Dal DIARIO ROSSO di Mircea Eliade

16 – dicembre – ****

Era la terza volta che mi recavo in Castalia; a invitarmi in questa occasione era stato il geniale e cagionevole Archivista e Filologo Tegularius [alias F. W. Nietzsche] – per il tramite formale del Magister Ludi Frank K. – al fine di coadiuvarlo nella revisione e formalizzazione dei grafemi simbolici sintetici che dovevano andare ad arricchire la sontuosa panoplia del Gioco delle Perle di Vetro nell’ambito Iniziazione mediterranea preclassica. Nella settimana di lavoro sui grafemi avevo avuto modo di colloquiare nel tempo libero con il Magister Ludi Frank K. medesimo in stato di delirio euforico, con il mercuriale e squisito Magister Musicae Francesco Libetta, con il Magister Vici Lurorum H. Hesse prostrato dall’artrosi, con il Magister Fabulae Giovanni Dei Magnisanti che in quel periodo stava lavorando al terzo tomo del suo monumentale Terra non nota, con il Magister Dioramae Marco M. concentrato sulla decostruzione di Schopenhauer e la costruzione di un paradigma di pensiero dove la volontà era elisa e permanevano e venivano sviluppate la rappresentazione e l’immagine: più volte mi aveva ripetuto «tutto è diorama» e «tutto è rappresentazione» e «tutto è immagine, il fondamento non si dà, se anche si desse sarebbe inattingibile.»

L’ottava notte contavo di passarla alla Locanda Micrologica, ubicata in Castalia, ma vicina al confine e quindi comoda per il percorso mio di ritorno nel mondo civile. Vi arrivai in carrozza, mi feci assegnare una stanza dall’oste, mi lavai, mi cambiai l’abito, meditai per due ore e in fine scesi nella sala comune al piano terra dell’osteria, contando di mangiare e proseguire nella rilettura delle Confessioni di Sant’Agostino d’Ippona. Con mio sommo stupore e piacere notai la presenza del Magister Misticae Meister Eckhart, andai a salutarlo con deferenza e questi mi chiese di unirmi a lui. Così mi sedetti al suo tavolo appartato.

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Licenziati i convenevoli – mi accorsi che stava bevendo sangiovese rosso e che era alticcio –  e avendomi spigato che si trovava lì per raggiungere il giorno successivo l’eremitaggio del Fratello Sinologo Magister libris mutamentorum, mi chiese perché leggessi le Confessioni, io risposi che stavo da qualche anno riflettendo su Dio, al che lui – impassibile – disse: «Di che vorresti parlare? Della caccia? Della femmina? Di quale carne vorresti parlare? Ti vedo, tu hai la testa piena di carne! No, dimmi piuttosto perché credi in Dio, in un Dio personale e non invece nella natura o in una forza superiore che trascende la personalità?»

Io dissi: «Credo in un Dio personale per un motivo molto semplice; cioè perché solo un Dio personale può custodire la mia personalità. Perché senza di lui la mia soggettività si disperderebbe dopo la morte; nulla rimarrebbe del mio vissuto, dei miei ricordi, della mia memoria, della mia prospettiva che si affaccia sulla realtà. Dei miei pensieri. Perché – senza di Lui – l’Io-che-io-sono non sarebbe eterno, non sarebbe nemmeno un’essenza. Sarebbe invece passeggero, una funzione, un risultato di processi estranei a me; in sintesi una sorta di illusione contingente, una fugace modalità di manifestarsi dell’essere che è tratta in inganno dalla percezione dell’esistenza e si postula sostanziale, si ritiene un’entità reale, fondamentale, prima. Ma è in verità un derivato, un guizzo dell’essere che fu nulla e che tornerà a essere nulla, un assurda apparenza estemporanea causata da altro, eteronoma, insussistente di per sé.»

Lui disse: «Ti vedo. Penso che tu abbia detto qualcosa di agghiacciante. Penso che il tuo Dio sia il Dio dei bambini. Il Dio personale è solo il Dio dei bambini! Del resto la maggior parte degli umani stanno al mondo in modo ben meno sensato dei bambini, lo vedo.»

Io dissi: «Ma io ho detto, molto sinceramente, quale è il bisogno più profondo che mi spinge a credere in un Dio personale; cioè: che Io non sia nulla, e non possa diventarlo. I bisogni profondi sono gli stessi nell’uomo e nel bambino, cambiano le esplicazioni, i contenuti, i modi… Io non ho fatto speculazioni teologiche. Ho guardato in me e ho detto senza infiorettamenti, quello che ho visto. La mia autenticità religiosa.»

Lui disse: «Certo! Ma il punto non è questo. Ovvero il punto è proprio questo. Il punto è che il nostro credere è troppo spesso errato, superficiale. Il contrario di quello che dovrebbe  essere: l’esatto, preciso, opposto! Tu esponi la teoria dell’Io che non vuole essere nulla, ma questo è egocentrismo spicciolo! È una pulsione psichica che non ha nulla a che vedere con lo spirito e con Dio. È il contrario! Ascoltami: il tuo scopo è salvare il tuo Io e i suoi «vissuti, ricordi» et coetera. Id est i materiali mentali, le contingenze, le determinazioni – ossia ciò che ci allontana dallo Spirito. Il contrario di Dio è Io! Il contrario di spirito è Io! Se c’è Io non c’è Dio! Tu, con le tue belle parole, hai espresso la falsa spiritualità di una merciaia di provincia, di una pescivendola, di un appaltatore di nettezza di cloache, di un Prefetto! Senti questo Mircea: l’unico modo di incontrare Dio è distruggere Io. Liberarsi di Io, dei suoi contenuti, dell’Io sostanza e soprattutto dell’Io fondamento. Ma queste poi sono solo parole, chi se ne frega! Ascolta: distaccati da Io e dai suoi materiali. Quando Io sarà distrutto allora si aprirà il Fondo dell’anima, dove è lo spirito, dove non c’è differenza tra Io e Dio. Perché entrambi sono la stessa cosa. Il tuo spirito – che non è tuo, ma per capirsi, diciamo meglio: la tua esperienza dello spirito – penetrerà Dio e sarà penetrata da Dio. Non esisterà più Dio oggetto esterno. Dio oggetto esterno! Roba da Preti e da Prefetti! Roba da politici! Non ha nulla a che vedere con lo spirito. Ma io ti vedo, tu non capisci. Se Dio è soggetto allora è anche oggetto e allora è anche esterno. Se tu sei soggetto sei esterno a Dio, lui è oggetto per te e tu lo sei per lui. A questo livello esistono solo i materiali psichici, non c’è spirito e il Dio che dici te è superstizione, egoismo, è la negazione di Dio. Distruggi Io, distruggi soggetto e oggetto, tutti soggetti e tutti gli oggetti. Allora arriverà lo spirito, allora ci sarà il Fondo dell’anima. Ma Fondo non è fondamento! I fondamenti sono oggetti, vanno distrutti. Il fondo è una profondità insondabile, è la profondità che sprofonda. Nessuna ontologia! Quelle sono fantasticherie – porcherie! – dei filosofi. Voi ragazzi non sapete nulla di Dio, né della cosa mistica, vi vedo.»

Io dissi: «Mastro mi diresti cosa è la cosa mistica?»

Lui disse: «La cosa mistica è quell’esperienza soggettiva che produce una modificazione – temporanea, ma i cui effetti-strascichi permangono – del proprio status umano e personale quesito e normale, ordinario. È l’essere pervasi dal senso, è un’esplosione estatica di senso in sé che distrugge la normale condizione limitata, necessariamente gretta, invischiata nelle misere determinazioni contingenti delle vicende e faccende della propria vita – più o meno minute che siano. Ha queste caratteristiche: I) Liberazione dalla nostra normale condizione miope, incarcerata nelle pigre abitudini mentali e prospettiche, spesso più o meno vagamente possessivistiche; estinzione degli attaccamenti ottundenti e dei pregiudizi fossilizzati in base ai quali agiamo e pensiamo. II) Percezione strabordante estatica consistente nell’essere pervasi dall’altamente significativo, dell’illuminazione, del risveglio di tutto il nostro potenziale semantico e umano, accompagnato dalla certezza autoevidente dell’autenticità realizzante del tutto. III) Dilatarsi della nostra individualità; progressivo sgretolarsi dell’individuazione egoistica e egocentrica; sfumare delle formazioni mentali egotistiche e sentimento dell’unione non solo inclusiva ma anche partecipativa con ciò che-normalmente-non-è-me. IV) Proliferare inarrestabile della comprensione di cose che prima c’erano oscure, o celate, o che avevamo rimosse o date per scontate; senso di beatitudine in questo ed elemento soteriologico, id est senso di salvezza, usando una terminologia metaforica di stampo teologico, diciamo, cancellazione della condizione irrisolta, inquietante, tragica dell’essere umano individuato e perso con angoscia nei labirinti dell’assurdo desertificato che lo circonda; id est – in metafora – cancellazione del peccato originale: quindi comunione con il sé non sdoppiato, comunione con la realtà, comunione con l’altro; significato in sé, significato negli altri, significato nella realtà tutta. Questa realizzazione significativa che ho tratteggiato al massimo – del tutto improbabile – della sua portata e in tutte le sue sfumature, si dà invece nella vita, diciamo, in dosaggi i più disparati e vari, spesso molto piccoli, spesso non comprendenti tutte le caratteristiche, cioè c’è una vastissima gamma di possibili gradazioni esperibili.»