“Ci stanno sparando acqua da due ore, se continuano così ‘sti bastardi ci affondano. Dove cazzo è la marina militare?”
Marco ha una paura fottuta. Non se l’aspettava a dire il vero. Nonostante tutto era convinto di avere dei diritti – nonostante avesse urlato sbirri di merda tante volte alle manifestazioni, alla fine credeva che quelle stesse figurine odiose l’avrebbero protetto. Però la paura non l’ha fermato.
Dalla piattaforma petrolifera sul mare tra la Sicilia e l’Africa, il cimitero più grande d’Europa dicono, vola acqua pompata a 4 atmosfere, 40 metri di colonna, con idranti larghi 50 centimetri  di diametro, dritta dritta verso il gommone di quei deficienti ambientalisti di ‘sto cazzo.
Yassine manovra l’idrante. Gli è stato ordinato ma non è convintissimo di quello che sta facendo. Ricorda però che nell’equipaggio tunisino dove aveva lavorato avveniva anche di peggio, quindi minchia in bocca e spera che tutto finisca presto.
A bordo qualche maltese, un paio di italiani disperati e un sacco di romeni. “Sono più economici e seri degli italiani. Almeno loro non rubano” diceva l’hr manager di Eni al pm executive, un pischello di 32 anni, laureato in ingegneria gestionale, Master in Strategic Project Management. Fino a due anni fa viveva ancora a casa con i genitori.
Marco aveva deciso immediatamente di fare qualcosa. Era bastato leggere quella notizia su Facebook. La riportavano in tanti: amici, compagni che non si fermavano a quella merda di Repubblica o del Corriere.
Era stato trovato il cadavere di una sirena: martoriata, spiaggiata sulle coste di Lampedusa tra altri corpi, quelli di quei poveracci che sognano di sbarcare in Europa convinti che qui sia meglio che dall’altra parte. Perversioni del confine, altre verità che vengono nascoste alla massa.
L’umanità ha sempre temuto e rispettato le sirene. Creature delicate, sfuggevoli. Nascoste e infangate dalla macchia nera del petrolio, dagli aguzzini senza scrupoli che hanno tolto la magia a questo mondo, che vogliono rubare ogni bellezza e spremere ogni risorsa.
Per questo bisogna fermarli.
“Diciamo basta alle trivellazioni in mare aperto per sostenere un modello di sviluppo fallimentare che ci sta destinando all’estinzione e sta generando sofferenza per tutte le specie viventi! Diciamo basta a chi vuole distruggere il nostro mondo. Avete sporcato di nero le nostre coste. Avete reso invivibili i nostri mari. Avete massacrato e nascosto le nostre sirene”. Marco urla dal megafono con un tale impeto che la sua voce sovrasta quella amplificata prodotta dall’apparecchio. È tutto distorto e fastidioso. Tutto così urgente. Yassine muove con indolenza automatica il getto, percorrendo tutto il fianco del gommone da sinistra a destra e nuovamente da destra a sinistra.
“Le nostre sirene…” le parole riecheggiano nella mente di Marco quando l’idrante lo colpisce. Barcollante alla corda, urla, ma la sua voce è sovrastata dal getto d’acqua.
È un mare freddo e bastardo quello che divide la Sicilia dalla sua madre Africa. Yassine, che ha passato tutta la vita in mare, lo sa. Capisce prima di tutti che Marco non sarebbe risalito in superficie.
Si sentono rumori sordi e grida, tantissime voci ma così ovattate e così lontane da sembrare un ricordo ridicolo. Questo pensa Marco mentre scende verso un blu ignoto e lontano dalla sporca insensatezza della superficie. Una sirena lo ha baciato pochi minuti dopo che è caduto in mare. Da quest’altra parte tutto ha un altro significato.