Preambolo finale – Perché la forma non può, né deve, avere fine

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Con questa terza dissertazione si completa la Trilogia della forma. Trattasi di un testo presentato alle Giornate tondelliane edizione 2015 dove si affronta il famoso ex ergo del romanzo Rimini: “Che lo voglia o no, sono intrappolato in questo rock’n’roll. Ma sono un autore e sono un musicista, per molti versi un entertainer”. Questo ex ergo, poi espunto dalla versione francese del libro, se adeguatamente glossato svela come dentro alla levità del linguaggio tondelliano vi sia una stratificazione di richiami tale da renderlo tutt’altro che semplice. Quello che io vi chiedo è: credete sia davvero giusto reputare degno di studio solo ciò che appare come illeggibile? Non forse è di maggiore complessità ciò che appare come aproblematico, cantabile (o contabile)? Con queste due domande mi congedo ringraziando Andrea Zandomeneghi per avere supervisionato questo percorso che, proprio per la sua stessa costituzione, era destinato ad avere un epilogo, una fine sospesa. Perché la forma non può, né deve, avere fine.

Verso Rimini: Joe Jackson e il postmoderno mistico

Rimini è il primo romanzo di Pier Vittorio Tondelli pubblicato da Bompiani nell’estate del 1985. La dedica ad A.T., ossia Aldo Tagliaferri, l’editor che lo ha seguito in Feltrinelli, suona come il commiato ad un periodo della sua produzione artistica. L’idea primigenia di Rimini risale addirittura al 1979:

Conseguenza di uno “Shock Baldwin” vivissimo: il plot deve essere molto forte, una storia funziona se ha l’intreccio ben congegnato… Ho bisogno di raccontare, di far trame, di scardinare i rapporti tra i personaggi. Il fumettone mi va benissimo, più la storia e lo stile sono emotivi meglio è. Inizierei con un ambiente (gli ambienti, i personaggi dell’oggi, ecco cosa manca in Italia nei libri) cioè Rimini, molto chiasso, molte luci, molti cafè-chantant e marchettari…[1].

Quindi il libro, prima di arrivare alla forma attuale, è stato in lavorazione per più di cinque anni. Un record nella produzione tondelliana. Sappiamo, inoltre, che l’autore fra il 1982 (l’anno in cui termina Pao Pao) e il 1983 (l’anno in cui abbandona il progetto di romanzo Un weekend postmoderno) doveva aver scritto una parte cospicua del materiale che confluirà dentro Rimini: in un’intervista del 12 Aprile 1984 concessa a Marina Garbesi l’autore sostiene di aver composto già trecento pagine, ma saranno fondamentali per portare a compimento il romanzo gli ultimi mesi di lavorazione che vanno dall’ottobre 1984  al febbraio del 1985. Infatti nel marzo del 1985 viene consegnato a Bompiani che lo pubblica nel maggio dello stesso anno, appena in tempo per l’estate in cui Rimini diventerà un best-seller. Questa sovraesposizione mediatica che portò addirittura Tondelli a essere protagonista di una serata di gala all’insegna dell’immaginario collettivo su Rimini condotta da Roberto D’Agostino e accompagnata dalle note di Lu Colombo (nota per l’evergreen Maracaib.) certo non giovò alla ricezione del romanzo[2]; e forse ancora oggi, nonostante sia stato celebrato con un volume monografico in occasione del ventennale dell’uscita[3], è considerato come l’opera più controversa di Tondelli. Se da una parte i fan della prima ora lo percepirono come un tradimento, dall’altra i critici ne parlarono come di un romanzo “un po’ didascalico e alla lunga stucchevole[4] o addirittura di “un disastro”[5] nato sotto l’egida del “più banale e grossolano produttivismo editoriale[6]. Anche Antonio Spadaro in Lontano dentro se stessi fa sue alcune parole di Elisabetta Rasy affermando che “in effetti la forma narrativa a Tondelli più congeniale e certo meglio riuscita è stata sempre quella del testo breve, laborioso e intelligente[7].Una delle critiche più ricorsive è riferita alla struttura dell’opera, infatti si parlò addirittura di “racconti appiccicati insieme a far romanzo“.[8]

È paradossale notare invece come Tondelli ritenesse Rimini, almeno fino a quel momento, la sua opera più ambiziosa: “Vorrei fare un romanzo in cui gli stili si incrociano così come i sentimenti; vorrei fare un romanzo – e lo sto facendo – che mi assomigli: che sia tenero e disperato, violento e dolce, divertito e assorto, struggente e mistico.[9] Certo non è difficile comprendere, col senno di poi, lo scetticismo profondo dei contemporanei quando l’ex enfant terrible di Altri libertini apparve negli affiche pubblicitari con in mano il libro e al fianco la dicitura: “Rimini, il romanzo dell’estate“. Le recensioni dell’epoca ancora oggi in larga parte veicolano la ricezione dell’opera che ha trovato solo in tempi recenti, con i contributi di Giulio Iacoli e Giorgio Nisini[10], una lieve inversione di tendenza. Però l’interrogativo ancora oggi persiste: un successo di cassetta o l’ennesima dimostrazione della coraggiosa ed inquieta sperimentazione tondelliana?

Rimini è certo un romanzo sovraccarico di storie che s’intrecciano, frutto di un incessante lavoro durato anni. E, in effetti, muoversi nella complessa e accidentata stratigrafia tematica e compositiva necessita di particolare attenzione. Anche perché il postmoderno in Tondelli, soprattutto a partire da Rimini, non è apogeo dell’inautenticità o effetto di apocrifo[11], ma piuttosto incessante ricerca di verità. Perciò il ricco ventaglio di rimandi interni che spaziano dalla mistica alla canzonetta pop non sono altro che un modo per superare i limiti intrinseci della parola umana. Sintomatica dell’atteggiamento idiosincratico dell’autore questa dichiarazione del 1985 quando, interpellato se reputasse o meno calzante la definizione di romanzo cinematografico per Rimini, risponde così:

Una definizione che mi sta bene purché ci si intenda sui termini. In genere si dice che un libro ha un linguaggio cinematografico quando è scritto come una sceneggiatura, ma del film la sceneggiatura è una piccolissima, stupidissima parte, senza dignità letteraria. Il testo cinematografico non è la sceneggiatura, è l’immagine, la musica, il suono. È la sontuosità del linguaggio, non una riduzione del linguaggio. Guerra e pace, ecco, è un libro cinematografico. Non i romanzi con stile asciutto e piatto[12]

Nel testo di Rimini, quindi, ogni tipo di citazione o allusione deve essere vagliata con estrema cautela poiché non sono giustapposte in modo casuale ma configurate armoniosamente secondo una meticolosa architettura: nel romanzo, infatti, si trovano I Pensieri di Pascal o, come se fra essi non vi fosse differenza, una canzone degli Smiths[13]; questo non deve fuorviare, facendo credere ad un uso indiscriminato e depistante di rimandi, poiché è affermazione di una libertà espressiva intesa come rivendicazione di pienezza, e ben rappresenta la cultura onnivora del nostro, in aperta polemica al postmoderno come sterile modo combinatorio e iperletterario. Il sontuoso vuole, quindi, soppiantare la riduzione del linguaggio simboleggiata dalla carta di Mercatore di Del Giudice in Lo stadio di Wimbledon (1983)[14]. E così ogni citazione apre abissi di senso nonostante l’apparente istantaneità del linguaggio adottato per Rimini. Si rammenti che Tondelli definì la scrittura di Isherwood come “solo apparentemente banale e leggera, quando invece è frutto di successive messe a punto.”[15] Questa definizione sia valevole anche per la scrittura di Rimini, dove traspare in filigrana l’incessante lavoro di labor limae e callida iunctura.

Il complesso gioco di rimandi, di cui anche i nomi fanno parte, inizia fin dall’ ex ergo, dove apre le danze una citazione tratta da un’intervista a Joe Jackson, uno dei musicisti più amati dallo scrittore:

Che lo voglia o no, sono intrappolato in questo rock’n’roll. Ma sono un autore e sono un musicista, per molti versi un entertainer”[16]

Nel novembre 1985 durante l’intervista Canta, autore (Rock Star n.62) Tondelli confida ad Antonio Orlando, l’intervistatore, da dove ha preso la citazione:

È una frase che ho tratto da un’intervista di Guido Harari […] Mi piaceva, fotografava un po’ tutta la mia situazione.[17]

L’intervista è di Guido Harari, però Tondelli probabilmente legge queste parole di Jackson non dall’intervista originale[18] ma in un’introduzione firmata da Harari stesso al libro Joe Jackson, tutti i testi, con traduzione a fronte pubblicato da Arcana editore nell’ottobre 1984. Erano molto in voga, all’epoca, questo genere di volumi quando la conoscenza dell’inglese era meno capillare nel nostro paese; è molto probabile, quindi, che Tondelli, essendo Jackson il suo artista preferito, si fosse rapidamente procurato il libro. Non è possibile avere l’assoluta certezza di questa ipotesi, però almeno due dati la rafforzano: nel maggio 1986 l’autore acquistò un analogo volumetto di traduzione di testi, in questo caso dedicato alla band britannica degli Smiths. Inoltre Matteo B. Bianchi, amico personale dello scrittore, ha raccontato come Tondelli si crucciasse di non avere una conoscenza maggiore dell’inglese per comprendere immediatamente i testi delle canzoni[19]. Così appare plausibile l’acquisto di un libro di traduzioni con testo a fronte. È noto, inoltre, come Tondelli considerasse i testi delle pop song alla stregua di componimenti poetici, diretti continuatori dell’antica tradizione in cui l’aedo si accompagnava con la cetra recitando i suoi versi[20]. L’introduzione di Harari risulta essere un documento prezioso per comprendere cosa effettivamente quelle parole di Jackson significhino rispetto a Rimini. Nel saggio il critico racconta, citando passi di un’intervista, l’evoluzione del musicista inglese che in quegli anni era all’apice della popolarità. Infatti dopo i trascorsi Punk e Wave di fine anni Settanta, con i suoi Night and Day (1982) e Body and Soul (1984) fu il padrino, insieme all’ex Steely Dan Donald Fagen e al suo The Nightfly (1982), del New Cool (in Italia soul bianco), ossia il revival Pop-Jazz dei primi anni Ottanta che fu rappresentato da band come Style Council, Matt Bianco e Working Week. Il New Cool fu, a tutti gli effetti, un ritorno all’ordine dopo generi di rottura come il Punk e la New Wave. Joe Jackson, certo, era il perfetto alter ego di Tondelli perché anche lo scrittore di Correggio dopo la sperimentazione linguistica dei due libri d’esordio decise di proporre la sua versione di classicità. Guido Harari spiega con precisione la svolta di Jackson, dove lo sterile susseguirsi di mode musicali s’interrompe in nome di un radicale back to the roots:

[…] la riappropriazione (inedita per certuni) operata da Jackson, in nome d’un feeling immediato e di una vena di entertainment sano che il rock ha perduto, è solo il primo segnale della svolta imminente dell’artista[21]

Tondelli intende rivendicare la forma romanzo classica che, è noto, era intrattenimento e non un gioco accademico iperletterario e autoreferenziale. Perciò il suo modo di recuperare “i canoni della verisimiglianza settecenteschi”[22] è tutt’altro che banale: secondo l’autore non basta riproporre pedissequamente il romanzo delle origini ma reintrodurvi tutto ciò che è stato emendato dal postmoderno combinatorio, fra cui la “musica”. Per comprendere meglio quello che, in realtà diviene una classicità intesa come recupero di un senso primigenio, occorre citare le preziose parole dell’intervista di Harari a Jackson, esattamente quando il musicista inglese racconta la gestazione di Body and Soul del 1984, il disco a cui l’Autore si ispira per la sua svolta poetica:

I testi sono essenziali, ridotti al minimo. Si tratta quasi di un disco strumentale, il che sottolinea la mia crescente frustrazione nei confronti dello scrivere canzoni pop e il mio tentativo costante di modificare formule e strutture, Credo che la ricchezza armonica e melodica degli standards di Gershwin e Porter sia andata perduta e il pop non sia altro che stupidi ritornelli e melodie noiose. Oggi mi interessa una musica dotata di un ritmo, tutta da ballare, e di una vera melodia, di quelle che ti ronzano in testa per un pezzo[23]

Se Joe Jackson è un musicista inglese che è andato in America per riscoprire Gershwin e Porter, Pier Vittorio Tondelli fra il novembre e il dicembre del 1984 (durante le fasi di lavoro finali di Rimini) si recò in Germania per visitare i luoghi in cui era vissuto Christopher Isherwood nei primi anni Trenta. E Christopher Isherwood stesso, un po’ come Joe Jackson, si era trasferito in America negli anni quaranta “per scoprire un nuovo me stesso“, “un mio io americano[24]. La ricerca di una patria elettiva che prima è luogo d’elezione e poi gesto linguistico come scoperta e disvelamento dell’io può e deve essere annoverata fra i motivi che hanno indotto Tondelli a concepire il romanzo Rimini così come noi lo conosciamo.

Joe Jackson è davvero, quindi, un’influenza profonda in Rimini di Pier Vittorio Tondelli. Entrambi i due artisti cercano una forza archetipica e primigenia rispettivamente nella musica e nel linguaggio. Continuando il parallelo fra i due autori, si confronti un altro brano dell’intervista Harari-Jackson con un articolo del Giugno 1985 intitolato Quel bisogno di poesia. In questo articolo Tondelli commenta e traduce I don’t owe you anything degli Smiths ma qui basti citare il polemico attacco contro le accademie:

Volevo vivere a New York […] In Europa i musicisti assimilano le varie culture in modo accademico, intellettuale, con distanza e sarcasmo. Qui a New York è impossibile, devi tuffartici a capofitto, è inevitabile. Quando sono arrivato qui ho capito che il rock non faceva parte della cultura di questa città. C’era ben altro da esplorare. […]  Ho riscoperto dunque il jazz, lo swing, una musica che in Europa è stata sequestrata da una banda di snob, di teorici boriosi e di impiegati dello strumento[25].

Il bisogno di poesia – bisogno assolutamente struggente negli anni della prima giovinezza – è stato soddisfatto, per intere generazioni, dalle parole delle canzoni: testi pop, psichedelici, neo-futuristi, intimisti, onirici, sentimentali, politici, ironici… Mentre la poesia colta entrava con l’esperienza della neo-avanguardia nelle secche dell’incomunicabilità rinunciando alla produzione di significati poetici ( e spezza e distruggi oggi, annulla e azzera domani, cosa poi rimarrà?)”[26]

I paragoni con molti scrittori americani che trovo ampiamente giustificati (Chandler su tutti) hanno lo svantaggio di occultare la pluralità di influenze che Tondelli riesce a sintetizzare perché l’America letteraria in Rimini non è ascrivibile ad un solo autore ma è un meltin’ pot che consente di riportare il romanzo alla sua originaria godibilità e potenza evocativa; la possibilità concreta di riferirsi alla realtà costruendo un ventaglio di storie che il postmoderno accademico avrebbe riutilizzato solo per imbastire un tableau ironico e citazionistico della letteratura. Nel Tondelli di Rimini, sebbene ciò sia abilmente nascosto da dialoghi all’americana che l’autore a posteriori rimpiangerà, è già presente sottotraccia una dolente e omnipervasiva profondità che prenderà il sopravvento in testi come Biglietti agli amici o Camere separate.  Quindi, invece che Gershwin, Porter ed Ellington si pensi a Fante, Baldwin o Fitzgerald.

Il magmatico spettro d’influenze americane da cui l’autore, come Joe Jackson, vuole lasciarsi completamente coinvolgere senza autocensure, affermando che lo stile è sopravvalutato e affidandosi totalmente al contenuto, è il propellente da cui si muove la sua visione idiosincrasica di romanzo. Perciò l’elogio alla letteratura di genere e al romanzo “cinematografico”, non è altro che la possibilità di creare ombre di luce in un atto di creazione di secondo livello ma pur sempre un atto di creazione che tende al divino. Così appare come se la recensione a Isherwood in cui Tondelli parla di romanzo per clarinetto e orchestra distanziandosi dal punto di vista dell’autore di Centuria, fosse più un confronto fra due musicisti Jazz, un europeo che suona in modo accademico e intellettuale contro un inglese andato in America per scoprire le origini di quella musica, che uno scontro di poetica fra scrittori[27]. Non si deve intendere, quindi, letteratura di genere come attraversamento dei possibili con distanza ironica ed effetto di apocrifo quanto piuttosto letteratura di genere come disvelamento dell’io. Per Tondelli l’atto di creazione di Friedrich Bergmann in La Violetta del Prater è una dichiarazione di poetica per interposta persona che certifica perentoriamente la volontà di prendere le distanze da scrittori accademici come Eco o intellettuali come Manganelli che, non a caso, ha “una profonda invidia per la musica[28], in favore di una rinnovata immediatezza dove l’autore/musicista crea, sì, un falso, ma suona una musica completamente sua. La musica, quindi, come antidoto all’autoreferenzialità del segno linguistico e via di contemplazione mistica.


[1]P.V.T, Opere, a cura di Fulvio Panzeri., Vol. I, p.1167.

[2]Il romanzo suscitò l’interesse dei Fratelli Vanzina che volevano farne un film ma Tondelli rifiutò le avance del duo decidendo di scrivere una sceneggiatura di Rimini con il regista Luciano Mannuzzi. Il film non fu mai girato però in compenso uscirono nel 1987 e nel 1988 i film a episodi Rimini Rimini e Rimini Rimini un anno dopo firmate da Sergio Corbucci. Queste pellicole non sono in alcun modo correlate con il romanzo di Tondelli.

[3]P.V.T, Rimini vent’anni dopo, a cura di Fulvio Panzeri, Guaraldi, Bologna 2005.

[4]F. La Porta, La nuova narrativa italiana Travestimenti e stili di fine secolo, Einaudi, Milano 1995.

[5]G. Raboni, Antiromanzo? No, grazie, in Il Messagero, 11 Febbraio 1986.

[6]G.Giudici, Rimini, bel suol d’amore, in L’Espresso, 29 Settembre 1985.

[7]A.Spadaro, Lontano dentro se stessi, cit., p.135 ma in origine E. Rasy, Tondelli, ultimo weekend tra il rock e la Padania, in La Stampa, 6 Febbraio 1993.

[8]G.Giudici, Rimini, bel suol d’amore, cit.

[9]P.V.T, Rimini vent’anni dopo, cit., p.138.

[10]G.Iacoli, Prove per un mosaico – Tondelli e le seduzioni dell’immaginario americano, in AA.VV.,Studi per Tondelli, Monte Università Parma Editore, Parma 2002, p.387-405. G.Nisini, Apocalissi private e smarrimenti collettivi – Il futuro interiore di Pier Vittorio Tondelli, in AA.VV.,Geografie tondelliane, Guaraldi editore, Rimini 2007, p.233-258. Ai due contributi di Iacoli e Nisini è da menzionare inoltre il ricordo di Annamaria Andreoli, dove il critico definisce Tondelli come “il potente narratore di Rimini“.Pier Vittorio Tondelli o la scrittura delle “occasioni autobiografiche”, Edizioni sinestesie,  Avellino 2013, p.41

[11] Si veda C. Benedetti, Effetto di apocrifo, in Pasolini contro Calvino, Bollati Boringhieri, Torino 1998 p.89-114

[12]P.V.T, Rimini vent’anni dopo, cit., p.153. Guerra e pace viene utilizzata da Tondelli in un contesto cinematografico anche nel romanzo Rimini quando il regista Tony per omaggiare la bravura dell’amico sceneggiatore Robby afferma: “Sapevi imbastire in un’ora di lavoro dieci pagine fitte di dialoghi che raccontavano più di Guerra e Pace […] eri il migliore e lo sapevi.” P.V.T, Opere, cit., Vol I, p.473.

[13] Il pensiero di Pascal in questione è: “Se vivere senza cercare di conoscere la nostra natura è un accecamento soprannaturale, vivere male, pur credendo in Dio è un accecamento terribile.” Si tratta del pensiero n.517 dello scrittore francese. Invece, per quanto riguarda la canzone degli Smiths, I don’t owe you anything, si tratta della decima traccia del disco d’esordio della band inglese che uscì il 20 Febbraio 1984 presso l’etichetta Rough Trade.

[14] “Passano sui punti intermedi; il comandante, o più probabilmente il secondo, avrà aperto la carta e controllato le distanze parziali: 25 miglia tra Mauro e Corner, 55 tra Corner e Yankee, un triangolino immaginario poco più a sud di Genova. La carta sarà stata una sezione, il foglio dell’Europa Centrale della più generale e mondiale carta di navigazione aerea. Questa è basata sulla più antica Carta di Mercatore, la carta con cui si costruiscono quasi tutte le altre, dato che si può immaginare come la proiezione della terra su un cilindro tangente alla sfera dell’equatore, sul quale il mondo tagliato con le forbici venisse arrotolato e poi srotolato e messo in piano. I meridiani restano equidistanti; i paralleli si piegano convessi verso i poli, bocche sempre più sorridenti al Nord e sempre più tristi al Sud. Ma la carta di Mercatore non è una proiezione geometrica, è inventata con un calcolo preciso, e con una matematica quasi perfetta. Il suo secondo nome è Rappresentazione”. D. Del Giudice, Lo stadio di Wimbledon, Einaudi, Torino 1996, p.82. Mentre Del Giudice per il suo libro d’esordio parla apertamente di rappresentazione invece Tondelli, in una poco nota intervista “francese” del 1990, afferma che Rimini ” ce n’est pas la mimesis!”. J. Decker, Tondelli: Pour un cosmopolitisme moderne, Le soir, 6 Jun 1990.

[15]P.V.T, Opere, cit., Vol. I, p.904.

[16]D. Sapienza e G. Harari, Joe Jackson, tutti i testi con traduzione a fronte, Arcana  Editrice, Milano 1984, p.19.

[17]A. Orlando, Canta autore, Rock Star  n.62, Novembre 1985.

[18] Il saggio-intervista di Harari è datato Luglio 1984, mentre la pubblicazione del libro su Joe Jackson risale all’Ottobre dello stesso anno. Ho svolto una ricerca approfondita sui giornali di musica usciti in quel lasso di tempo ma non ha sortito effetto. È invero molto probabile, però, che il saggio prima di apparire nel volume sia uscito, magari in forma abbreviata, anche in rivista.

[19]Aa.Vv.,Caro Pier.. I lettori di Tondelli: ritratto di una generazione, a cura di Enos Rota, Selene Edizioni, Milano 2002, p.11-12. Se da una parte Tondelli aveva difficoltà a comprendere le parole delle canzoni, dall’altra leggeva agevolmente l’inglese. Si ricordi che l’autore lesse molte delle opere di Isherwood in lingua originale, poiché non erano state ancora tradotte in italiano. Questo avvenne per opere come Christopher And His Kind, My Guru And His Disciple e October.

[20] Si veda soprattutto Un racconto sul vino (1988)  e Quarantacinque giri per dieci anni (1990).

[21]D. Sapienza e G. Harari, Joe Jackson,cit., p.14

[22]“Nella primavera del 1981, il direttore di un quotidiano alla cui terza pagina collaboravo da poco più di un anno , mi propose di trascorrere due mesi sulla riviera adriatica per lavorare a un inserto speciale. Non partii mai. È per questa semplice ragione che fatti, avvenimenti, personaggi di questo romanzo – pur nel rispetto della realtà e delle fonti d’archivio – sono del tutto immaginati e frutto solamente di una fantasia imbrigliata nei canoni settecenteschi della “verisimiglianza”. Questa nota d’autore è presente alla fine di Rimini è in un certo modo ricalca le posizioni teoriche che Tondelli affermò nella sua tesi di laurea sul romanzo epistolare del Settecento. Però questo post-scriptum non è del tutto esauriente in quanto Rimini è un movimento narrativo estremamente più complesso.

[23]Il termine classicità è ambiguo. In che senso si può ritenere Tondelli classico? Rispetto a cosa?Così per comprendere la svolta di Rimini fin da ora, nonostante il termine classicità sia quello usato dall’autore, propongo di sostituirlo con quello di archetipicità per ragioni che risulteranno evidenti nelle prossime pagine. D. Sapienza e G. Harari, Joe Jackson,cit., p.18

[24]C. Isherwood, Il mio guru, cit., p.9

[25]D. Sapienza e G. Harari, Joe Jackson,cit., p.15.

[26]P.V.T, Quel bisogno di poesia, in L’espresso del 30 Giugno 1985. Le prime quattro righe (da Il bisogno di poesia fino ai puntini di sospensione) è confluito in Un weekend postmoderno mentre tutto il resto dell’articolo, dove l’autore commenta il testo della canzone I don’t owe you anything degli Smiths, è inedito in volume.

[27] Nel 1988 Tondelli recensì la nuova edizione Einaudi di La Violetta del Prater di Isherwood. Questa versione del libro  “si avvale di una squisita prefazione di Giorgio Manganelli che dice, nella prima parte, meraviglie: “Se Isherwood scrivesse musica la sua predilezione – ha qualcosa di infantile – andrebbe ai fiati: romanzi per oboe, clarinetto, per corno di bassetto. Il corno di bassetto è aereo di quella ariosità serale e boschiva che s’accompagna a una solitudine insieme pittoresca e irreparabile”. Ma Manganelli ritiene che questo sia un libro d’ombre e da un punto di vista “vedico” ha pienamente ragione. Forse però l’ombra in Isherwood ha sempre i contorni deliziosamente calligrafici, sentimentalmente evocativi di personaggi e situazioni reali visti attraverso il ricordo di un’ombra insomma non cupa, ma rilucente […].

[28]Si veda G. Manganelli, Una profonda invidia per la musica, invenzioni a due voci con Paolo Terni, L’orma editore, Roma 2014. In questo libro si può leggere la fedele trascrizione del dialogo sulla musica avvenuto fra Manganelli e Terni nell’ambito del ciclo della trasmissione radiofonica RAI “La musica e i dischi di…” (1980).