«Il mio modo di vedere la cosa è che non esista nessun metodo logico per avere nuove idee, e nessuna ricostruzione logica di questo processo.
Il mio punto di vista si può esprimere dicendo che ogni scoperta contiene un ‘elemento irrazionale’ o una ‘intuizione creativa’.» 

Karl Popper

 

Le galassie si allontanano, l’universo si espande. Questo ci ha fatto pensare ad un istante iniziale in cui tutto era concentrato in un unico punto di densità infinita. Nella prima era del nostro universo, l’era di Planck, le quattro forze fondamentali avevano la stessa intensità, ed erano unificate in una sola forza fondamentale. A partire da 10-43 secondi dopo la grande esplosione, a temperature ancora altissime, cominciò la scissione delle forze.

Forse una simile scissione all’interno di una cultura densa, calda, si operò ad un certo punto della storia dell’uomo. Allora concetti e personae erano uniti in grandi narrazioni mitiche che spiegavano all’uomo i come e i perché. Saperi scientifici come l’astronomia erano strettamente connessi alla religione e i fenomeni fisici erano spiegati tramite aneddoti sovrannaturali pregni di finalismo e insegnamenti morali. Erano saperi incorporati, pratici, utili alla vita; erano saperi narrati.

La divisione dei saperi ha permesso di fare grandi passi in avanti in ogni campo, rendendo possibile lo sviluppo delle singole discipline. Saperi scientifici e umanistici nella loro diversità non si riconoscono più e rischiano di contrapporsi come detentori di un sapere utile al risveglio delle coscienze, alla realtà e alla verità. Eppure in questo ignorarsi o scontrarsi appaiono punti in comune, soprattutto in una parte di quel metodo così tanto rimarcato come motivo di autoidentificazione disciplinare. Ci ritroviamo così, in un momento della scoperta scientifica, nel cuore di quella forza propulsiva chiamata fantasia, ci ritroviamo di fronte a uomini che devono immaginare un mondo.

Scienza e letteratura non si incontrano solo di sfuggita in qualche mente geniale nella storia della nostra cultura: a partire da Lucrezio, passando per Leonardo da Vinci fino a Calvino nella contemporaneità. Certo, ci sono casi in cui discorso scientifico e testo letterario si incontrano, ma forse ci sono incontri più strutturali, che vanno oltre questo ritrovo prodotto arbitrariamente da menti eclettiche. Avvicinandoci con pazienza potremmo cominciare a trovare  ostacoli che ci impediscono di continuare ad accogliere la visione tradizionale.

Serendippo

Lo suggerisce la storia ‘Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo‘. Il Peregrinaggio, un libricino di origine indo-persiana comparve a Venezia nel 1557 e narra la storia dei tre principi di Serendip. Horace Walpole, un eclettico scrittore londinese, in uno dei suoi carteggi scrisse a proposito dei tre protagonisti: «Nel corso dei loro viaggi, le loro Altezze scoprivano di continuo, per caso e per sagacia, cose di cui non andavano in cerca: per esempio, uno di loro scoprì che un mulo cieco dall’occhio destro era passato per la loro stessa strada di recente, perché l’erba era mangiata solo sul lato sinistro, dove era più brutta che sul destro – ora capisci che cos’è la Serendipity?[1]»

Il termine coniato da Walpole, ‘Serendipity’, divenne nel 1900 una descrizione caratteristica della scoperta scientifica: caso e sagacia. È sempre vero che i programmi di ricerca scientifica sono determinati? I tre ragazzi trovano ciò che non stavano affatto cercando, e questo accade anche agli scienziati. Accadde a Keplero che, ricercando la musica delle sfere nell’ottica eliocentrica, trovò la terza legge sul moto dei pianeti; a Fleming che così individuò la penicillina e a molti altri. Questo perché la scienza procede per congetture, errori e il percorso si delinea spesso durante la ricerca e non prima. Si profila un nuovo elemento all’interno del mondo scientifico, che contraddice quell’autorità attribuita alla razionalità scientifica, la smorza. Vista dal di fuori la scoperta e il progredire della scienza possono apparire come una crescita cumulativa continua, ma dal di dentro scopriamo che ci sono degli uomini, gli scienziati, che devono fare i conti con un mondo vario da osservare, e non sempre è facile capire dove guardare, fare a meno dei propri pregiudizi, portare l’immaginazione oltre il già saputo.

Il caso della Serendipity è però il caso di una scoperta non ricercata, in cui lo scienziato ha un ruolo quasi passivo. Egli procede lentamente, lasciandosi condurre dalla sua sagacia, osservando sempre il mondo che lo circonda e aspettando di ricevere un’immagine omogenea dalla collezione di dati e osservazioni.

C’è un altro caso, che nell’ultimo secolo abbiamo dovuto riconsiderare attentamente, ovvero il caso in cui lo scienziato mette le ali e procede a grande velocità oltre il mondo che ha sotto il naso. Si tratta di un volo fantastico, perché solo l’immaginazione permette di procedere a velocità infinite. È proprio il caso del giovane Einstein, che più di cent’anni fa si chiese: come vedrei il mondo se stessi a cavalcioni su un raggio di luce che procede a trecentomila chilometri al secondo? Questo e altri viaggi immaginari illuminarono uno dei più grandi scienziati mai esistiti permettendogli di capire la struttura dello spazio e del tempo. E se abbiamo ragione a credere che l’immaginazione unifichi, non è strano che questo viaggio abbia condotto all’unificazione dei concetti di spazio e del tempo, di energia e di massa, di campo elettrico e campo magnetico. Non è un caso isolato quello di Einstein, né si tratta di un approccio moderno. Anche nel passato gli scienziati immaginavano: è il caso di Newton, che unificò i risultati di Galileo e Keplero, fisica terrestre e celeste, immaginando una piccola Luna ruotare a breve distanza dalla terra. Calcolando l’accelerazione immaginaria di questa Luna ottenne la stessa cifra dell’accelerazione misurata sulla Terra da Galileo. E da quel momento la visione degli esseri umani di fronte all’intera volta celeste cambiò per sempre.

Certo, dopo essere rimasto in stato di sorvolo rispetto all’esperienza è sempre compito dello scienziato controllare la sua teoria, è quasi suo dovere tentare di distruggerla, per testarne la resistenza. Ma questo momento della scoperta, che il filosofo della scienza Karl Popper distingue dal momento seguente, quello della giustificazione o convalida, basta a smentire l’idea che si tratti di congetture o anticipazioni futili. Ed è sufficiente inoltre a confutare l’idea che il mondo e il sapere degli uomini siano divisi in due grandi fazioni nemiche.

Un pensatore che riuscì a rilevare questo aspetto nella sua disciplina, la matematica, fu Brouwer, iniziatore della logica intuizionista. Vladimir Tasić  scrisse: «La matematica è per Brouwer ciò che l’arte è per ogni romantico: un continuo flusso creativo, ‘libera volontà’, un’attività interiore della mente che non può essere ridotta al, né dedotta dal linguaggio[2]».

La scienza non è solo una rete complicata di equazioni e formule, è qualcosa di più, così come la letteratura è di più rispetto alle lettere, alle proposizioni e alle strutture testuali.

Al di sopra delle terzine incatenate di versi endecasillabi, al di sopra dei trentatré canti della Commedia dantesca, emerge un’immagine del mondo: è il ritratto di un mondo medioevale che ricalca la visione Aristotelica dell’universo, fatto di sfere celesti e sfere angeliche. Dante però va oltre: nella sua descrizione del Paradiso ogni fisico e matematico può rinvenire la descrizione di una tre-sfera. Una tre-sfera che è proprio l’oggetto matematico con cui Einstein ha descritto lo spazio del nostro universo nella relatività generale. L’immaginazione non ha limiti, confini disciplinari, e «dunque la base empirica della scienza oggettiva non ha in sé nulla di ‘assoluto’. La scienza non posa su un solido strato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte[3]».

È necessario ripensare ogni disciplina, liberarla dai suoi aggettivi caratteristici e riattivare il suo calore, facendo in modo che si riaddensi lungo i bordi (o nel centro stesso del suo metodo) ad altre discipline. Questo non significa che la scienza sia immaginazione e casualità. Per altro, nemmeno letteratura è solo questo. Come ci ricorda Edgar Allan Poe nel suo articolo ‘Filosofia della composizione‘, le storie non vengono scritte in preda alla frenesia, non sono prodotte esclusivamente da estatica intuizione. C’è un lavoro di logica e di calcolo dietro ogni riga, lunga ponderazione, è in atto un modus operandi: «Il lavoro è proceduto passo passo, fino al suo completamento, con la stessa precisione e la stessa consequenzialità di un teorema matematico[4]».

E dunque anche a discapito di un arresto nel procedimento di separazione dei campi del sapere e di un momento in cui potrebbe esserci un progresso nella specializzazione, si dovrebbe rioperare una congiunzione, tentando sempre di evitare che un giorno si possa arrivare a una morte termica del pensiero.


[1] Claudio Bartocci, Dimostrare l’impossibile – La scienza inventa il mondo. Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014, p.151

[2] Vladimir Tasić, Mathematics and the Roots of Postmodern Thoutght. New York, Oxford University Press, 2001, pp.46-47

[3] D. Gillies, G. Giorello, La filosofia della scienza nel XX secolo. Bari, Editori Laterza, 2010, p.160

[4] Edgar Allan Poe, Opere scelte, a cura di Giorgio Manganelli. Milano, Mondadori, 1971.