Da “Nota a la primera edición” di Ignacio Echevarría in Roberto Bolaño, 2666, Anagrama, Barcellona, 2004.

[…] C’è inoltre una considerazione che avalla la decisione di pubblicare riunite […] le cinque parti di 2666. Bolaño, eccellente scrittore di racconti e autore di nouvelles magistrali, si vantò sempre, una volta lanciatosi nella redazione di 2666, di affrontare un progetto di dimensioni colossali, che superava di molto, in ambizione come in estensione, I detective selvaggi. La grandezza di 2666 è indissociabile dall’idea originale che tiene insieme le sue parti, dalla volontà di rischio che la anima, dalla sua insensata aspirazione alla totalità.

[…] “Che triste paradosso, pensò Amalfitano, ormai nemmeno i farmacisti illuminati si arrischiano con le grandi opere, imperfette, torrenziali, le opere che aprono strade  nell’ignoto. Scelgono gli esercizi perfetti dei grandi maestri. O ancora, che è lo stesso: vogliono vedere i grandi maestri tirare di scherma, in allenamento, e non ne vogliono sapere dei combattimenti veri e propri, in cui i grandi maestri lottano contro quella cosa che ci terrorizza tutti, quella cosa che fa tremare le gambe, e c’è sangue e ferite mortali e fetore”.

[…] Poi c’è il titolo. Questa cifra enigmatica, 2666 – una data, in realtà – che funziona come punto di fuga nel quale trovano ordine le varie parti del romanzo. Senza questo punto di fuga, la prospettiva dell’insieme sarebbe monca, irrisolta, sospesa nel nulla.
In una delle abbondanti note relative a 2666 Bolaño segnala l’esistenza nell’opera di un “centro occulto” al di sotto […] del suo “centro fisico”. C’è ragione di pensare che questo centro fisico sia la città di Santa Teresa, trascrizione fedele di Ciudad Juárez, al confine tra Messico e Stati Uniti. Lì convergono, alla fine, le cinque parti del romanzo; lì accadono i crimini che configurano il suo impressionante sfondo (e dei quali si dice, in un passaggio del romanzo, che “in essi si nasconde il segreto del mondo”). Riguardo al “centro occulto” – e se lo indicasse proprio questa data, 2666 […]?

[…] La protagonista di Amuleto, Auxilio Lacouture […] racconta che una notte seguì Arturo Belano e Ernesto San Epifanio che si dirigevano, a piedi, verso la Colonia Guerrero, a Città del Messico, in cerca del cosiddetto Re dei Ricchioni. Dice:
“E li seguii: li vidi camminare a passo leggero per Bucareli fino a Reforma e poi li vidi attraversare Reforma senza aspettare il verde, entrambi coi capelli lunghi e arruffati perché a quell’ora soffia il vento notturno di cui la notte è colma e Reforma si trasforma in un tubo trasparente, un polmone cuneiforme in cui scorrono le esalazioni immaginarie della città, poi cominciammo a camminare per l’Avenida Guerrero, loro ora un po’ più lenti di prima, io un po’ più depressa di prima, la Guerrero a quest’ora sembra soprattutto un cimitero, però non un cimitero del 1974, né un cimitero del 1968, né un cimitero del 1975 – piuttosto un cimitero del 2666, un cimitero dimenticato sotto una palpebra morta o non ancora nata, l’acquosità spassionata di un occhio che per voler dimenticare qualcosa ha finito per dimenticare ogni cosa.“

[…] Un’ultima osservazione che forse non è superfluo aggiungere. Tra le annotazioni di Bolaño relative a 2666 si legge, in un appunto isolato: “Il narratore di 2666 è Arturo Belano”. In un altro punto aggiunge, con l’indicazione “per il finale di 2666”: “Questo è tutto, amici. Ho fatto di tutto, vissuto di tutto. Se ne avessi la forza, mi metterei a piangere. Vi dice addio Arturo Belano”.