, a lungo termine, trasformarsi in noia e seccatura per averlo soltanto provato.  Arrigo pensa che in fondo ognuno è libero di amare chi vuole; Arrigo pensa a quando la vita tornerà ad essere silenziosa e indifferente, ben consapevole che, se proprio non ha potuto accogliere il dono più grande di tutti, non essere nato, forse c’è ancora la speranza di morire giovane.