Nudo e crudo per voi un canto. Dalla penna di Alonso Quijano (o di quello che così si fa chiamare)

Tripudio del capostipite

“C’è una gabbia?” – “Mettilo qui”, rispose da dentro
il camice verde inamidato
e lui – se c’è un ordine
chi fa la domanda esegue –
lo mise dentro il recinto altemura.

(Neanche dieci anni sono stati necessari
neanche il silenzio trattiene più il respiro
neanche la conservazione, l’abitudine. Niente.)

“Che mangia?” – “Circe ha venduto le sue serve di carne
per un bicchiere di rosso,
di loro, ora, restano solo le ossa, dagli quelle,
che si rifaccia i denti, lui, l’animale.”
– Chi comanda, non esegue.
Tacere, tacere a lungo. –

“Che cosa conosce?” Chi comanda dispose:
“Intuizioni, un fica e niente di troppo.”
Chi fa domande eseguì,
perché – se c’è – credette all’uguaglianza,
nel teorema arrischiò la propria fiducia,
fiducia di uguale
che è altra cosa dal pari.
Chi fa domande conobbe solo domande
– e cedette.
Come l’animale è stato castrato.

Non uno che abbia detto qualcosa. Un saluto è dire già molto
anche nel disordine.
Eppure si disse, si parlò, si vide.
“Che cosa ha visto?”
– Chi domanda sta già vagando
o è  già stato ritrovato dalla mano che inquisisce
nel silenzio della forma, del gesto tutto vuoto profondo grave
dove si dice, si parla, si vede ancora –
“Prima che giunga qui, ancora giallo epatite,
prima che si dica, si parli,
si veda e si taccia a lungo
bisogna sapere che cosa ha immaginato, visto, conosciuto.”

Lui, l’animale, bastardo, si sorprese a dire:
“La tradizione, la memoria… ho ceduto per l’oblio
per l’oblio soltanto.

Che sia vero o falso, che importa?
– Il conto, sia gentile, non troppo salato. –
Che importa una verità a questo punto di galleggiamento?

Ah inedia,
inedia come fotti tu, nel tuo abisso di mucose…
ma se dicessi, ora: apriti mare e fammi fuggire!
Bene, mi risponderesti, ce ne vogliamo quando tacciamo.”
– Tacere, tacere a lungo –

(Niente. Neanche un piagnucolare isterico.
Neanche alla fine degli ultimi sogni
–  a milioni mi perseguitano tossici, da milioni di anni –
neanche là un piagnucolare isterico.)

“E il catenaccio?” l’ignorante che esegue conobbe solo domande.
Le mani del fabbro – perché distorcere, inventare è tutto! –
stavano là davanti all’uscio. “Duro, resistente.
Almeno il tempo di confondere, predicare.” Chi comanda previde,
presunse di prevedere per arroganza
– tripudio del capostipite.