E questo canto è il nostro amuleto.

Ci sono momenti in cui uno darebbe tutto pur di essere stato sudaca, latinoamericano, il tempo di un golpe o di una dittatura militare, di una rivoluzione, uno stupro o un sogno panamericano. È che a noi vecchi europei, in fondo, le primavere dei popoli ci risuonano dentro come madeleines o sirene di Ulisse, richiami di pasión che a stento, un tempo, ci sono appartenuti. Esotismi – o nichilismi.

Amuleto (pubblicato in Italia da Adelphi nel 1999; la casa madre di Bolaño è invece Anagrama, editore e scassinatore di cassettini segreti di prestigio) inizia con una reticenza invertita: “Questa sarà una storia di terrore. Sarà una storia poliziesca, un giallo, una storia di terrore. Però non lo sembrerà. Non lo sembrerà poiché sono io quella che la racconta. Però, in fondo, è la storia di un crimine atroce.” Così si apre il vortice ciclico attraverso cui Auxilio Lacouture, madre della poesia messicana e di tutti i poeti giovani di Città del Messico, divaga pur di evitare il confronto diretto col crimine atroce. Perché, detto sia per inciso, questo crimine è una lunga storia – un destino, tante vittime, troppi correi. Questo crimine, il destino dell’anima sudaca, la sua storia di stupri ripetuti e illusioni perdute, se uno lo raccontasse alla lettera sarebbe il Saviano della cordigliera delle Ande, se non proprio il Travaglio della pampa. Se questo crimine è un destino allora bisogna raccontarlo come un mito.

C’è da impazzire, si dice Auxilio, alta magra e senza i denti d’avanti, versione femminile del Chisciotte. Se uno non impazzisce, dice a se stessa, è per aver conservato il senso dell’umorismo.

Auxilio è mezza pazza ed è la madre della poesia messicana. È uruguaiana, come il Matador e Uragano Gargano, e la pazzia l’ha spinta a visitare le case dei poeti a Città del Messico. Auxilio* è rimasta chiusa in bagno per venti giorni quando l’esercito ha occupato la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Autonoma del Messico. Mentre fuori c’era mattanza Auxilio – che non è scema ma un po’ pazza sì, però non del tutto poichè le resta un po’ di umorismo – leggeva i poemi di Pedro Garfias per non morire di fame. Beveva acqua a pazzo e mangiava carta igienica per non morire di fame. E vedeva le voci, la luna, le apparizioni, il destino, salire dai frammenti di luce che rimbalzavano sulle mattonelle.

Così, come un mito, si svolge la storia di Auxilio. Rinchiusa nel bagno durante la presa dell’Università da parte dell’esercito, nel 1968. Dal buco del bagno (il cesso, la serratura, l’interstizio di mattonella da cui si alza la voce del destino) la storia diventa spirale. O cerchio. O qualcosa di cui si può dire che sia esente dalle regole della successione. Così è possibile, nel 1968, ricordare quando, nel 1974, Arturito Belano accompagnò Ernesto San Epifanio dal re dei ricchioni di Città del Messico per liberarlo da una promessa di schiavitù. Così ciò che accade dopo influisce su ciò che viene prima. Questo è il parto della storia, Auxilio. Non li vedi, scema? Sono loro, i giovani, i bambini. Cantano e vanno verso il burrone. Cantano e stanno per cadere tutti insieme nel burrone. Tu lo sai che dicono, Auxilio? Pare che cantino a guerra ma non è così, io lo so, scema non sono – è l’amore, il piacere, questo è il loro canto. È il desiderio e l’amore. Ma cadranno tutti, questo è il destino e il parto della storia. Il loro canto è il nostro amuleto.

Questo libro elegiaco (lirico e patetico, elegiaco come nessun altro di Bolaño, non a caso messo in bocca a una scema, una mezza pazza, Auxilio, la madre dei poeti giovani e dei bambini del burrone del Messico e di tutta Latinoamerica) ricorda in qualche modo, quando si apre ed è tutto canto, Khorokhané del nostro Faber. Altro esotismo – o peggio ancora, dico – a forza di essere vento.

* “Queríamos, pobres de nosotros, pedir auxilio; pero no había nadie para venir en nuestra ayuda (Petronio)” è l’epigrafe del libro.