Anna

Non ne sapevo niente ancora quella mattina, anche se a fare due più due ci ho messo poco, nelle settimane seguenti: i tg cominciavano a parlarne, raccontavano cose, ma senza immagini perché erano da vergognarsene. Le immagini me le facevo io in testa, in ogni momento della giornata, a ogni gesto, come una sovrapposizione alla vista, ed era vergogna e dolore, tanto.

Buongiorno signora, siamo qui per suo figlio, mi hanno detto sulla porta i carabinieri, quella mattina. Erano in tre. Io ho risposto che non capivo, come ci si immagina, perché davvero non capivo.
Mattia non era in camera sua, ed era evidente dal vuoto nella stanza, dall’armadio aperto e parzialmente svuotato, che se ne era andato. Abbiamo bisogno della sua collaborazione, signora, ha idea di dove potrebbe essere andato? Questa notte è stato accusato di violenza sessuale.
Se Mattia fosse stato presente, se non fosse sparito nottetempo, alle accuse non ci avrei mai creduto. La sua scomparsa mi spezzava invece il fiato, stavo immobile e cercavo senza riuscirci di figurarmi la verità, di figurarmi l’innocenza di mio figlio, e non riuscivo, non riuscivo, la sua fuga manifestava l’assurdo, lasciava sola ed evidente quell’accusa incredibile. A quasi nessuna delle domande che mi hanno fatto ho saputo rispondere, e mi guardavano con occhi freddi di giudizio, e io stessa tacevo con vergogna per tutte quelle cose che di mio figlio non sapevo e che una madre avrebbe dovuto sapere. Sì, perdeva facilmente la pazienza, talvolta esplosioni di aggressività, sin da bambino. Il fatto è che non tollera la confusione, l’approssimazione, le cose che sfuggono al controllo. Ma mai al punto di diagnosticare un qualche tipo di disturbo. Carattere; è per il resto un ragazzo normale. Perché mentire? Hanno fatto un ulteriore sopralluogo, prelevati alcuni oggetti di interesse. Sono andati via.
Quando rimango sola chiudo la casa alla luce esterna e comincio a immaginare la scena. Plausibile, perfettamente ipotizzabile. Riesco a immaginarla e questa è per me una prova che è vero, in quei momenti, per svariati giorni, e al senso del fallimento genitoriale mi si aggiunge la certezza di essere una pessima madre per il solo fatto di dubitare di mio figlio, e di sapermi immaginare i particolari realistici di quei momenti.

Mattia parla con una ragazza, parlano a bassa voce, si sfiorano. Si baciano? Si baciano. Mattia ha un’erezione, preme contro il jeans. Mattia fa scivolare una mano dai capelli della ragazza alla spalla, al seno. Le passa la mano energicamente tra le gambe, e lei gliela toglie, ma non smette di baciarlo. Sono nel parcheggio del locale, forse nell’angolo buio sul lato. Per il nervosismo di lei Mattia ritrae la mano, per un attimo, poi la preme ancora tra le sue cosce. Lei ora si divincola e lo spinge via. Mattia è alto un metro e ottantadue, settantacinque chili. L’erezione preme sul jeans. La afferra per i capelli e le tappa la bocca, poi la trascina nello spiazzo buio al lato del locale, tra il muro e la staccionata. Lei piange, ha capito. Lui le lega forte la sciarpa davanti alla bocca e la butta a terra. Lei spreca tutte le sue energie per cercare di togliersi il bavaglio e urlare. Mattia glielo impedisce con una mano, che ora deve essere rovinata dai graffi. Dopo che le ha strappato via le mutande, lui si slaccia i jeans, quel tanto per tirare fuori il pene, grosso e duro, rimasto duro per tutto il tempo sin da quando si sono appartati per parlare più intimamente e scambiarsi qualche bacio. Vedo nitidamente il pene duro di mio figlio, le vene tese, il glande scoperto. Lei prova a liberarsi la bocca, quando può: Mattia è forte, e lei non punta sulla possibilità di liberarsi da sola, ma sulla possibilità che qualcuno lo fermi. Mattia la penetra, forzandone la secchezza, la chiusura dei tessuti che si ritraggono per il rifiuto. Mio figlio gode, ha il respiro grosso mentre la guarda negli occhi. Quando finisce, si alza e se ne va. Torna a casa, io dormo già, è tardi: prepara un borsone e sparisce. Passo svariati giorni a immaginare i dettagli del vigore di mio figlio, il suo vigore di diciassettenne, e a lavorare sulla vergogna incredibile che provo.
Lei non riesco a immaginarla, non so se sia una delle sue amiche o una sconosciuta incontrata sul posto, quella sera. Immagino solamente un corpo indefinito, il complemento necessario a definire i gesti di Mattia. Non riesco a rappresentarmi l’espressione del suo volto, o il suo dolore. Del resto non conosco il suo nome, i carabinieri non me lo hanno detto. Per proteggere la vittima: io sono assimilata alla minaccia, il grado di separazione è troppo minuto. Ho provato a telefonare a mio figlio, ma il cellulare era sempre staccato. Nessuno dei suoi amici sembrava averlo visto.

Non ho acceso la tv per una settimana, fino al giorno in cui i carabinieri sono tornati. Avrà sentito al telegiornale. No. La vittima non è rimasta incinta, lei era a conoscenza della sterilità di suo figlio? Abbiamo analizzato un campione di sperma prelevato dalla ragazza in fase di controllo medico. Suo figlio ha concluso la violenza all’interno della ragazza, pur senza fecondarla. Dalle prime analisi sembrerebbe che suo figlio sia sterile. Lei è a conoscenza di qualche dettaglio della storia clinica familiare che ci possa aiutare? Abbiamo trovato che suo figlio è stato visitato da un neuropsichiatra infantile, quattro anni fa.

Certamente non ne ero a conoscenza, non è un qualcosa per cui si fanno delle analisi, nessun genitore fa fare al proprio figlio delle analisi per scoprire se è sterile. Né capivo come potesse essere rilevante rispetto allo stupro.
Quando accendo la tv, i notiziari chiamano mio figlio Mattia ‘lo stupratore’. Tutta Italia sa che lo stupratore è sterile, e questo è un particolare prezioso per gli inquirenti, dicono così ai notiziari. Gli inquirenti seguono la pista della sindrome di Manson-Finnys. Gli spettatori sanno già di cosa si tratta, io non riesco a ricordare, e il tg manda un servizio di approfondimento. Ci sono dei bambini che fanno i capricci, spaccano degli oggetti, in preda alla rabbia. Persone di varie età commettono aggressioni, al rallentatore, luci scure, si capisce che avverrà uno stupro. Hanno occhi indemoniati. Gli stessi attori poi si inoltrano in un bosco, sono ripresi da dietro, nudi. Si capisce che faranno un’orgia. Si invita alla prudenza.

Non era da molto, all’epoca, che girava la storia dei malati di Manson-Finnys. Una mutazione genetica che rende chi ne è affetto violento e incapace di frenare l’aggressività, irrefrenabile nella foga di possesso. Dissoluti e incapaci di creare legami stabili, diventano latitanti e vivono in comunità nascoste nei boschi, come selvaggi, dediti al sesso e alla zoofilia. I Manson-Finnys sono tutti sterili. Per l’opinione pubblica mio figlio Mattia, un presunto stupratore che non ha fecondato la sua vittima, era già senza dubbio alcuno, e senza conferme, un Manson-Finnys. Io lo immaginavo nei boschi, buttarsi in ammucchiate selvagge, infilare il suo pene in donne e animali. Non potevo dormire, perché vedevo il suo corpo teso dalla foga. Così per giorni, la vergogna.
Poi, quando i carabinieri sono tornati aprendo loro la porta ho visto che più mani, in più volte, avevano scritto davanti casa la parola ‘animale’, con vernici rosse e nere. Le chiediamo di seguirci, signora, hanno detto i carabinieri. Durante le molte ore di interrogatorio, è stato un interrogatorio, mi hanno confermato che le analisi avevano rilevato la mutazione di Manson-Finnys nel corredo genetico di mio figlio, e mi hanno domandato tantissime cose che sarebbero potute servire per trovarlo, e hanno descritto nel dettaglio la vita bestiale che fanno i malati quando fuggono dalla società, e mi hanno messo in guardia, che sarebbe stato bene collaborare, me lo hanno detto così tante volte come una minaccia.

Per questo senso di minaccia, quando torno cerco su google ‘sindrome di Manson-Finnys’. Le prime pagine di risultati riportano articoli in linea con il servizio del notiziario e con le parole dei carabinieri. Trovo anche qualche pagina che promette nel titolo la ‘vera’ storia della sindrome di Manson-Finnys, ‘quello che non vogliono farvi sapere’. Quando provo ad aprire una di quelle pagine un avviso della polizia postale ne blocca l’accesso, per la sicurezza degli utenti. Ero certa che la polizia postale stesse tracciando la mia navigazione. Ma non è per quella ricerca che ora mi trovo in galera, certamente, e anzi per paura non ne ho più fatte di simili.

Lucia

Le prime settimane rimanevo lì davanti imbambolata a cercare di immaginare l’aspetto di Mattia, perché lu nuovu lu portano già dentro. Cercavo di immaginare il volto di un giovane che non abbiamo preso in tempo. Controllavo i valori sullo schermo della crisalide e il lavoro è praticamente tutto qua, se non arriva un allarme dalla sorveglianza dell’alveare, che però è una cosa che ancora non succede mai.
Quando uscirà dalla crisalide il ricordo farà male, l’ho visto in tantu di noi. Moltu di noi, soprattutto lu primu, sono statu trovatu dalla dottoressa Laveau quando ormai la mutazione è già degenerata, e il ricordo delle violenze commesse diventa per loro insopportabile, dopo il risveglio dalla fase pupale, che lascia intatti ricordi e coscienza, purificati da ogni istintualità aggressiva. C’è sempre dolore nei loro occhi, per l’irrimediabilità di una tempistica sfortunata. E a me – che sono nata da genitoru attivistu del movimento Manson-Finnys, seppure non affettu, e incubata nella crisalide già all’età di dodici anni – fa male vedere queste ferite procurate dall’ignoranza del mondo.

Sei anni dopo la scoperta della sindrome da parte di Judith Manson e Oliver Finnys, la dottoressa Laveau mise a punto il primo prototipo di deattivatore genetico – la crisalide – e lo propose alla Commissione Europea. Nella prima fase osservativa lu commissariu ne erano entusiastu, ma cambiarono avviso non appena capirono quale fosse il risultato reale del deattivatore.
La sindrome di Manson-Finnys è la mutazione dei geni MAO-A, NRXN1 e CTTNBP2, che determina sin dall’infanzia ma soprattutto con l’arrivo della pubertà un brusco aumento dell’aggressività, di tratti ossessivo-compulsivi e di tendenze all’accumulazione, di atteggiamenti possessivi e territoriali. Purtroppo è frequente che la sindrome si manifesti con fenomeni di violenza fisica o sessuale, per l’incapacità di elaborare l’eccitazione procurata dallo stimolo esterno.
La dottoressa Laveau capì come disattivare questi geni, attraverso l’esposizione del soggetto a una sequenza radioattiva della durata di trentasei giorni. Per il suo aspetto, chiamiamo crisalide l’incubatrice all’interno della quale il soggetto viene esposto alle radiazioni, in uno stato di coma farmacologico.
Il punto è proprio che i geni mutanti possono solamente essere disattivati. Non erano tecnicamente possibili interventi di compromesso: soprattutto, non sono ideologicamente accettabili e questo è chiaro a chiunque, dopo il risveglio. Non appena comprese cosa ciò volesse dire, la dottoressa Laveau sperimentò e propose l’utilizzo della crisalide anche su soggetti non mutanti, poiché gli atteggiamenti che nei Manson-Finnys hanno profilo patologico sono presenti anche nel resto della popolazione, seppure meno intensi, e anzi sono distintivi dell’animale sociale così come lo conosciamo. I risultati furono i medesimi, e sorprendenti. Da quel momento siamo diventatu clandestinu.
La crisalide ci fa rinascere a vita nuova. Dopo la disattivazione selettiva dei geni diventiamo incapaci di sviluppare pensieri o atteggiamenti violenti, e intimamente incompatibili con i concetti di proprietà o possesso. Ormai alienu alla civiltà, e perseguitatu, abbiamo cominciato poco dopo a vivere in grandi comunità totalmente autosufficienti e orizzontali, pienamente egualitarie, in cui l’assenza di proprietà e l’equa divisione delle mansioni ci permette di vivere amore e cura collettivi. Un funzionamento pieno delle relazioni sociali, ambientali, interspecifiche. Ci rinfranca in questo anche la nostra sterilità congenita, poichè siamo liberi dall’ansia procreativa, che è un’ansia totalizzante, un egoismo totalitario, Dio e Patria e Famiglia. liberi dall’ansia procreativa possiamo dedicarci pienamente al bene della comunità. Siamo il compimento ultimo della specie umana, realmente: il più perfetto e felice, e come tale non più in condizione di replicare se stesso, poiché non più perfettibile. Anche lu pocu che hanno liberamente scelto di incubarsi pur senza essere Manson-Finnys hanno poi dimostrato una scarsissima intenzione riproduttiva. L’essere umano realizzato pienamente non sente bisogno alcuno di replicarsi. Non neghiamo, certo, che qualcuno possa desiderarlo, in questa fase transitoria, donando per scelta piena membru nuovu alla comunità. Lu miu genitoru ne sono un esempio. Ma: quando arriverà il tempo della libertà sapremo come generare nuovu membru della collettività, individualità infantile libere dalla nascita.”

Queste cose le ho spiegate gradualmente, ad Anna. Meritava una spiegazione. Quando abbiamo rilevato i suoi tentativi di trovare su internet qualche notizia sulla sindrome, abbiamo avviato con lei una comunicazione criptata. Ha creduto alle mie parole solo quando le ho inviato una foto della crisalide di suo figlio, con il nome ben visibile sul pad. Alle sue richieste di sapere dove teniamo nascosto Mattia abbiamo risposto di no. La segretezza degli alveari è irrinunciabile, difendiamo gli alveari da ogni occhio, da ogni intrusione, poiché sappiamo che i governi distruggono le crisalidi, distruggono tutto, uccidono. Non appena intuirono le reali conseguenze della scoperta della dottoressa Laveau, lu commissariu capirono di preferire la violenza, la prevaricazione e lo stupro, alla totale e insubordinabile libertà della nuova umanità compiuta.

C’è stato un momento in cui ho creduto che Anna avrebbe chiesto di farsi incubare, per trovare un rimedio alla solitudine e alla vergogna, al dolore. Poi invece ha deciso di combattere, a modo suo, in modo stupido: ed è stata arrestata. Noi non urliamo, non urliamo nelle piazze la sporca e cinica colpa del potere, poiché ogni luogo illuminato e scoperto è per noi ormai già perduto, poiché ogni cosa manifesta è il potere. Bisogna fermarsi un momento prima dell’apparire, uno strato prima della superficie. Lì è possibile l’agire, nascostamente: il potere è sguardo, è ciò che si lascia guardare. Noi non ci facciamo arrestare, non perdiamo la nostra libertà. Noi strisciamo invisibili nella rete, scombiniamo le carte, parliamo alle coscienze: e liberiamo, pariamo la strada alla gioia, alla fine.
Mancano sei giorni alla schiusa di Mattia. Mi sono riufiutata di guardare le foto pubblicate dall’autorità, le foto del giovane stupratore nero. Provo solo a figurarmi i suoi occhi nel momento in cui si apriranno per la prima volta.