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[L’ossessione del sesso è uno dei temi principali in Petrolio di Pasolini e Troppi Paradisi di Walter Siti, due opere intimamente correlate. In Troppi Paradisi di Siti, infatti, Pasolini è una vera e propria eminenza grigia che aleggia per tutto il romanzo e, addirittura, finisce per prendere attivamente parte all’opera come ingombrante padre castratore evocato dalla ambigua figura della Catastrofe, ovvero Laura Betti agens. Walter Siti definisce Pier Paolo Pasolini come “l’Antagonista”, “colui che è riuscito a utilizzare la propria sessualità come conoscitiva”. Però Pasolini e Siti, nonostante il rapporto profondo che lega i due autori, hanno creato due personaggi che esperiscono la loro “erotomania sacra” in modo del tutto differente. Se Carlo può ancora arrivare ad una conoscenza sovra-razionale invece Walter Siti agens non può altro che riscontrare il vuoto dietro al corpo ipertrofico del culturista Marcello, immagine emblematica che certifica come ai tempi dell’autofiction non possano più esistere Salvatore Dulcimascolo]

 L’ossessione del sesso e le incarnazioni del divino

da Petrolio di Pasolini a Troppi Paradisi di Siti

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Dentro l’ossessione: un confronto

 Questo intervento si prefigge l’obiettivo di mettere a confronto l’ossessione del sesso in Petrolio di Pasolini e Troppi Paradisi di Walter Siti. È noto come i due scrittori siano correlati. Basti dire che Walter Siti ha curato insieme a Silvia De Laude l’Opera omnia di Pasolini. Ma il parallelo fra i due è ampiamente motivato non solo da questo dato. Si può a mio avviso considerare il Walter Siti romanziere come continuatore di alcune tematiche, queer e non, che lo stesso Pasolini aveva affrontato in Petrolio. Il sesso (soprattutto omosessuale ma anche eterosessuale) rappresenta per entrambi gli scrittori un aspetto di grande rilievo. Ma come viene affrontato il sesso da Pasolini e Siti? È un sesso sovrasemantizzato ed espanso dove esperienza religiosa e ricerca identitaria da parte dell’officiante s’intrecciano indissolubilmente, una pratica cultuale e gnoseologica cercata ossessivamente da Carlo e Walter Siti agens, i protagonisti di Petrolio e Troppi Paradisi, unico modo per controbattere la fine dell’esperienza e rendere la vita degna di essere vissuta. Perché avviene questa “erotomania sacra” in entrambi gli scrittori? È lo stesso Siti a rispondere in una prefazione al raro Bailamme di Pier Antonio Pardi del 1983 (non a caso l’anno in cui lo scrittore iniziò la composizione del suo primo romanzo, Scuola di nudo):

“L’erotomania è, ovviamente, segno di altro: nostalgia di comunicazione diretta e intensa, protesta per promesse non mantenute. Di trentenni che nel ’68 erano troppo giovani per prenderla con ironia, e nel ’77 erano già troppo ironici per vedere l’orrore che avanzava;  gli è rimasto “il sogno di una cosa” ridotto in figura di sesso. I personaggi di Pardi nutrono il desiderio di un’orgia sacra e rivoluzionaria”[1]

Il desiderio di un’orgia sacra e rivoluzionaria non credo sia effettivamente riscontrabile nel libro di Pardi, ma sicuramente vale per Pasolini e Siti e i loro personaggi Carlo e Walter Siti agens. Una differenza profonda, però, divide i due autori. Se in Pasolini il sesso è ritorno alla realtà, gesto sacro per far cadere il velo di maya forgiato dalla deriva capitalistico-antropologica, in Siti invece il sesso diventa apogeo dell’impenetrabilità della realtà stessa, ormai fictionalizzata alla radice e quindi irrecuperabile nella sua forma originaria. Nel romanzo di Siti, Pier Paolo Pasolini è una vera e propria eminenza grigia che aleggia per tutto il romanzo e, addirittura, finisce per prendere attivamente parte e avere un ruolo determinante nell’opera.

Siti

Nella prima parte di Troppi Paradisi, il cui titolo è La miseria dei miei, il personaggio Walter Siti intrattiene una relazione con Sergio Serenelli, un uomo più giovane di lui che intende farsi largo nel mondo della televisione. Sergio lavora nello staff di Carramba e ambisce a diventare coautore di UnoMattina. La persona che può far ottenere a Sergio l’àmbito avanzamento di carriera è la capostruttura Rita Catapano. Catapano, non a caso,  è un cognome parlante che deriva dal greco κατά (katà) ed ἐπάνος (epànos) (italiano: “colui che sta al di sopra”). Nel tentativo di ottenere una raccomandazione per Sergio, Walter Siti agens contatta una persona che non sente da molto tempo e con cui ha un rapporto molto sofferto. Di lei sappiamo che ha vinto la Coppa Volpi a Venezia nel 1968 e che soffre di una grave forma di bulimia. Inoltre è stata profondamente legata a Pier Paolo Pasolini. In questo personaggio è facile riconoscere la figura di Laura Betti. In tutto il romanzo questo nome non apparirà mai. Walter Siti agens la chiama inizialmente l’Attrice per poi virare verso la “Catastrofe  Biologica” o anche familiarmente la “Catastrofe”:

“La Catastrofe va a toccare le zone non ancora cicatrizzate della mia anima, quelle dove si annodano inestricabilmente i serpenti della Maternità, dell’Impotenza e della Castrazione”[2]

Il sondaggio per l’eventuale raccomandazione cade nel nulla. La Catastrofe informa Walter Siti agens che Rita Catapano non è poi così potente. Siti si rammarica di essersi rivolto a una figura così destabilizzante per la sua persona. Però ormai la Catastrofe è stata evocata e il protagonista deve confrontarsi con essa; una madre castratrice che a causa della sua grassezza richiama alla mente del protagonista anche la sua madre biologica. Il genio straripante della musa di Pasolini e la mediocrità della madre di Siti finiscono per confondersi, così, in un cordone ombelicale di torture. È proprio l’apparizione della Catastrofe a evocare una figura ancora più castrante, inarrivabile e maestosa: quella di Pier Paolo Pasolini, nel romanzo nominato anche come lo Scrittore, il Poeta ma soprattutto l’Antagonista:

“Forse non è un caso che, per un lapsus della vita quotidiana, per dare una mano a Sergio sul lavoro, abbia scelto la persona sbagliata e mi sia addentrato nei territori della Catastrofe e del famoso scrittore che lei ha amato. Pasolini Pier Paolo. L’anti-mediocre per eccellenza, a sentir lui. Quello che ha gettato il proprio corpo nella lotta, che non ha taciuto di fronte al degrado italiano e al rischio di totalitarismo; l’apostolo delle borgate, colui che è riuscito a utilizzare la propria sessualità come uno strumento conoscitivo. Ogni giorno sul filo della spada; donne in casa che lo trattavano come un principe. E io a servirlo per sei anni, donna anch’io, anzi invidioso maggiordomo. Se tesso l’elogio del tirare la carretta è per oppormi a lui. È lui il mio Antagonista: per una confusa intuizione che potrei essere un romanziere migliore di lui, se riuscissi ad afferrare i connotati tutt’altro che ignobili della decadenza occidentale ( forse anche italiana in particolare) raccontandola da dentro, da microbo tra i microbi!”[3]

Walter Siti nomina Pier Paolo Pasolini come “l’Antagonista” o anche “colui che è riuscito a utilizzare la propria sessualità come conoscitiva”. Questa caratteristica accomuna i due scrittori ma la Catastrofe, considerando Pasolini più virile, mette in dubbio che la “checca” Walter Siti possa riuscire nel tentativo di eguagliarlo e tantomeno superarlo:

“Oh, io dico quel che penso, non ho mai fatto sconti nella vita e non è che mi sia trovava così male… è conturbante quanto capisco… tu non reggi la grandeur e il tuo sangue, Walter, è un po’ schifoso… perché non ha il sangue di un vero uomo…  io l’ho conosciuto un vero uomo e so di cosa parlo. Per questo tradisci, fai le piccole marachelle che non hanno una vera dignità culturale… la poesia è lassù, è una cosa semplice, e tu non hai le palle per essere semplice, povera cocca… ti illudi che tradendo me puoi arrivare alla dignità…  io nella mia vita ho sempre fatto il possibile per non essere conosciuta, eh son fatta male…  ma ero l’unica che poteva aiutarti, perché io so tutta la fisiologia e l’antropologia che distingue una checca da un uomo maschio che va con gli altri uomini, e magari se lo fa mettere nella fregna, ma resta una cosa molto diversa… le checche guardano sempre storto e tu guardi storto”[4]

Il sommo esempio con cui si confronta Walter Siti porta a una situazione curiosa e non mi risulta che altri critici si siano soffermati su questo aspetto. In Petrolio è noto come lo sdoppiamento del protagonista Carlo, nell’appunto 3, sia uno dei momenti cruciali di tutto il romanzo. Nell’appunto 105 si leggono alcune considerazioni interessanti riguardo Carlo – definito come personaggio “tiepido” –  e il legame fra il personaggio di Pasolini e lo Stavrogin – nello specifico lo Stavrogin a colloquio con il vescovo Tichon nei Demoni (il tema dell’Agnello che preferisce chi è freddo a chi è tiepido) – di Doestoevskij:

“Che Carlo sia uno Stavrogin, non può essere assolutamente e neanche lontanamente vero. È indubbio però che egli è proprio quello Stavrogin che Dostoevskij aveva programmato di fare. […] Carlo è cioè un personaggio veramente tiepido. È vero che anche Stavrogin – come Dostoevskij afferma – non è né ardente né freddo. Egli è tutte due le cose insieme: ma ciò non significa però affatto che egli sia tiepido. Ardore e freddezza messi insieme danno qualcos’altro che tepore, cioè mediocrità, come pretendeva, verbalmente, Dostoevskij. ‘Ardore’ e ‘freddezza’, messi insieme, danno ambiguità: vissuta drammaticamente, ma senza esplicito conflitto. Ambiguità fissata dunque nel simulacro dell’enigmaticità”[5]

Perciò se in Petrolio lo sdoppiamento del personaggio avviene in Carlo stesso, con la nascita di Carlo di Tetis e Carlo di Polis, invece in Troppi Paradisi lo sdoppiamento avviene attraverso i genitori di Walter Siti agens. Da una parte genitori biologici mediocri, dall’altra genitori ideali eccellenti che incutono nel protagonista di Troppi Paradisi esattamente quello che ‘ardore’ e ‘freddezza’ davano a Carlo:  ambiguità vissuta drammaticamente, ma senza esplicito conflitto. Questa ambiguità sembra essere quasi la conditio sine qua non per rendere possibile a entrambi i personaggi gli atti di gnoseologia sessuale che compiranno nel corso dei rispettivi romanzi. Anche se Carlo riesce a essere sia uomo che donna mentre Walter Siti agens è, secondo la Catastrofe, una checcha che non ha la virilità necessaria per avere una fregna pur rimanendo, contemporaneamente, uomo con gli attributi. Ciò è provato dalle difficoltà che Walter Siti agens incontra, nel prosieguo del romanzo, quando vuole penetrare Marcello. Le parole di Walter Siti agens a commento della propria impotenza sono alquanto sorprendenti. Ancora una volta viene chiamata in causa la madre, ma stavolta quella biologica:

“L’aiuterei a chiudere una vita che non vuole più: il matricidio confinerebbe con l’eutanasia. Ad alcune donne la procreazione dovrebbe essere proibita. Che io sono impotente, è tutta colpa sua. È la sua fica mimetizzata dentro il culo di Marcello, che non me lo lascia possedere”[6]

Le due madri diventano intercambiabili. A entrambe si può attribuire l’impotenza di Walter Siti agens, in una continua ambiguità che non si risolve. Si veda ancora in Troppi Paradisi, stavolta nel secondo capitolo, come le parole beffarde della Catastrofe, inneggiando alla grandezza inarrivabile di Pasolini, potrebbero essere pronunciate anche dalla madre biologica. Però il fatto che la Catastrofe conoscesse personalmente Pasolini rendono queste parole ancora più schiaccianti, autorevoli, inappellabili.

“Lei enfatizza la virilità del Poeta scomparso, e quanto ce l’aveva grosso, e come gli si rizzava subito: il sesso per lei (anche per lui, temo), è (era) come un missile interplanetario che non concede sconti e mostra il mondo dall’alto”[7]

La ricerca spasmodica del corpo sommo che coincide con Dio allora diventa ossessione. Se Pasolini Pier Paolo ha goduto molto deve farlo anche Walter Siti agens. Sesso, gnosi e affermazione letteraria s’intrecciano indissolubilmente. Per Walter Siti agens è questione di vita o di morte portare a compimento il suo progetto di sopraffazione verso il suo castrante e apparentemente inarrivabile maestro. Così Walter abbandona Sergio per sostituirlo con il borgataro Marcello Moriconi, culturista androgino che Siti contende a un potente politico, Alfonso detto “il Principe”. Fra i due avviene un incontro di cui vale la pena riportare almeno due frasi. È il Principe stesso a pronunciarle: «Marcello è una puttana sacra: il rito non è interessante se non è collettivo. […] Guarda che non se ne trovano mica tanti, come lui… io ho una certa esperienza, anche internazionale, e ti posso assicurare che ormai domina il business dei surrogati; gli androgini veri sono una specie in via di estinzione»[8]. Possedere Marcello è l’obiettivo di Siti agens. Il suo amore omosessuale potrebbe garantirgli di incarnarsi dentro allo spirito del tempo e inoltre superare l’odiato/amato maestro. Infatti come è scritto all’inizio della terza parte:

“Credo che l’omosessualità sia una condizione particolarmente attrezzata in questo momento a porsi come modello. […] L’omosessualità come avanguardia dell’integrazione consumistica. […] C’è un particolare tipo di omosessuali, dicevo, che è allenato da sempre a desiderare l’infinito. L’oggetto d’amore è irraggiungibile, esattamente come nessuna merce basta. È quel particolare tipo di omosessuali che fa precipitare l’infinito nell’enfasi della corporeità; nella rotondità astrale del corpo, o nella esausta efebicità – comunque, in una astratta perfezione ne garantisce l’appartenenza a un altro mondo. Corpo per negare le funzioni del corpo, o le sue derive temporali: corpus a non corporeando. […] Per quel tipo di omosessuali, investiti di colpo dalle luci della ribalta, l’immagine del corpo desiderato rimane fissa nel tempo (indipendente dalle caratteristiche umane di chi lo indossa), da quando sono ragazzi a quando muoiono; proprio come le industrie vorrebbero che si stampasse la griffe dei loro prodotti nella testa dei consumatori. Nel campo del pensiero, si potrebbe dire che l’equivalente dell’immagine è il cliché condiviso, accettato senza discutere; l’odierna comunicazione ci sta abituando progressivamente a maneggiare immagini di idee, invece che idee vere e proprie”[9]

Marcello è l’Immagine che Siti desidera possedere. Però il corpo di Siti non riesce a possedere quello di Marcello. Ciò è dovuto a uno scacco gnoseologico che sembra vedere l’impossibilità di possedere come l’unica realtà libidica possibile al tempo dell’irrealtà globale instaurata dall’Occidente consumistico:

“Marcello, a differenza degli escort normali, è l’Immagine. […] E l’Immagine non prevede erezione, anche quando misteriosamente si incarna in un corpo reale. Che i veri emblemi dell’Occidente non siano gli omosessuali ma gli impotenti? Forse a pensarci bene, l’interesse per gli oggetti gonfiati, per le merci tutte involucro e logo, presuppone una qualche forma di impotenza: impotenza a usare semplicemente le cose, quando se ne ha bisogno. Il consumismo ci induce all’impotenza perché la merce deve non bastare mai, e quindi essere letteralmente impossedibile. (È anche un modello di amore non corrisposto: il consumismo insegna a desiderare, non a essere desiderati)”[10]

Però Walter Siti agens vuole oltrepassare l’impossedibilità. La sua dichiarazione d’intenti suona quasi come una parodia del famoso appunto 37. Infatti se Pasolini dichiarava di voler costruire una forma, Siti si accontenta di possederla:

“Voglio possedere una forma, non una persona (per questo fantastico di scoparlo mentre si allena, tra tutti gli specchi della palestra); se ce la facessi una volta, non avrei più bisogno di farlo, per sempre (ma l’andrologo saggio: «l’appetito vien mangiando »); quello a cui ambisco è un possesso trascendentale, il possesso di mia madre, di mio padre e dell’universo. Mi sono allontanato dalla Natura, internandomi nel mondo dei desideri abnormi e onnipotenti; laggiù non c’è più bisogno di generare, e quindi di penetrare; c’è solo bisogno di spalancare gli occhi e di deglutire; è il mondo delle foto, e le foto non ha senso soddisfarle con il cazzo. O si leccano o si lacerano o si tagliuzzano. La mia sessualità tratta Marcello come la foto di se stesso”[11]

Abbiamo visto precedentemente come Carlo, a differenza di Walter Siti agens, si possa trasformare da uomo a donna e viceversa. E di come il Principe sottolinei la natura androgina di Marcello. L’unico modo per Walter di possedere mia madre, mio padre, l’universo è attraverso il corpo di Marcello. Il master/mistress of his thoughts è l’ossessione intorno a cui si muovono ben due terzi di Troppi paradisi. Notata questa differenza occorre inoltre aggiungere come allora si crei un’altra insanabile frattura tra Petrolio e Troppi paradisi. In Petrolio è la passività che porta alla grazia, mentre invece in Troppi Paradisi è esattamente l’opposto.  Si veda questo passo di Petrolio:

“L’intero corpo, la cui coscienza dall’interno è illimitata perché coincide con quella dell’universo, è coinvolto dalla violenza con cui colui che possiede si manifesta, e che non conosce pietà, mezzi termini, rispetto, proroghe: la sua voglia di possedere non concede limiti a chi è posseduto, che deve essere ciecamente passivo, obbediente, e a cui tutt’al più, anche nella sofferenza e la degradazione, può essere solo concesso di manifestare la sua gratitudine […] l’essere posseduti […] è l’unica esperienza possibile del Bene, come Grazia, vita allo stato puro, cosmico”[12]

Solo attraverso questa pia sottomissione è consentito all’officiante di provare sulla propria pelle l’incarnazione del divino arrivando a un grado di conoscenza che va al di là della comprensione razionale.

In Siti l’impossedibile è impasse drammatico che vince sull’esperienza della Grazia. L’unico modo per ribaltare questo stato di cose è possedere la forma, constatata l’impossibilità di poterla costruire. Se Carlo può ancora confidare nella divinità Salvatore Dulcimascolo, Walter Siti agens finisce per inabissarsi nelle contraddizioni dell’ipertrofico Marcello, angelo caduto nella polvere bianca. È nota l’acredine della veemente polemica, da parte di Pasolini, contro il capitalismo e contro la deriva antropologica. Non credo sia il caso di ripercorrerla in questa sede. Basti dire che i riccetti di borgata angelicati, dove ancora era riscontrabile il persistere della Grazia, sono stati sostituiti dai ragazzi che indossano a migliaia le T-shirts con su scritto original. La post-realtà ha ucciso il sacro come valore ontologicamente universale e trasmettibile. Il processo che lo scrittore friulano aveva descritto nel suo farsi, oggi non può altro che essere confermato in tutta la sua gravità da Siti. Anche quando, alla fine del romanzo, Walter Siti agens riesce a possedere Marcello, il sacro che sembrava essere incarnato in lui è velato dall’ombra del dubbio. Si veda a riguardo queste due citazioni: «Sarebbe facile far prevalere il calcolo, e ridurre Marcello alla dimensione degli altri; né vale ricordare il suo carattere divino, perché il carattere divino è intercambiabile»[13]; «È una persona, non un’Immagine; e in quanto persona, nemmeno tra le migliori»[14]

Se Carlo in Petrolio può attingere, grazie al sesso, “allo stato puro cosmico”, invece Walter Siti agens in Troppi paradisi nell’attraversamento corporale dell’Immagine non può altro che constatare un’amara scoperta: dietro di essa c’è il vuoto. È la fine dell’esperienza che si autocelebra fingendo una cosmogonia di dèi falsi e bugiardi. Persino il divino è surrogato di una post-realtà implosa, un prodotto da hard discount. Il possedere una forma gli ha consentito effettivamente di possedere sua madre e suo padre[15].  Ma non l’universo. Lo “stato puro cosmico” non è più concepibile nella post-realtà né tantomeno in un auto-fiction, genere in cui tutto si conchiude nella prigionia soffocante e angusta dell’io.

*Durer – Apocalisse, XII, Il mostro marino e la bestia

 

Benedetti, C. (1999), Pasolini contro Calvino, Milano, Bollati Boringhieri.

Coccioli, C. (2012), Fabrizio Lupo, Venezia, Marsilio

Doestoevskij F. (2006), I demoni, Torino, Einaudi

Pasolini, P.P. (1992), Petrolio, Torino, Einaudi

Pardi, P. (1983), Bailamme, Poggibonsi, Antonio Lalli Editore.

Shakespeare, W. (2004)  Sonetti, Milano, Rizzoli.

Siti, W. (1994) Scuola di nudo, Torino, Einaudi.

Siti, W. (1999) Un dolore normale, Torino, Einaudi.

Siti, W. (2004) La magnifica merce, Torino, Einaudi.

Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi.

Coccioli C. (2012), Fabrizio Lupo, Venezia, Marsilio – [pp. 7-21, Walter Siti, «Le contraddizioni degli omosessuali»]


[1] Pardi, P. (1983) Bailamme, Poggibonsi Antonio Lalli Editore, p. 9-10.

[2] Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 36.

[3]Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 41.

[4]Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 37-38.

[5] Pasolini P.P. (1998),  Tutte le opere, Romanzi e racconti , Vol. II, Milano, Mondadori, p. 1740-41.

[6] Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 306.

[7] Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 125-126.

[8] Ibidem, p. 299-300

[9]  Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 136-137.

[10] Ibidem, p. 260. Si noti come il nome di Immagine è chiaramente ripreso dai Sonetti di Shakespeare, dove l’amato era chiamato per l’appunto l’Immagine. Questo nome sarà utilizzato da Carlo Coccioli in Fabrizio Lupo. Ciò è per noi di grande interesse poiché nella recente ristampa di Fabrizio Lupo la prefazione è scritta proprio da Walter Siti. Così è facile intuire come il nome l’Immagine sia un richiamo non a un solo testo ma a un’intera tradizione. Infatti, sia nei Sonetti di Shakespeare che in Fabrizio Lupo di Coccioli, si conduce una approfondita riflessione sull’amore omosessuale.

[11] Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 281.

[12] Pasolini P.P.  (1998),  Tutte le opere, Romanzi e racconti, Vol. II, Milano, Mondadori, p. 1551-1553

[13]Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 423.

[14] Ibidem, p. 415.

[15]“Mia madre potrei scoparla anche adesso, grassa com’è: la protesi mi ha fornito quell’indifferenza che non ero riuscito a mettere insieme in sessantasei anni. Nonostante tutto non ce l’ha fatta a castrarmi, ho rimediato da solo con i mezzi che avevo a disposizione – inutile rivangare ancora, quel che è stato è stato. Mio padre mi guarda dalla foto ovale, col suo sorriso vile e affaticato. […] Caro papà, abbiamo avuto tutti e due le nostre soddisfazioni, molto diverse tra loro ma paragonabili: ognuno per la sua strada, senza invidie e senza rancori. Non sono meno maschio di te.” Siti, W. (2006) Troppi paradisi, Torino, Einaudi, p. 413.

[Trilogia della forma – Prima dissertazione: dall’Attraversamento dell’addio a Camere Separate]