Si comincia stampando una mappa di Ginevra. Marcelli la stende sul tavolo, la guarda con la testa inclinata cercandoci una geometria naturale, un piano d’azione fisiologico. Jeff non è a casa, sono le 7.30 del mattino, non tornerà dal lavoro prima di un’ora, Marcelli può allora entrargli in camera e prendere in prestito dei pennarelli. Più e più volte, passando, dalla fessura della porta socchiusa ha visto il tavolo addossato al muro, che Jeff utilizza come scrivania. Essendo le 7.30 sa di poter entrare, lo fa con timore di essere colto in flagrante, o almeno di lasciare tracce: questa paura di entrare in camera degli altri di nascosto ce l’ha da un paio di anni, all’epoca viveva in coinquilinaggio con altri due ragazzi, durante l’università, e un giorno, come di frequente, si fa un giro nella camera di uno dei due coinquilini, mentre quello era a lezione, si fa questo giro con una strana sensazione, e infatti a un certo punto gli squilla il telefonino, lui risponde e il proprietario della camera gli fa: che ci fai nella mia stanza? Marcelli si spaventa non poco e monta su una scusa dei calzini, la lavatrice, ecc., e da quel giorno non ci entra più. Bisogna essere un po’ toccati, aveva pensato, per monitorare la propria stanza attraverso la webcam del computer, con il controllo remoto, come se ci fosse qualcosa da nascondere. Cosa avete da nascondere?

Dunque afferra cinque pennarelli e torna in sala, si butta veloce sulla mappa, sa di dover fare tutto entro un’ora e riportare i pennarelli al loro posto prima che torni Jeff. Il fiume Rodano divide Ginevra in due porzioni naturali, lo ripassa con il pennarello blu, poi la linea di Rue de la Servette che diventa Rue de Chêne, intersecando il fiume sul Pont du Mont-Blanc, la Voie Centrale, l’affluente Arve. Le cinque porzioni di città si delineano seguendo le principali arterie che ci passano dentro, Marcelli non deve fare altro che ripassare i confini con i pennarelli. Poi a ogni zona associa un giorno della settimana e un foglio per gli appunti. Riporta i pennarelli in camera di Jeff, li rimette esattamente nella posizione in cui erano, e così la porta della stanza; con il tempo ha imparato questa pratica fondamentale che è memorizzare a colpo d’occhio la posizione esatta delle cose che prende di nascosto, o delle stanze che visita di nascosto, per una curiosità innocente e naturale, memorizza tutto a colpo d’occhio, o se per caso è troppo sovrappensiero per memorizzare o va troppo di fretta allora scatta una foto prima di allungare la mano e servirsi, così da avere una figura originale da ricomporre, dopo.

Jeff affitta la seconda camera da letto della sua casa su Airbnb, e Marcelli l’ha fermata per tre settimane. È un tempo minimo e forse insufficiente per sbrigare tutto quello che deve sbrigare a Ginevra, per stabilirsi in città, già dai primi giorni capisce che c’entra poco la volontà, c’entrano poco i progetti personali, lo stare in una città è questione di requisiti da soddisfare, di caratteristiche da assimilare per corrispondere più fedelmente al profilo giusto, e nella fattispecie ci vogliono per esempio: una casa, un lavoro, l’assicurazione sanitaria. Ma questo è il primo ordine di elementi, che si scompongono e si intrecciano: l’agenzia immobiliare richiede un conto in banca e l’assicurazione, la banca richiede un giustificativo di residenza, un justificatif, e un lavoro che garantisca l’affidabilità del cliente, e l’assicurazione sanitaria vuole entrambe, vuole una banca e vuole una casa. Questo sistema funziona, non c’è che dire, pensa Marcelli, le cose che funzionano sono prive di necessità, uno spazio per me non c’è, pensa, non c’è un anello slargato della catena cui io mi possa agganciare; se un sistema è perfetto e non perfettibile, come questo, non ha bisogno di aggiunte, di nuovi anelli, semplicemente procede, gira, brucia come un motore che funziona, un nuovo cittadino che vuole diventare nuovo cittadino è lui che ci ha bisogno, è lui che chiede, e non viceversa.

Marcelli potrebbe cercare online le statistiche annuali sulla popolazione ginevrina in affitto, e sui flussi migratori interessanti la città, fortemente in attivo, potrebbe fare queste ricerche facili e scoprire che per effetto dell’aumento dei prezzi di acquisto al metro quadro sul territorio cantonale, congiuntamente all’incremento del 12% nell’ultimo quinquennio di lavoratori arrivati a Ginevra dai cantoni rurali della Svizzera e dai Paesi limitrofi, Francia e Italia soprattutto, nel mercato degli affitti la domanda ha a tal punto superato l’offerta che nessun potenziale inquilino, nessun ricercante un appartamento, anche fosse per un periodo breve, è percepito come indispensabile dai proprietari degli immobili: nessuno è indispensabile al mercato stesso o importante per il funzionamento del sistema. Sono tutti marginali: sui grandi numeri il conto dell’equazione è pari a zero, l’avanzo della domanda sono stranieri che basta che portino pazienza, insomma, ci vuole la pazienza di sapersi inserire in un sistema, di accontentarsi, bisogna volerlo, e questi stranieri non hanno mai pazienza abbastanza. In un simile quadro, chi ricerchi una casa senza le garanzie richieste non ha alcuna possibilità di successo. Ci sono poi altre varianti, per esempio le condizioni in cui versano gli appartamenti disponibili, specie quelli disponibili per chi come Marcelli si presenta senza garanzie, senza carte, questi appartamenti sono spesso ben al di sotto di quello che un individuo europeo definirebbe a torto o a ragione il proprio “standard abitativo”, e dunque la primissima e primordiale necessità di avere una casa rimodula le virtù adattive, indica una nuova forma del quotidiano e un giovane in cerca di realizzazione, di qualificazione internazionale, così un giovane dottorando arrivato oltralpe appena un mese dopo l’ammissione al dottorato, come Marcelli, dopo essersi laureato in tempissimo, senza creare vuoti temporali, buchi curriculari ingiustificabili, avendo poi fatto domanda di ammissione a quella e altre scuole dottorali ancor prima di laurearsi, per incastrare precisamente i tempi, preservare una narrazione priva di contraddizioni, e avendo anche potuto scegliere tra diverse università tutte ugualmente disponibili a riceverlo, un siffatto giovane deve essere disposto a rimodularsi, ad avere chiara la gerarchia delle priorità. E Marcelli lo fa questo esercizio di semplificazione di sé, di riduzione, che vuol dire anche negare il proprio percorso di formazione di esigenze e prospettive, rinnegare la stratificazione dei gusti, colpevolizzare, pure giustamente!, lo sforzo genitoriale di costruirgli attorno un’abitudine all’agio che evoluzionisticamente si rivela fatale, rinnegare e colpevolizzare in vista della massima adattabilità ambientale. Insomma, non è che uno dice ho bisogno di una casa in cui abitare ed è fatta, questa è retorica, in verità bisogna essere idonei all’abitare, e questo, Marcelli, che pure non controlla le suddette statistiche, lo capisce veloce.

Allora viene prima il lavoro, la ricerca del lavoro. Non solo o non tanto per il denaro guadagnabile, quanto come certificazione di star facendo parte del movimento collettivo, del movimento giusto. Accedere al lavoro è accedere a una condizione di legittimazione, di giustificazione, e così Marcelli divide la cartina di Ginevra in cinque quadranti, a ogni quadrante un colore, un giorno della settimana, un foglio su cui appuntare orari e nomi delle attività commerciali, trasforma l’urbanistica in piano d’azione. Il rapporto di lavoro è del resto un rapporto di fiducia tra privati, una stretta di mano, e poi si può sempre rimodulare il proprio costo, diventare conveniente, più conveniente, più della concorrenza, scalare il surplus di domanda.

Alle 7.00 del mattino seguente Marcelli esce di casa. Per via dei prezzi delle camere su Airbnb a Ginevra, equiparabili a quelli di un hotel di media fascia in Italia, Marcelli ha dovuto allungare il raggio della ricerca e ha scelto l’annuncio di Jeff, la cui casa si trova in un sobborgo, Annemasse, che non è nemmeno più periferia, non è nemmeno più Svizzera, è un paesone a macchia di casette basse o palazzi a pochi piani, sul lato francese del confine nazionale, separato da Ginevra dalla periferia di palazzoni, il confine di stato passa in un punto tra questi palazzoni, quasi irriconoscibile dopo l’abbattimento delle dogane, sembra un’autostazione. Alle 7.20 è alla fermata del bus, l’11B che fa decine di fermate lungo il tragitto, a quell’ora carica lavoratori e lavoratrici che come Marcelli e come Jeff non abitano in città, spesso non sono né francesi né svizzeri, né europei. Alle 8.40 è in centro, in venti minuti apriranno le attività commerciali.

Giorno 1, zona 1, foglio 1. Il piano per la mattinata è di lasciare una copia del curriculum alle attività che esplicitano il bisogno di personale esponendo un avviso all’ingresso. Non ce ne sono, non nelle attività a gestione familiare, almeno, ne espongono piuttosto gli esercizi delle grandi catene, ma gli impiegati all’interno, coetanei di Marcelli probabilmente, rispondono con un certo automatismo che i curriculum vanno inviati all’ufficio mediante l’application on-line. Marcelli ringrazia, e sente l’imbarazzo di aver tentato un approccio così naïf, di aver dimostrato in modo tanto genuino la sua estraneità alle prassi aziendali. A metà mattina ha concluso il giro della zona 1 e ha ancora tutte le copie del curriculum nello zaino. Al supermercato compra un panino preconfezionato con pollo al curry e va al Parc des Bastions, davanti all’Università, per pranzare sul prato, il tempo sembrerebbe tenere e sul prato è pieno di giovani seduti con le gambe incrociate, mangiano un panino o più spesso un’insalata in contenitori casalinghi, se si ha una casa propria cambia anche questo. Chissà se anche loro cercano un lavoro.
Marcelli è indeciso, ci pensa mentre mastica il panino, non sa se proporsi anche agli esercizi commerciali che non cercano apertamente un nuovo impiegato, cioè a tutti, tutti quelli che non espongono un cartello. Si immagina entrare in un locale, la proprietaria guarda con cordialità il possibile nuovo cliente, e quello invece le allunga un curriculum a tradimento. Sente l’imbarazzo di non rispettare il dialogo silenzioso delle aspettative, di forzarlo. Ma decide di fare un tentativo. Entra in un caffè-ristorante, Piazza Roma dice l’insegna, spera che essere un connazionale e parlare italiano giochino a favore. Davanti a lui due clienti, meglio attendere in fila. In mano una copia del cv. Al bancone la ragazza parla francese, e anche quando tocca a Marcelli parla in francese, lui allora farfuglia qualcosa in francese, poi passa all’italiano ma non viene capito, torna al francese e ordina un caffè. Beve il caffè al bancone, con disagio e velocemente, la ragazza lo guarda interrogativa e con un po’ di vanità, forse pensa che c’è sotto qualcosa, che il caffè è stato un ripiego. Marcelli finisce il caffè, cattivo, e lascia il Piazza Roma. Mi è mancato il coraggio, pensa camminando per strada, sono le 14.30 circa, e chiedere un caffè è stata una forma di riparazione del torto di essere un individuo ancora non collocato, un di troppo da smaltire, proporre un curriculum non richiesto è richiedere qualcosa all’uscio altrui, più precisamente denaro, e riconoscimento, dichiarare la propria non autosufficienza, la propria improduttività, l’essere un peso da amministrare. Si sente come un venditore di scope elettriche.
Marcelli torna a casa, più di un’ora di mezzi pubblici, decide di riprendere la ricerca dal giorno dopo, zona 2, e concentrandosi sugli esercizi che espongono l’avviso di ricerca dipendenti, sicuramente allontanandosi dal centro le posizioni saranno meno sature, tutti vogliono lavorare in centro, marginalizzandosi geograficamente le posizioni vanno incontro a svalutazione, che può essere strategica se uno è ben disposto, come lo è Marcelli.

Il giorno dopo le cose vanno esattamente allo stesso modo. Di cartelli alle vetrine non ce ne sono. Dopo il pranzo al parco decide di tentare nuovamente con un bar senza avviso, entra e allunga una copia del curriculum, ma il signore proprietario fa: piuttosto noi cerchiamo clienti! E ride. Marcelli sorride, caccia le mani in tasca, chiede un rustico alla pancetta che è esposto proprio davanti al suo mento, il signore lo ringrazia divertito, e lui esce. Si ferma all’angolo di un vicolo a riprendere fiato, l’imbarazzo glielo ha spezzato, mani sulle cosce e il sacchetto unto con il rustico tra le dita. Guardi, ha detto al signore del bar nel suo francese, io sarei un dottorando, faccio ricerca qui all’Università di Ginevra, non sono uno straniero qua per caso. Gli tremava il sorrisino, mentre lo diceva. Pss, gli fa qualcuno da dietro. Pss, da dietro il bidone. Mi daresti quel rustico?, gli chiede un gatto randagio che sbuca fuori, pelo lungo bianco e nero, impiastricciato. Dai, io ho fame, tu lo hai comprato solo per la vergogna di non rimanere lì a balbettare. La testa felina dietro al bidone, bassa, la bestia non si scopre completamente, sta in difesa. Marcelli butta il rustico a terra e tira dritto per la principale. Il gatto trascina il rustico all’ombra del bidone.
Marcelli torna a casa e si butta a letto. Il cellulare squilla, ma non risponde a sua madre, si gira, ha l’immagine di lui che allunga il curriculum, il signore che ride: piuttosto noi cerchiamo clienti. Il rustico alla pancetta che dà senso alla sua presenza lì, davanti al bancone, con lo zainetto sulle spalle, che ristabilisce l’equilibrio dei ruoli, lo riposiziona rispetto al potere: sono io che compro, che tiro fuori il denaro.

Vale la pena tentare, gli fa il gatto davanti all’ingresso di una boulangerie, il giorno dopo, strusciandosi dietro a un palo. Marcelli non risponde, entra. Ne esce con una quiche al salmone, le copie del curriculum stropicciate nello zaino. Che fai la dai a me, quella? Marcelli lancia la quiche al gattaccio, che ci si avventa silenzioso. Marcelli prosegue il percorso, e comincia a fare più tentativi, si butta, assume questa abitudine di fare un piccolo acquisto appena dopo l’offerta, rifiutata, del curriculum, il riscatto del piccolo acquisto gli dà la forza di provare anche un’altra volta, non si sa mai, e così via.
Non stare a rompermi i coglioni, risponde Marcelli al felino bastardo che gli petula il cibo all’uscio di ogni bar-ristorante, a ogni tentativo fallito che ripiega nell’acquisto minimo per provare a uscirne a testa alta. Il gattaccio gli soffia contro dall’ombra in cui si agguatta, o alza la coda storta, sdegnoso.
Marcelli prova un esercizio commerciale dopo l’altro, in un automatismo incondizionato in cui ogni ingresso apre una parentesi che si chiude all’uscita, due o tre minuti dopo, nulla rimane del diniego o dell’imbarazzo, Marcelli lascia parlare la sua bocca, la frase è ormai fatta, e poi compra qualcosa che indica col dito, la più prossima, e così cancella dall’esistente il tentativo abortito, alla porta successiva si presenta vergine, nuovo, appena arrivato in città. Le copie del curriculum spiegazzate nello zaino. Ciascun “no” è d’altronde isolato, è un diniego individuale, i commercianti non dialogano tra loro, non attingono a una coscienza collettiva che condanni Marcelli a essere riconoscibile, riconosciuto come un povero rompicoglioni.
Ma forse c’è una coscienza collettiva, invece, una voce che riferisce a tutti gli esercenti, se lo accolgono sempre con cipiglio e sorrisino, o forse è che parlano tra loro, i negozianti, si ritrovano per strada all’orario di chiusura, abbassando le saracinesche. E la città non è grande, bastano pochi giorni e Marcelli finisce i suoi giri, la pianificazione entra in loop, e comincia a ripetersi in una circolarità meccanica consentita dalla sua personale trovata contro l’imbarazzo.

Guarda che ti riconoscono eh, se la ride il gattaccio, e risponde alla risata un sorcio bruno: nelle ultime ore si è diffusa la voce che Marcelli butta il cibo a terra, che ci ha cibo in avanzo, e cresce la schiera delle piccole bestie cittadine, che gli fanno il codazzo, affamate. Guarda che ti riconoscono!, se la ridono, prima di azzuffarsi per un po’ di prosciutto. Aumenta del resto lo scarto di cibo, lo scarto del suo lavoro di ricerca, negozio per negozio, locale per locale, il suo stomaco è pieno, ha la nausea, il surplus va smaltito in qualche modo, e lui lo abbandona al randagismo urbano, come gli antichi smaltivano il surplus dell’attività di allevamento facendo sacrifici al dio.
Sh!, state zitti, intima Marcelli ai randagi, sempre più rumorosi, soffiano, mugolano, grugniscono, garriscono, squittiscono, latrano, tenete e state zitti, fa loro, e lancia a terra l’acquisto recente, qualcosa da mangiare, e non si ferma a guardare la zuffa che scoppia per quel poco che getta, vorrebbe che le bestie non lo seguissero, teme che quella folla rumorosa di petenti invalidi il suo trucchetto, rendendolo riconoscibile, o che il fastidio procurato alla città lo rimetta in una posizione di debito. La cittadinanza ha diritto alla giusta tranquillità.

Solo clienti cercate?, solo clienti?, pensa Marcelli, con rabbia, con stizza, con il sorriso incassa il no e paga il piccolo acquisto. Ma l’importante è partecipare, consumatore o produttore non importa, acquirente o esercente non importa, sono momenti diversi della stessa azione, e così se non posso vendere compro, se cercate solo clienti io sono cliente, se non posso essere assunto mi colloco diversamente nel mercato, posso essere la domanda o l’offerta, ora sono la domanda, va bene, seppure domandavo di essere offerta, seppure mi offrivo, va bene. Mi colloco, sono collocato, non sono io lo scarto, il residuato di questo processo posso spostarlo più in là, dietro di me, il cibo che butto a terra, i bastardi schiumanti che ci si scannano.
A noi sta bene essere lo scarto, guaisce uno spinone guercio, a noi ci basta affondare i denti. Marcelli pensa che le bestie gli fanno schifo, quelle bestie là. È keynesiano a modo suo, Marcelli, l’offerta può essere indotta pompando la domanda, domanda e offerta, acquirente ed esercente, non è la stessa cosa?, piuttosto clienti!, sorridono tutti di rimando i proprietari, ma se gonfio la domanda a oltranza, se la gonfio questa domanda che non basta mai, si bilancia allora il surplus produttivo, si reintegra lo scarto, costringo i proprietari ad alzare l’offerta di impiego, a farmi l’offerta, ovvero, divento io un’offerta che non si può rifiutare.
Così compra da ciascuno qualcosa, Marcelli, qualcosa sempre più, e getta tutto negli angoli delle strade. Aumenta la folla randagia, rumoreggia, azzanna, puzza. Grazie, fanno le bestie ridendo, grazie! E ordina anche on-line, Marcelli, si fa consegnare cibo in zone diverse della città, lo paga e lo abbandona.
Ancora non vi serve un altro impiegato? Ancora no?
Talvolta dorme al parco, Marcelli, non torna a casa di Jeff, non vuole interferenze, è pronto la mattina a battere i negozi, a battere i furgoni dei rifornimenti.
Ancora no?, ancora no?
La folla petente si fa più sfacciata, vogliono tutto, ormai anche quel tanto che Marcelli terrebbe per sé, è sempre più rumorosa la folla barbona sbavante. Una sera un gabbiano si procura una ferita a un’ala e tarda a decollare, i gatti lo vedono, si chiamano ridendo, e lo azzannano al collo, ne tirano via le penne, facendone brani. Cammina svelto Marcelli, tiene pietre nelle tasche e un bastone in mano.
Ancora niente?, chiede agli ingressi, ancora niente?
Sciò!, gli fanno i commercianti, lo riconoscono, sciò italien!
Ancora niente, lui fa, ancora niente? Ma la domanda e l’offerta sono aggregate, sono somma di parti, accumuli, e se non gli riesce di gonfiare l’offerta di impiego crea allora artificialmente una nuova necessità: il bisogno di ordine, di sicurezza. Sempre più aggressivi gli animali, pulciosi e spelacchiati lo seguono a decine, nell’ombra ma talvolta non solo, ormai, e di notte si prendono la città, mentre Marcelli dorme, o prova a dormire. Una notte una vecchia si affaccia sulla strada, per dare degli avanzi al gatto della via, ma il gatto della via è in brigata, ci trova le bestie fameliche che fiutano l’odore, che sono troppe per quel piattino di avanzi di bollito, e allora le saltano addosso, e devastano, la devastano. La misura è colma.
Io non voglio saperne niente, grida Marcelli al branco. Ha paura, la città potrebbe fare un’associazione per lui letale, i ginevrini hanno timore, si guardano attorno, ma le bestie randagie non sono un risultato intenzionale: sono un effetto collaterale del suo piano, della sua necessità.
Ma lo spreco può essere reintegrato, assimilato. Può essere consumato mediante il lavoro, una nuova declinazione di quello stesso movimento, il consumo dello scarto è il maggiore dei lavori, se la ride Marcelli squadrando gli animalacci acquattati nelle ombre, il lavoro è spreco. Se la ride Marcelli, e allora siete voi il mio lavoro, grida alle bestie, e se la ride, è metà mattina, i negozi tutti aperti, una porta dopo l’altra Marcelli entra, è sporco, confuso, riconoscibile, chiede sorridente ed educato: visto che problema questi randagi? Visto che la città non è più sicura? Ma se volete ci penso io, io vi offro il servizio di tenere sgombre le vie, sicure le vie, per la serenità dei vostri clienti. Lo scacciacani del quartiere, lo sceriffo con la stelletta e tutto il resto.
Lo cacciano con la scopa, i negozianti. Gridano, ma poco, per non spaventare i clienti, le signore preoccupate al bancone. Alcuni chiamano la polizia.
Marcelli entra in un ferramenta, in una zona discreta della città, e compra dei chiodi. Li batte con una pietra a un grosso bastone raccolto ai piedi di un pino. Lo seguono le bestie, si tirano occhiate, e rumoreggiano. Marcelli torna in centro, sceglie una delle vie dei negozi, le persone passeggiano placide ma la sua presenza influenza i loro movimenti, brevi scatti di testa, giri larghi, rigidità delle braccia. Il branco randagio all’ombra di vicoli e cassonetti. Marcelli getta un pezzo di carne in mezzo alla strada. Si trattengono le bestie. C’è la luce forte, la gente. Ma sbavano, fremono, si sente. Un cagnaccio rognoso si getta sulla carne e Marcelli colpisce. Lo massacra con la mazza ferrata, il pelo si apre, rosso, si scoprono la polpa, le ossa. La gente riceve quello spettacolo con orrore. Marcelli grida: vedete che tengo le strade sicure? Ecco la mia offerta!

Si rifugia in casa di Jeff per dei giorni. Spera di non aver lasciato tracce dietro, ha usato il delirio dello squartamento per dileguarsi, prima dell’arrivo degli agenti. Butta i vestiti impregnati dei giorni passati come un randagio. Jeff non è a casa, ma sente nell’aria il deodorante che mette prima di uscire. La settimana seguente lo chiamano dall’Hanan Fried Stuff, un fast food allocato in un prefabbricato nella zona industriale della città, serve soprattutto i lavoratori e gli automobilisti, l’autostrada ci passa a poca distanza. Signor Marcelli, abbiamo ricevuto il suo curriculum e vorremmo farle un colloquio per discutere di una posizione aperta, gli dice una voce dall’altra parte, in francese. Lui risponde: oké.
All’Hanan Fried Stuff non interessano le referenze, le carte, le giustificazioni. Nemmeno i precedenti, i tentativi, il grado di inserimento. All’HFS serve piuttosto l’esubero, il surplus umano che è sempre necessario a riempire le caselle del calendario, h24 7/7, combinazioni potenzialmente infinite di caselle vuote, di postazioni. Marcelli è esubero che può essere rimodellato agilmente in forma di casella: è assunto, 25 ore settimanali, un mese di prova e poi CTI, contratto a tempo indeterminato. Un colpaccio.

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In copertina: Wassily Kandinsky, immagine in id., Punto Linea Superficie, Adelphi, 1968.