Considerato alla luce della tradizione, per la quale forse occorrerebbe la lettera maiuscola e un tratteggio mostruoso, Archiloco di Paro appare come un inventore, un mantis, un elegiaco (quando ancora l’elegia non era passata sotto il giogo della passione amorosa) – e un ubriaco[1].
Archiloco: tra i primi a prendere le distanze dall’esametro, il più scostante dei poeti lirici, creatore del trimetro giambico – così come almeno un millennio e mezzo dopo Jacopo da Lentini (o il Notaro) sarà considerato il creatore del sonetto (il mostro a questo punto sbava!) – il poeta dell’abbandono del canone eroico, del rimprovero e del biasimo. Archiloco per ognuna di queste sfumature (les nuances, per dirla con la Gaya scienza), utilizzò un metro diverso, ossia un canto, un ritmo e magari anche un vino diverso. E tra tutte queste i trimetri – i versi con gli accenti in levare, un po’ come il blues – rappresentano la sua poetica ironica e trasversale, tracotante.
Il trimetro fu un verso popolare, semplice e breve, slegato dai circoli aristocratici che prediligeranno la varietà tecnica di Alceo o di Saffo, o la maestria evocativa dei poeti corali. Il trimetro fu il verso di Archiloco – molto più anche di Ipponatte – poiché egli conosceva, e ne diede prova, anche altri stili, altre voci e evocazioni, ma nell’ironia e nella violenza del verso dionisiaco, mi pare, riversò la sua arte più sottile mescolandola al più forte vino.

fr. 19

Non mi importa della ricchezza di Gige,
per niente mi vince l’invidia, né ammiro
le imprese degli dèi, e non desidero una potente tirannide;
sono infatti aspirazioni troppo distanti dai miei occhi.

fr. 25

] tale la natura dell’uomo,
ma chi di una cosa chi di un’altra in cuor suo si compiace.
A Melesandro il membro virile sembra essere la parte migliore,
[…] mentre al contadino […] il perineo.
Questo non te lo dice altro mante eccetto me.
] infatti me Zeus padre degli Olimpici
rese eccellente fra gli uomini
] né Eurimas disapproverebbe.

fr. 26

Signore Apollo, i colpevoli
getta in rovina, e distruggili come tu distruggi,
noi invece […]

fr. 43

[…] il suo membro
[…] come di un asino di Priene,
come di uno stallone ventre di biada trabocca di sperma.

 fr. 45

Curvi nella mischia vomitarono per intera la loro tracotanza.


[1] Invito alla riflessione: quanto sono vicine le parole hybris (tracotanza) e ubriaco? Quanto il segno che recano in calce entrambe è propriamente dionisiaco? Quanto lo stato di tracotanza si avvicina alla danza della menade, alla violenza della menade – a quella sfumatura di carattere che è il femminino?