Ubi Id, futurum Gomez
S. FREUD, De fato


ECATEO IL MILESIO, “Gli squali del Nilo”, Geografia

Io sono l’equivoco fatto corpo: la mia tradizione è l’universo
A. LAISECA, “Prefigurazione di Gomez” in Uccidendo nani a bastonate

Il poema del significante
GOMEZ, Biografia di una funzione

I (A)

Esistono due modi per dire il concetto di funzione interpolativa. Il primo è di natura eminentemente implicita, si parla addosso con una formula densa, come l’universo che prima di esplodere si concentra in un punto: tutti i nomi della storia.
Il secondo non tenta di spiegare il primo, anzi gli si oppone come le lacrime di Achille alla vecchiaia di Priamo, e non possiamo dirlo meglio di così: all’origine della falsa attribuzione in letteratura – e dunque, a fortiori, in qualunque altra disciplina – troviamo l’ascrizione dei canti dell’Iliade e dell’Odissea alla persona di Omero.
Per non lasciare nulla intentato, capiamoci ora e subito: non è più il tempo a non esistere, ma lo spazio.

I (B)

L’Epigonato – già Calamarificio E. Skar. Bo. E. (prima fondazione 2800 a. K.) – era stato consacrato a difesa della fede metafisica, ovvero “del qualcosa che si informa nel Dasein o nel vuoto” (cfr. Teofrasto, Dei caratteri).
Rinchiusi nelle loro stanzette singole (ci fu nel 95 d. K. la ristrutturazione del Calamarificio. Al suo interno, un unico stanzone 30×30, furono ricavati loculi – le stanzette bell’ ‘e mammà – nei quali gli epigoni ripetevano ogni giorno la genuflessione a se stessi, guardandosi nello specchio, secondo e ultimo elemento di arredo insieme al piccolo scrittoio), gli epigoni, monaci di una dottrina incarognita e flaccida, confondevano tono medio con semplicità, spingendosi fino ai limiti insostenibili della catacresi. Veneravano la Parola e da questa si lasciavano inculare. La sodomia li giustificava di fronte al mondo, che sempre fu per loro quella crudele macchina biologica senza scopo, poiché nonostante in questo gli epigoni cercassero un senso, non avrebbero mai negato – e in ciò seguivano l’insegnamento di Cartesio – che essi fossero “i soli a vedere l’egotismo del vuoto o nel vuoto del Dasein” (cfr. Cartesio, Discorso sul metodo).

Si sottomisero. Siamo qui per dire la verità, non per arrischiare ipotesi e congetture. Si sottomisero e quest’atto sfaldò dalle fondamenta il Commando Interpolazioni.
Intanto continuarono a susseguirsi epigoni sub specie aeterni, ciascuno credendo che le proprietà intrinseche del singolo carattere fossero universali e, ciò che è più comico, inequivocabili. Furono pronunciate dichiarazioni di originalità come quella dell’epigono ALTF: «Che l’interpolazione l’abbia inventata io è un fatto storico», e ne diede le prove in almeno tre testi (citeremo per correttezza soltanto uno: Edison inventò la corrente sfusa, pamphlet contra Commando Interpolazioni), poi si alzò dal cesso dorato dove sedeva e danzò all’indietro la danza del gambero.
Non siamo, però, qui per imputare colpe. La colpa non è un evento storico per gamberi danzerecci.
E in fondo, se è colpa di qualcuno, vogliamo che sia nostra.

II

Avete bisogno di vivere, abbiamo bisogno di morire – con parole oblique si inseguono obliqui sentieri. La separazione di due forze in conflitto spinge i corpi che le veicolano in direzioni opposte – accade però che una delle due forze prevalga, causando la dispersione dell’altra[1].
L’Epigonato giustificò la propria esistenza al di sopra delle sue stesse intenzioni. Attraverso la ragione intese colmare il vuoto della parola. In alcune enciclopedie di epigoni illustri, dal XVI al XIX secolo, il lemma “vuoto” fu sostituito da “ragione”, ingenerando l’idea aliena di valore, che avrebbe impiegato relativamente poco tempo a produrre un’altra fondamentale sostituzione, quella di Dio.

III

L’Epigonato decise che la condizione per la quale si giustificava il suo potere equivalesse alla peculiare esistenza dei protoi euretai, i pionieri, sebbene i suoi membri fossero incapaci di vedere che il loro lavoro di taglio e di semplificazione della letteratura combinatoria non apportasse alcuna innovazione o scoperta, mentre avrebbero dovuto considerare la mediocrità di cui si facevano inevitabilmente e sostanzialmente baluardi. I pionieri, lo diciamo per compendiare una certa lacunosa conoscenza della loro opera, furono ciechi, mentre i membri dell’Epigonato ci vedevano benissimo.
Protoi euretai furono E. ‘. Köe, A. Linköt, Vv. Myzke[2]. Ce n’è un quarto. A questi fecero seguito i fondatori del Commando Interpolazioni, ai quali sembrò barbara l’impressione del loro assurdo insieme, una barbarie che però seppero evitare grazie alla loro debolezza, ammaestrati dal fatto di sapere di essere epigoni. I loro nomi: ‘. R. Korpez, Licantro Bykyria, Tamiro Shikq, Amdom Kechoff, Kay Zeka, Junio Torkázar, Virib De’ Kidd, Amdöme Fforotike et alii, quorum nomina per astra (cfr. Albert Einstein, Teoria della relatività ristretta).
Si insinua così il dubbio: se gli epigoni avevano fondato il Commando Interpolazioni, quale differenza sussisteva all’interno o all’esterno della definizione stessa di epigono? Perché mai nacque questa distinzione, interna ed esterna, ma non esoterica ed essoterica, tra l’Epigonato e il Commando Interpolazioni, che fu causa della sublimazione del primo e dell’eclissi dell’altro?

IV

Isidoro Tadeo Gómez (Entre Rios Tigres y Eufrates, 11 settembre 1 a. K.) fu autore della Biografia di una funzione[3]. La storia delle edizioni di quest’opera corrisponde, pro bono, alla storia della scissione tra Epigonato e Commando Interpolazioni.
Una nota nel Diario di Gomez, “il primo compito è assolutamente questo: diventare soldati”, aggiunta a penna, a margine di un frammento più lungo sull’idiosincrasia della citazione, colpisce per l’inclinazione della grafia, quasi Gomez l’avesse scritta impugnando la penna come un coltello per ferire le sue stesse parole. “Le fragorose trombe del nulla” si legge poco più sotto nel tenue, quasi invisibile, tratto di una matita.

Nato in una famiglia di ebrei convertiti, Isidoro Tadeo Gómez ricevette un’educazione morale profonda. Tuttavia non incorse nell’errore di mistificare la figura paterna, forse facilitato dal fatto che il padre Augusto Tadeo Gómez, detto El México, era morto nella Battaglia di Charleroi (21-23 agosto 10 a. K.), combattendo come volontario su entrambi i fronti.
Non volere essere come il tuo Dio o come tuo padre, gli avrebbe ripetuto la madre per tutta la sua giovinezza, durante la quale però Gomez si diede alla creazione del mondo, per il solo gusto di sfidare il nulla ad apparire. Del padre, abbiamo già detto.
Definì se stesso “epigono di Dio” nell’unico componimento poetico che è ancora possibile attribuirgli, sebbene l’epigono FTZ[4] abbia scritto “la poesia è la palestra per il racconto, che è la palestra per il romanzo. Vogliamo scrittori con il cazzo allenato a sollevare il peso dei Karamazov”, liquidando col suo stile meticcio e generalista la questione delle attribuzioni.

Tra il 9 d. K. e il 10 d. K. Isidoro Tadeo Gómez compose la sua unica raccolta di racconti Elementi della vertigine, la quale gli valse l’amicizia di Kierre Nekart, nata “nell’alba rossa di sangue tra il Tigri e l’Eufrate”, come scrisse lo stesso Nekart nella sua opera Elementi della vertigine, come aveva già scritto, seppure in condizioni molto diverse, lo stesso Gomez.
Tuttavia l’elogio di Kierre Nekart fu l’unico. Elementi della vertigine fu duramente criticato dai membri dell’Epigonato, ai quali l’opera fu sottoposta da Lopledo P’lanko (Santiago de Chile, 29 d. K. – Barcelona, 79 d. K.), poeta. Voci di biblioteca – in realtà: voci di vampiri purosangue – dissero che i racconti di Gomez erano inferiori a quelli di Nekart; che Gomez “aveva sublimato il plagio, facendolo passare per interpolazione, là dove il Nekart s’agghindava della purezza del tratto breve e della spumeggianza singolare del genio tutto fuoco” (cfr. Benedetto Croce, Poesia e non poesia); che Isidoro Tadeo Gómez fosse un impostore (faceva fede a questa accusa un articolo dell’epigono ETL uscito il 12 marzo 11 d. K. sul «Corriere della sera», nel quale ETL scomodava dalla sua tomba Auguste Comte riportandone il commento: “Les morts gouvernent les vivants”).

V

Le critiche non furono vane, ma neanche costruttive, anzi ebbero un effetto opposto su Isidoro Tadeo Gómez. Decise di scomparire.
Pensò: siamo pronti a morire, siamo già morti. E si diede la morte, la vera morte. La mattina del 17 dicembre 11 d. K. le guardie di sorveglianza all’Ufficio Anagrafe di Castello di San Terezin lo videro entrare, ma non lo videro uscire.
La spiegazione è semplice, e la fornì un passante, disse: uno che vuole sparire ha tre scelte: la prima è uccidersi; la seconda è fuggire; la terza è cambiare nome.

Gomez dovette la scoperta di KFFK dalla congiuntura di uno specchio e di una ghigliottina.
Era la mattina del 17 dicembre 11 d. K., poco prima che scendesse di casa per recarsi all’Ufficio Anagrafe di Castello di San Terezin, per mettere in atto il suo piano di sparizione definitiva.

Lasciò una nota nel suo Diario, l’ultima che siamo in grado di leggere, scritta in una grafia frettolosa e ispida a spezzare il vuoto della pagina bianca – la distanza incolmabile con la parola – su cui apparvero quelle quattro lettere: KFFK. E in un’altra grafia, minuscola e precisa, pulita, un tratto maniacalmente dritto, senza sbavature, da iconoclasta, era riportata la data: 17 dicembre 11 d. K.

Come ogni persona di buon gusto, Nekart aveva in orrore queste inutili mascherate, buone solo – disse quella mattina del 17 dicembre 11 d. K. a Gomez, che l’aveva raggiunto dopo aver dato spiegazioni a due guardie sui modi che un uomo ha di sparire, omettendone uno: restare Gomez al di là dell’uomo – a procurarci il volgare piacere dell’anacronismo, o (ciò che è peggio) a istupidirci con l’idea primaria che tutte le epoche sono uguali o che tutte sono distinte. Come gli altri epigoni del Commando Interpolazioni, di cui Kierre Nekart insieme a Lopledo P’lanko era l’unico ancora a esporsi pubblicamente, praticava l’ucronia, non soltanto per rifuggire dalle due comuni perversioni testé descritte, ma anche come rimedio contro la cefalea emicranica.

Abbiamo promesso la verità: la mattina del 17 dicembre 11 d. K. Isidoro Tadeo Gómez dalla congiuntura di uno specchio e una ghigliottina (la sua collezione di attrezzi per la morte gli valse nell’Epigonato lo strazianome di Boia) venne a conoscenza di KFFK e comprese che non avrebbe potuto più essere Isidoro Tadeo Gómez figlio della guaina vaginale di Beatriz Viterbo e di uno dei due Augusto Tadeo Gómez (alcuni neobiografi, tra cui Carrère, sostengono di quello austroungarico, altri, tra i quali Wilcock, di quello francese). Come si può sparire?, si chiese, mentre appuntava nel Diario le quattro lettere che gli risuonavano in testa come le fragorose trombe del nulla. Elencò alcuni casi: 1. darsi la morte; 2. fuggire; 3. cambiare nome; 4. restare Gomez. Ripensò per un momento alle critiche, sentì il tormento infertogli dall’aforisma di Comte, ma qualcosa era cambiato: l’uomo Isidoro Tadeo Gómez era già morto e senza più nome. Restava soltanto Gomez[5] – e scelse di non essere più un uomo, di essere niente, assolutamente niente – e promise di farli fuori tutti, dal primo all’ultimo e viceversa.

VI

Niente per niente.
(B.D. Novskij, Una tomba per Isidoro Tadeo Gómez)

VII

Proprietà della verità sono: la specularità e il meraviglioso. Per questo, in quanto manipolatori, la verità è la nostra unica meta, il locus amoenus in cui i libri si trasformano in speculazione e meraviglia. I libri? Che cosa sono i libri? Recrudescenza della ferita tra vero e falso.
Ci interroghiamo spesso sull’uso delle parole, sul modo in cui il carattere ricorsivo di certi termini (verità, specchio, meraviglia et similia) colmi il vuoto della singolarità. Se fossimo riusciti a costruirci un eremo di pura solitudine (il Calamarificio E. Skar. Bo. E. lo era stato fino alla sua rifunzionalizzazione), credete che saremmo qui a scrivere? Gli eventi, però, ci hanno portato fino a questa incrinatura nello specchio, attraverso la quale siamo passati dall’altro lato per guardare la verità in faccia[6].
L’intera opera di Gomez agli occhi stanchi di Tamiro Shikq testimoniava questo attraversamento. Lo scoliasta annotò un breve aforisma la notte in cui il Calamarificio fu assaltato dagli epigoni (e non era anche Shikq un epigono, quindi un assaltatore? Non vide in quella notte la sua Troia bruciare e la sua stessa ombra, esultante, darle fuoco? Sono quindi gli epigoni ombre di epigoni?): l’ironia è in effetti una domanda di cui il mittente conosce già la risposta – ma non ne è consapevole fin quando il destinatario non la pronuncia.
L’opera di Gomez: “La sottocutanea, l’infinitamente erotica, l’impareggiabile”, scrisse Nekart nel suo carteggio con Korpez, il 12 aprile 26 d. K., “dobbiamo esporla elencandola, e così facendo dimenticarla per sempre, poiché solo ciò che si dimentica ritorna”. La risposta di Korpez (13 aprile 26 d. K.): “Il diritto e il rovescio di una moneta, †agli occhi del caso†, sono la stessa cosa”. E Nekart (1° maggio 26 d. K.): “Crux desperationis lux”. E Korpez (14 aprile 26 d. K., telegramma dalla Gare de Lyon): “Interpolare. Stop”.
L’opera di Gomez: “Nella Terza e nella Quarta Ineluttabile vengono invece fissati, come indicazioni per un superiore concetto di civiltà, per la ricostruzione del Calamarificio E. Skar. Bo. E., due immagini dei più duri egoismo e autodisciplina, due immagini però che convergono verso il tipo ineluttabile par exellence, due immagini che assommano la duplicità nell’uno, pieno di sovrano disprezzo contro tutto ciò che intorno a lui si chiamava “impero”, “cultura”, “cristianesimo”, “successo”, “Epigonato”, – KFFK ovvero, in un significante, Gomez” (Tamiro Shkiq, scolio a N’untiogegen).
L’opera di Gomez: 32 Lettere familiari. Il 30 agosto 23 d. K. nella lettera scritta alla madre Beatriz Viterbo, creduta morta da Isidoro Tadeo Gómez, Gomez annotò qualcosa sul retro del secondo foglio. Ci volle un po’ di tempo perché il testo fosse sciolto e riscritto. L’Epigonato convocò segretamente lo stesso Shikq, perché li aiutasse e li guidasse, il quale in risposta inviò una boccetta di profumo Vento di pogrom. In pochi nell’Epigonato colsero l’ironia, in pochissimi l’eleganza del rifiuto.
Le 32 Lettere familiari non avevano mai richiamato l’attenzione di nessuno al di fuori degli epigoni. Erano lettere scritte da un figlio scomparso a una madre presunta morta – bastava questo a far ridere Gomez di Isidoro Tadeo Gómez, firmatario delle lettere, poiché già allora Gomez si agitava dentro Isidoro Tadeo Gómez e desiderava andare fuori di sé.

L’opera di Gomez: Gomez interpreta la “Saudade de la Ruhr”, la cui origine tiene celata alla curiosità erudita.

L’opera di Gomez: Composto nel 33 d. K., ‘rhek fu il coraggio mancato di Von Pauls, come scrisse J. F. K. Garbanzo nell’Analisi di guerra. Il lascito di ‘rhek si può misurare soltanto se si ha contezza di cosa possa significare un’estinzione. Gomez, però, non era nella realtà reale diverso da Gómez. Come testimonia questo passaggio cruciale: “Arrivo, ora, all’ineffabile centro del mio racconto, comincia, qui, la mia disperazione di scrittore. (Non invano ricordo questa inconcepibile alienazione; essa ha una qualche relazione con ‘rhek). Il diametro di ‘rehk sarà stato di due o tre millimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che Gomez ne soffrisse. Vidi il polposo Gomez, vidi Gomez e Gomez, vidi le moltitudini di Gomez, vidi un argenteo Gomez al centro di una nera piramide, vidi un labirinto spezzato (era Gomez), vidi infiniti Gomez vicini che si fissavano in me come in uno specchio, vidi tutti i Gomez del pianeta e nessuno mi rifletté. Vidi Gomez, Gomez, Gomez, Gomez di metallo, Gomez d’acqua, vidi convessi Gomez facciali e ciascuno dei loro Gomez di sabbia. Vidi i Gomez obliqui di alcuni Gomez sul pavimento di una serra, vidi Gomez, Gomez, Gomez, Gomez e Gomez, vidi tutti i Gomez che esistono sulla terra, vidi un Gomez Persiano. Vidi il resto atroce di quanto deliziosamente era stata mia madre Beatriz Viterbo, vidi la circolazione del mio Gomez oscuro, vidi il meccanismo dell’amore e la mortificazione della morte, vidi ‘rehk: l’inconcepibile Gomez”.

VIII

L’inconcepibile Gomez. In che misura questi – non più uomo e tuttavia ancora, in qualche misura, materia organica – è scindibile dalla propria opera? Questo, sulla carta, fu argomento di scontri spietati tra l’Epigonato e il Commando Interpolazioni. Anni dopo – il Commando Interpolazioni riapparve sfavillando tra le macerie delle Torri Gemelle – vi fu un tentativo di ricostituire il dialogo, per il tramite di una riduzione essoterica della tecnica dell’interpolazione. Tuttavia, se siamo qui a dire la verità, la verità l’abbiamo già detta: all’origine della scissione non vi fu la frattura, classica, tra scuola esoterica e scuola essoterica. All’origine vi fu l’ambiguità inesauribile della figura dell’origine. Tenteremo dunque la via esegetica.

La prima battaglia intorno alla Biografia di una funzione riguardò la sua datazione. L’Epigonato risolse, coi suoi modi a volte calvinisti, che l’opera andava intesa come traccia e risulta dell’attraversamento stesso (“da Tadeo Isidoro Gómez a Gomez” scrisse ZAZ, riepilogando le posizioni ufficiali dell’Epigonato dal 18 d. K. a oggi, cfr. «doppiozero», luglio 95 d. K.). L’arguzia dell’Epigonato, a nostro dire, la sua natura plastica, è rinvenibile in questa dottrina mai esplicitamente formulata eppure sottintesa nelle tesi abilmente riprese da ZAZ: secondo questa interpretazione, l’intera Biografia di una funzione sarebbe stata scritta in una mattina, quella del 17 dicembre 11 d. K. Con la presente l’Epigonato diede mostra di una certa attitudine fantastica, di un certo abbandono all’insensatezza – non erano ignote all’Epigonato talune strategie di marketing editoriale per trasformare l’inesorabile declino della domanda nello status symbol della rarità.
Il Commando Interpolazioni rispose a questa volgarizzazione dell’impossibile con il rigor mortis della filologia. In un comunicato collettivo del 19 d. K., dal fronte orientale, il Commando scrisse che:

a) la Biografia di una funzione è da intendersi incompiuta in quanto interminabile, da cui discende che

a.1) la prima e unica edizione dell’opera, da parte dell’Epigonato, del 18 d. K., è da ritenersi merce di contrabbando;
a.2) l’unica edizione possibile di un’opera del genere deve intendersi come edizione critica e che dunque
a.3) la classificazione gerarchica delle varie edizioni critiche che verranno, se verranno, avrà come unico discrimine il coraggio e non la riduzione dell’impossibile a feticcio editoriale.

b) “mentre scriviamo queste note, con l’altra mano, contiamo i morti sul fronte orientale”.

La prefazione alla prima edizione critica della Biografia di una funzione (21 d. K.) da parte del Commando Interpolazioni afferma:
“La vulgata, se così si può dire, intende legare quest’opera alla tradizione delle biografie fittizie, i cui antecedenti maggiori sarebbero la Storia universale dell’infamia, i Retratos reales e imaginarios, le Vite immaginarie e giù fino alla prosa enciclopedistica e alle Vite parallele.
La nostra posizione diverge in un punto fondamentale. Noi riteniamo che la tradizione in cui la Biografia si inscrive sia rintracciabile nell’incrocio tra Ecce homo e un passo attribuito a Isidore Ducasse: “‘Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Stringe da vicino la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta’. Una tradizione, s’intende, tracciata, modellata e gettata nell’esistenza dalla stessa Biografia. Un incrocio, s’intende, tra vita e letteratura”.

Dal 21 al 77 d. K. questa edizione rimase l’unica nota. Le macerie da cui riemerse il Commando Interpolazioni riportarono alla luce 47 edizioni diverse della stessa opera. L’ultima di esse, rinvenuta dopo la penultima e per questo rinominata metaedizione, riportava nella prefazione:
“La vulgata, se così è stato detto, intende legare quest’opera alla tradizione delle biografie fittizie, i cui antecedenti maggiori sarebbero La letteratura nazista in America, Una tomba per Boris Davidovič, La sinagoga degli iconoclasti, la Storia universale dell’infamia, i Retratos reales e imaginarios, le Vite immaginarie e giù fino alla prosa enciclopedistica e alle Vite parallele.
La nostra posizione diverge in un punto fondamentale. Noi riteniamo che la tradizione in cui la Biografia si inscrive sia rintracciabile nell’incrocio tra Ecce homo e un passo attribuito a Isidore Ducasse: “‘Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Stringe da vicino la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta’. Una tradizione, s’intende, tracciata, modellata e gettata nell’esistenza dalla stessa Biografia. Un incrocio, s’intende, tra vita e letteratura nella tensione che unisce e separa Pierre Menard, autore del Chisciotte, Il fenotipo esteso e Por favor, ¡plágienme! Una tradizione, s’intende, tracciata, modellata e gettata nell’esistenza ancora una volta dalla stessa Biografia. Una tensione, s’intende, tra biologia evolutiva e letteratura combinatoria, tra significante e significato, tra la Storia e il Caso: la vertigine di un evento prossimo ad accadere o appena accaduto[7]”.

Le divergenze testuali tra l’edizione dell’Epigonato e l’ultima edizione del Commando Interpolazioni sono imbarazzanti. Sorprende, in particolare, la scelta dell’Epigonato di nascondere e cifrare fonti, riscritture e interpolazioni, rispetto a quella del Commando, che invece risale, per ogni combinazione, alla fonte interpolata e descrive l’insieme delle modifiche operate. Nel primo caso si tratta di una precisa volontà, da parte dell’Epigonato, di sembrare oscuro (di apparire, in ultima analisi, come il Commando Interpolazioni stesso); nel secondo caso si tratta di una riduzione del gioco combinatorio ai suoi termini essenziali: essi infatti non discriminano i processi coscienti da quelli incoscienti, non conoscono origine che non sia fuga infinitesimale, essi nascondono anche quando svelano e svelano anche quando nascondono. Essi cantano il canto amebeo, danzano al ritmo del codice che li precede e li supera. Questo codice, rinvenuto da Gomez, è KFFK; questo codice, a partire dal suo rinvenimento, ha informato, in avanti e all’indietro, ogni traccia del mondo. Scrive lo scoliasta Shikq in nota alla chiusa della Biografia di una funzione: “non siamo umani, non lo siamo mai stati, neppure quando credevamo di esserlo”.

Intermezzo

Chi è fondamentalmente un maestro prende sul serio tutte le cose solo in rapporto ai suoi allievi, persino se stesso.

Maestro: «Devi imparare. Non devi essere più veloce dello squalo, soltanto degli altri nuotatori».
Discepolo: «Mmm».
Maestro: «Cosa mmm?».
Discepolo: «Maestro».
Maestro: «Dimmi».
Discepolo: «Guardati intorno».
Maestro: «Guardo».
Discepolo: «Dove siamo finiti, non vedi?».
Maestro: «Cosa?».
Discepolo: «Non ci sono più nuotatori e…».
Maestro: «E?».
Discepolo: «E lo squalo sono io».
Maestro: «Ah! Quindi…».
Discepolo: «Sì. Mi dispiace».

Ecateo il Milesio, “Gli squali del Nilo”, Geografia, 21-22.

 

X. I-Gomez

Perveniamo così, come fanciulli al primo bagno d’estate, alla verità. Questa nel suo abito pudorato[8] aveva infinocchiato e irretito il più abile citazionista degli epigoni, quell’ALTF cui la metaedizione ascrive la Biografia. È proprio dell’esercizio di attribuzione considerare l’errore e non la sua fonte – “le lacrime di Achille” – gli è proprio anche il sentirsi spacciato di fronte all’insondabile precipizio dell’origine, poiché all’origine non vi è un segno, all’origine piuttosto pare esserci il suono che Gomez sincretizzò in KFFK. Riassumiamo tuttavia per gradi e proviamo in qualche misura a comprenderci:
a) l’Epigonato, espropriato il dominio del segno, aveva colmato il vuoto con “il senso delle cose”;
b) questo processo di riempimento ne comportò un secondo di svuotamento;
c) l’Epigonato fece ciò che gli riusciva meglio: prese “il senso delle cose” e lo riversò nel vuoto che s’era venuto a ricreare;
d) l’Epigonato, presa coscienza della ripetitività del processo, formulò per il tramite del suo vassallo Hegel l’aforisma scolastico: “la spirale ha due funzioni: una prima anticoncezionale; una seconda assertiva, che chiameremo pluralisticamente la Storia”; d.1) tuttavia l’epigono ALTF, che in pubblico rinnegava il vassallo germanico e in privato ne venerava le vene varicose e il prepuzio cigliato, riformulò nel furore citazionista l’aforisma, espungendo quel “pluralisticamente” per cacofonia e l’elemento biologico per discrasia, e così disse che Hegel aveva scritto: “la spirale ha una funzione assertiva che chiameremo la Storia”; d.2) non contento ALTF riapplicò su se stesso la formula risincronizzata – era il 17 dicembre 93 d. K. – e d’improvviso scomparve;
e) restò soltanto il segno.
E quindi la verità, così come appare nella penultima versione della Biografia, l’unica che Gomez avrebbe potuto vergare: “Sogno di essere Gomez. La prima mappatura del mio sogno va da Ecateo il Milesio e giù, molto più giù, fino all’attribuzione delle lacrime di Achille al nome di Omero – niente per niente”.

***

[1] La posizione da cui si osserva questo fenomeno determina la sua formulazione. C’è chi, ad esempio, ha fatto di questo fenomeno un processo di carattere universale (l’universale antropomorfico, quel tipo di universale così particolare) e l’ha chiamato Storia – tra questi, e sono molti, solo uno ha rintracciato nella trama della Storia lo stesso tessuto dei sogni, rinominando quello stesso fenomeno, ora di colpo storicizzato, incubo. C’è anche chi, invece di osservare il fenomeno, ovvero il suo risultato (una sparizione), ha concentrato lo sguardo sull’infrastruttura, ovvero sul luogo all’interno del quale il processo si svolge: uno spazio vuoto, un puro contenitore, sostituendo la figura del vuoto con quella della possibilità – rifunzionalizzando quella figura come possibilità di continuo incombente che quel vuoto si riempia. C’è infine chi, nel tentativo di sintesi tra le due posizioni di cui sopra, ha finito per operare un’apologia del limite – posizione da cui deriva il mantra di certe scuole speculative francesi per cui “La danza, ovvero il Commando Interpolazioni, non hanno ancora cominciato a esistere” (Anonimo Sessantottino, murales sul cesso della Sorbona, giugno 44 d. K.).

[2] I protoi euretai restano nella letteratura combinatoria (ovvero in tutta la letteratura) come fenomeno medico: il loro caso è citato in tutti i più recenti manuali di patologia clinica. La foto dei loro tre scroti – secondo The First Encyclopaedia of Tlön Vol X. Gom to ez trattasi di elefantiasi (elephantiasis nostra) –, ciascuno grande quanto una zucca record dei kolchoz, è riprodotta anche nei testi scientifici stranieri – come sia stata possibile una tale coincidenza prevarica ogni buon senso e non esiste disciplina scientifica o esorcistica in grado di rendere plausibile la concordanza. Per cui non resta altro – magna res tacere. Resti comunque, a monito degli scrittori, che per scrivere non bastano soltanto i coglioni.

[3] cfr. paragrafo I (A) o la lectio difficilior paragrafo I-Gomez.

[4] Fonti apocrife riportano per questo epigono anche un nome non in acronimo: Vanto de’ Ciechi. Tuttavia non abbiamo risconti probanti l’identità. Lasciamo in questo caso al lettore, notre semblable, la bellezza del dubbio.

[5] Unicamente certi ispanisti illustri (talvolta essi sfilavano per la via Cruz in sostegno dell’Epigonato, talaltra, forse nell’atto stesso di sfilare, si ritrovavano in lacrime al pensiero del defunto Commando Interpolazioni e pregavano, senza saperlo, qualunque suono pensassero di pronunciare suonava: KFFK), rinvennero il modo e lo chiamarono refuso: la mancanza dell’accento acuto nella o di Gomez fu un errore di trascrizione o una ferrea volontà di sabotaggio di sé? E, dopotutto, cos’è un errore se non il volto visibile di una forma generale di trasgressione? A essi rispose una volta il passepartout del Commando Interpolazioni, l’epigono Nalker Tussaint – disse: “Il burino nello champagne”.

[6] Qui, in questa incrinatura dello specchio, taluni e talaltri hanno creduto di vedere la traccia della differenza tra l’Epigonato e il Commando Interpolazioni. A questi, taluni e talaltri, noi ricordiamo che ogni specchio ha un angolo cieco e che l’attributo fondamentale di questa regione è un oggetto corporeo pulsante (cfr. Gomez, Biografia di una funzione, cap. VII dell’ultima edizione – o metaedizione – del Commando Interpolazioni a cura dello scoliasta Shikq – capitolo espunto, com’era prevedibile, nella prima e unica edizione a cura dell’Epigonato).

[7] Un documento, tuttavia, rimette ogni cosa in gioco, persino l’interpretazione – la quale di norma dovrebbe sempre essere in gioco e tuttavia “La memoria, ahi la memoria”, come cantava la madre di Gomez. Si tratta di una pagina del diario di Junio, o di ‘, o infine forse di Virib – l’esercizio d’attribuzione è infernale qui, ma noi non ci lasceremo irretire dalla domanda di chi è il segno; limitiamoci invece a chiedere, come fanciulli al primo bagno d’estate, cosa esso sia. La pagina, rinvenuta nel Calamarificio E. Skar. Bo. E. durante la sua rifunzionalizzazione, schiacciata e infilata abilmente da qualcuno tra lo strato metallico e la sottile superficie coprente in condensato di una delle porte di uno dei cessi del Calamarificio, nascosta e infine abilmente ritrovata da qualcuno, dice: “Sogno di essere Gomez. La Biografia, la sua tradizione impossibile: la prima mappatura di Ecateo il Milesio e giù, molto più giù, fino alle lacrime di Achille”.

[8] Hapax.

 

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