Isola di Ouessant, 21 giugno 1909.

Quando finalmente riaprì gli occhi, Etienne fu assalito dall’angoscia. La distesa del mare era nera e immobile come una lastra d’ossidiana, e il giovane ebbe un brivido al pensiero degli antichi dèi degli abissi che, nelle tenebre sotto di lui, trattenevano il fiato. Intuì che il sole doveva essere tramontato da un pezzo, e solo la nebbia rischiarava il ventre del peschereccio, emanando uno strano, ripugnante candore. Etienne cercò a tentoni il corpo del fratello, ancora addormentato, e lo scosse con forza.

Quella mattina i gemelli Denis erano salpati dalla baia di Lampaul come facevano ogni giorno da quasi nove anni. L’Angelique era la barca del padre, che aveva rinunciato da tempo ad accompagnarli in mare, sfibrato com’era dal mal sottile.
La sera prima l’anziano pescatore s’era avvicinato alla finestra per osservare le stelle, e qualcosa, in quel groviglio di luci, l’aveva turbato. Indicando il firmamento, aveva cominciato a gridare, senza vergogna, le vene del collo rigonfie, e Etienne aveva pensato che nulla fosse più angosciante e contro natura del grido di un vecchio cui spetta solo il tempo della quiete e del riposo. Quando i due figli erano corsi a sorreggerlo, l’uomo li aveva fissati con occhi folli: «Non partite! Non partite, domani!» e strette le dita brune attorno alle spalle dei ragazzi, sempre più fuori di sé, «Guai se il tramonto dovesse sorprendervi in mare! Tornerà… Tornerà».
Bruciava di febbre. Dopo avergli offerto qualche goccia di acquavite, i gemelli avevano accompagnato a letto il vecchio Denis.
Il giorno successivo erano partiti senza fare rumore, pronti ad affrontare un’altra giornata di lavoro. Le onde e il vento non li spaventavano più: erano parte della loro terra, la selvaggia Ouessant, e i gemelli avevano imparato a rispettare l’oceano e il suo sferzare rabbioso.

Molte ore erano trascorse, del tutto identiche a mille passate, l’Angelique seguiva il volo dei gabbiani tridattili alla ricerca dei grandi banchi di pesce.
All’imbrunire, mentre s’apprestavano a tornare alla baia, i due giovani erano stati colti da un malore. Un odore nauseabondo, viscido come il corpo di un aspide, era scivolato loro in gola, privandoli dei sensi. E ora Etienne s’era svegliato, circondato dalla nebbia bianchissima.
«Patrice! Svegliati Patrice!»
I due fratelli, identici per aspetto, erano d’indole opposta.
Patrice era pragmatico e del tutto privo di fantasia, per questo non aveva mai paura. Ai suoi occhi, ogni cosa era ciò che sembrava: si erano addormentati, la sera aveva ceduto il posto alla notte, erano fermi per l’inconsueta bonaccia, era salita la nebbia. Ma l’Angelique era solida, c’era ancora dell’acqua nelle borracce e, una volta accesa la lanterna, si sarebbero orientati meglio: in fondo, avevano trascorso in barca la maggior parte della loro vita.
Se Patrice era il Ponente, Etienne il suo Levante. Sentiva il cuore martellare nel petto, la testa brulicare di incubi. La loro madre era morta in mare quando ancora erano bambini. Etienne, di lei, ricordava soltanto le carezze: mani calde e avvolgenti, interrotte dalla virgola dura di un anello d’argento, sua fede nuziale.
Non c’erano stelle, il mare era uno specchio: eppure da quelle parti il vento era solito soffiare con una potenza di almeno sei, sette nodi. Cominciarono a remare sperando di uscire dalla foschia.
All’improvviso, un suono lontano li fece raggelare. Ricordava forse il richiamo di un delfino, ma c’era qualcosa, nella modulazione e nel timbro, che non avevano mai udito prima. Rimasero per qualche istante in ascolto, poi riaffondarono i remi in acqua.
La nebbia non accennava a diradarsi, ed Etienne cominciò a chiedersi se lui e Patrice non fossero già morti. Forse le scogliere sommerse che circondavano l’isola avevano sfregiato lo scafo; forse un’onda più violenta delle altre li aveva spazzati via, e ora avrebbero remato in quel mare senza respiro, in quell’inferno spettrale, per l’eternità; forse si erano addormentati, e le correnti avevano trascinato l’Angelique a sud-est, giù nel terribile passaggio di Fromveur, “il grande torrente”. Nul n’a passé Fromveur sans connaître la peur, borbottavano spesso i vecchi e le tante donne del villaggio.

Una volta, da bambino, Etienne aveva assistito alla macabra tradizione del bris: una nave era naufragata non lontano dalla costa, e molti popolani erano scesi alla baia, per raccogliere i tesori che lo sventurato bastimento portava con sé, e che le onde avevano trascinato a riva. In quell’occasione, il vecchio Denis aveva proibito al figlio di toccare quegli oggetti perché, a suo dire, erano maledetti. Qualche anno dopo, quando la madre era morta, lui e Patrice erano diventati “i figli dell’annegata”, e tutti li evitavano, proprio come i resti di quei relitti.

Remarono per quasi un’ora, con cautela, timorosi d’incagliarsi contro l’ignota geometria del fondale.
Poi, finalmente, videro qualcosa.
Un bagliore fiammeggiava a qualche centinaio di metri da loro, in cima alla sagoma di una grossa imbarcazione. Sollevati, lanciarono alcuni richiami, e Patrice alzò la lanterna per segnalare la propria presenza. Etienne notò che il fratello aveva le labbra cianotiche.
Avvicinandosi alla luce, cominciarono a distinguere i contorni della massa scura. Rallentarono immediatamente: non era la prua di una nave, ma un alto faraglione roccioso.
Etienne, reso ottuso dalla stanchezza e dalla sete, provò comunque sgomento quando vide la figura in cima allo scoglio. Era un viso di donna, dall’ovale perfetto, incorniciato da capelli talmente lunghi da lambire i flutti e aprirsi a ventaglio, come foglie di ninfea. Sorrise, e i gemelli furono pervasi da una strana, estatica euforia.
Il giovane non credeva ai propri occhi: quella era una delle Morgane, le sirene di Bretagna, il cui regno s’ergeva nelle profondità del mare, vicino alle coste di Ouessant. Secondo la leggenda non erano esseri malevoli. Avrebbe mostrato loro la via di casa.
La sirena parlò. Quella voce, così familiare ai giovani Denis, spezzò l’incanto, tramutandolo in follia.
I fratelli gridarono invano, lontani anni luce dal mondo degli uomini. Con un guizzo, la creatura dal volto di donna si tuffò in mare. Etienne, pietrificato dall’orrore, vide i lunghi artigli ricurvi, incrostati di salsedine e minuscoli molluschi, arpionare il legno della barca. Prima di perdere i sensi, sorprese Patrice nell’atto di lanciare un urlo così disperato da lacerargli gli angoli della bocca.

Il giorno dopo, i resti dell’Angelique furono rinvenuti a sud della baia di Lampaul. Gli isolani non riuscirono a spiegarsi per quale motivo due marinai esperti come i giovani Denis non si fossero accorti della tempesta imminente. Quando osservarono quel che era stato il fianco destro dell’imbarcazione, i presenti fecero istintivamente un passo indietro: c’erano quattro solchi profondi, come provocati da una lama. I marinai più anziani si scambiarono una lunga occhiata, poi scossero la testa, rassegnati.
Due donne furono mandate ad avvertire il vecchio Denis. La più anziana marciava svelta, ansiosa di concludere in fretta l’ingrata mansione. L’altra, più giovane e rotondetta, s’affrettava alle sue spalle.
«Per te è vero quello che dicono?» mormorò, il respiro affannato. «Che è stato il marito ad annegarla?»
L’anziana non rispose.
«D’altronde, era un’adultera. Bastava vederli, i gemelli, ricci e bruni come i Mori, non assomigliavano alla gente di qui. Enora ha ragione, sono i figli bastardi di quel marinaio spagnolo di Gibilterra, te lo ricordi? Venticinque anni fa…»
«E tu, piccola intrigante, credi a tutto quello che ti viene detto?» rispose l’altra, irritata.
Secondo gli abitanti del villaggio, Maëla Denis era stata gettata in mare dal marito e salvata dalle Morgane. Alcuni giuravano di averla sentita gridare, nelle notti di tempesta.
«Lo dicevano in tanti, che sarebbe tornata a riprendersi i figli. Non fosse stato per loro, il suo segreto sarebbe rimasto al sicuro. D’altra parte il vecchio Denis era troppo superstizioso per ucciderli. Probabilmente anche lui l’aveva sentita, mentre era solo, in mare aperto. E ieri, ieri notte l’hai vista l’Orsa Minore! La stessa aberrazione, proprio la stessa della notte del funerale di Maëla…»
Dopo aver bussato più volte senza ottenere risposta, le due donne decisero che era il caso di entrare lo stesso. Trovarono il vecchio Denis seduto davanti alla finestra, con gli occhi spalancati e il volto deformato dal terrore. Era morto di crepacuore.