I tempi sono maturi per una letteratura che non si dia altro tema che se stessa: una ricerca tautologica eppure asimmetrica, un’asimmetria irriducibile. È tutto in disasse.

Direttorio CrapulaClub, 19 marzo 2019

INDAGINE SU QUADRATO

LABORATORIO DI ANALISI OGGETTIVA UNIVERSITÀ DI CRACOVIA

 

Mentire, sbagliare deliberatamente le date e gli itinerari, imbrogliare il più possibile le carte e le piste.
Henri Cartier-Bresson

 

 Quanto al potere delle immagini nell’ambito della religiosità popolare, esso fu forse valutato nel modo più corretto dai comandanti sovietici negli anni Trenta del 1900: quando fu loro ordinato di muoversi contro l’influenza della Chiesa, si narra che abbiano allineato le icone, le abbiano condannate a morte e quindi fucilate.
Judith Herrin, Bisanzio

 

***

I.

Il Laboratorio di Analisi Oggettiva dell’Università di Cracovia

È un Istituto di Discipline Comparate, nato in seno all’Università di Cracovia nel 1950 da un gruppo di studiosi afferenti a diverse discipline. Con D.P.R. del 10 gennaio 1990 è stato riconosciuto Ente per la salvaguardia del Libero Pensiero. Attivo nei campi della ricerca scientifica, esso indaga i fenomeni relativi a Quadrato e alla sua genesi. Difende l’autonomia di pensiero dei suoi componenti. Il Laouc è presieduto fin dalla sua fondazione dal prof. Daniil Zibrinskij.

II.

Tutto nacque da una baruffa.

III.

Irina Bukoff era co-direttrice del Laboratorio di Analisi Oggettiva dell’Università di Cracovia. Suo obiettivo era giungere ad una comprensione tridimensionale del fatto, in specie per ciò che riguardava Quadrato.
Allora i modelli di comprensione concordemente utilizzati dalla comunità scientifica erano sostanzialmente riconducibili alla figura piana. Il più in voga era quello ricavato dalla Stella di Davide, le cui sei punte avevano un unico centro nevralgico e offrivano la possibilità di strutturare corrispondenze tra sei elementi ricavati dall’osservazione del dato. Questo modello non era più in grado di offrire a lei e ai suoi collaboratori le risposte che cercavano.
La composizione di Quadrato, da far risalire alla maestria del monaco Jesij, richiedeva un modello pluristratificato di analisi del composto; così come il manoscritto ritrovato nella provincia di Haifa.
Irina si rivolse allora all’esimio dottor Vatroslav.
Quegli era un individuo ben poco classificabile. Ancora sfuggiva a Irina il suo sistema di accostamento dei dati. Sapeva che era ben lungi dalla strutturazione di un composto. Tuttavia era certa che, con il suo aiuto, si sarebbe avvicinata al suo obiettivo.
Quella sera Irina ascoltò il nastro recapitatogli da Vatroslav: 2 bobine, per l’esattezza.

IV.

Un predone di Abakan era arrivato un tempo sino alla Siria, a trafugar tesori.
Non si accompagnava mai con nessuno. Tanto meno nessuna. Aveva un cappello, scimitarra e il cuore avido. Presosi la gotta, tornò a casa. Una santa sorella si prendeva cura di lui; stipò tutti i tesori accumulati nella soffitta. Morì: si portò la chiave della soffitta fino all’oltretomba.
Alcuni secoli prima l’opera era passata nelle mani di un’antica casata nobiliare abkhaza, ormai fallita. Stop.

Vatroslav rifuggiva da ogni esposizione cronologica dei fatti, al più invertiva i termini del discorso. Su questo si trovava in disaccordo con Irina; ma il problema rimaneva raggiungere una comprensione tridimensionale dei dati, a detta della co-direttrice, che si aggiungevano, l’uno all’altro, senza posa.
I lavori procedevano innanzi.
Utilizzare un cubo a sei facce, come sei erano le punte della Stella di Davide.
Attenendosi ai dati non potevano inferire che il ritrovamento di Quadrato fosse il medesimo della casata abkhaza. Eppure la negazione di tale rapporto contrastava con l’esposizione transitiva del dato. Questo era ciò a cui pensava Irina ascoltando la prima bobina recapitatagli.
Attivò la seconda bobina.

V.

Il più lurido dei commercianti di oppio afgani, conosciuto in tutta la Galilea per la sua ribalderia, decise di farsi monaco, nonostante i malfidati sostenessero che la conversione facesse un tutt’uno con la porzione di rancio gratuito. Aveva anche un passato da falsario e divenne pittore. Approfondita la tecnica ad encausto, colando la cera calda colorata, divenne presto famoso in tutto il Vicino Oriente: sue icone erano venerate nel monastero di Santa Caterina d’Egitto e a Siracusa. Autore del famoso Cristo Pantocratore col baffo “alla mongola” e leggero disasse tra volto e busto, studiò soprattutto la diversificazione degli occhi.
In tarda età s’ammalò, e non di gotta. Pare soffrì l’epilessia.
Divenne un demonio.
A tale fase risalirebbe Quadrato.

Le informazioni di Vatroslav avevano per la studiosa del romanzesco: predoni di Abakan, commercianti di oppio afghani. Non sapeva quanto la loro corrispondenza sarebbe ancora durata. Riferiva come l’esordio della malattia del monaco avesse probabilmente coinciso con l’esposizione della croce di Cimabue nella cattedrale della Dormizione di Astrachan’. Indugiava sul termine “disasse”. Ancora e probabilmente da imputare all’estro narrativo del dott.re Vatroslav.

Una cosa era certa. Entrambi erano interessati a Quadrato.

VI.

Kabul, 17 ottobre 1953

Gentilissima Dott.sa Bukoff,

ero certo questa Sua osservazione, giustissima, sarebbe arrivata.
Conosco la sua pignoleria, e riconosco il rigore e la grande qualità del lavoro che ogni giorno porta avanti. Lei mi piace!

Il termine disasse non esiste!
Affatto.

Lo riconosco, ma non credo di meritare onori o improperi particolari quale padre di tale neologismo.

In primis: ne disquisii in privato col Nostro superiore, il prof. Daniil Zibrinskij, novello Presidente del nuovissimo Laboratorio di Analisi Oggettiva.
Fu lui ad approvare l’uso del termine disasse senza remore.

Immagino, conoscendo i suoi rigorosi metodi, abbia come prima mossa cercato il lemma nel novissimo Dizionario Sovietico, appena edito a Mosca e curato dagli esimi dottori della Nuova Scuola di Linguistica Applicata dell’Università di Leningrado (non esenti, tra l’altro, di interessanti influenze formaliste da addebitare a derivazioni sklovskijane ). Disasse era assente!

Le confesso, e so bene che non dovrei, di aver inoltre consultato alcuni numeri degli Annali di Filologia di Chovanskij (vietatissimi già dal ‘17). Sorvoliamo.

Mi trovo ora a Kabul, Afghanistan, nuova provincia sovietica. È ottobre, ma già nevica copiosamente. Con me l’esimio linguista Vladislav Illič-Svityč; missione segretissima, studiata e approvata nei minimi dettagli dal Ministro dell’Interno del Governo Rivoluzionario Lavrentij Pavlovič Berija.

Oggetto dell’indagine: varianti linguistiche e fonetiche in uso nell’altopiano del Pamir (sottogruppo lingue iraniche, provincia afghana del Badakhshan).

Nevica.
Dovendo, con l’esimio linguista Vladislav Illič-Svityč, svolgere una indagine di carattere prettamente etnologico, e dovendo dunque raggiungere la valle e far ricerche in loco su alcune tribù di pastori nomadi delle valli del Pamir, ci ritroviamo ora a Kabul. Fermi, bloccati! L’improvvisa e copiosa nevicata ha reso per ora irraggiungibili tali valli, folle sarebbe tentare.

Attendiamo.
Non nascondiamo di impigrirci ogni giorno di più, tra tè, caffè e ottimo tabacco in un bistrò all’occidentale nel quartiere Qala’e Fatullah.

Ma non per forza il tempo passato al bistrò di Kabul deve dirsi sprecato. Con Illič-Svityč discorriamo per ore di:

1) linguistica applicata;
2) archeologia;
3) materialismo.

Illič-Svityč, riconosciuto universalmente come uno dei più accorti esperti di Lingue della nostra patria sovietica, ha preso a cuore i problemi derivanti dalla parola INESISTENTE disasse.
È oramai convinto della sua liceità, della sua piena ammissibilità nell’ambito della norma e della consuetudine. Ha elaborato proprio ora una nuova teoria, di stampo etnologico e comparativo, a partire dalla particella/ prefisso verbale Dis-/dus- in uso nel proto-altaico come negazione. L’applicazione del metodo comparativo (proprio dell’etnologia) alla linguistica è oramai pratica accettata dalle nuove scuole.
Non è necessario ricordare che Illič-Svityč è il massimo esperto di proto-altaico a livello mondiale.

Presosi a cuore la questione, nel tedio di queste interminabili giornate afghane, ostaggi della neve, dichiara:

a) di stilare prontamente un articolo SCIENTIFICO in difesa della parola inesistente disasse;
b) di scrivere prontamente alla Nuova Scuola di Linguistica Applicata dell’Università di Leningrado, invitandoLi all’accettazione di tale parola, che passerebbe così in maniera immediata dallo stato di inesistente allo stato di ufficiale, riconosciuta, reale (entrando tra l’altro come lemma del novissimo Dizionario Sovietico Revisionato che verrà ristampato, sempre a Mosca, l’anno venturo).

VII.

La fama del monaco Jesij venne oscurata in tempi moderni dalla casta sacerdotale ortodossa georgiana, incline a considerare l’armonia come fonte e sudario del Cristo.
La sua figura sarebbe stata riscoperta da Elizaveta Jur’evna Skobcova. Due mariti e due figli. Qualche amante. La Russia e la fede nella Rivoluzione. L’incontro con padre Jiesij e con il Cristo Pantocratore l’avrebbe presto costretta a fuggire. Esule dal suo paese, si dedicò alla scrittura di un trattato che fu presto distribuito clandestinamente in tutta la Russia.
L’intento di Mat’ Marija era quello di pervenire ad una relazione che facesse fuori il marxismo sovietico, come deriva dello scientismo allora imperante. Il suo obiettivo era scopertamente tale: dimostrare la vacuità di ogni relazione non ricondotta a Dio.

Da questi due primi modelli, Mat’ Marija pervenne a relazioni ricorsive, sempre più complesse e intricate. Disegni ritrovati nel lager di Ravensbrück, dove Skobkova era stata internata con gli ebrei che aveva voluto salvare. I ritrovamenti denotavano agli occhi di Irina una sola cosa: la monaca intendeva rifuggire da qualsiasi relazione deterministica, ma si serviva degli stessi strumenti logici delle scienze positive. Per questo le omissioni, le ripetizioni, i termini ricorsivi. Sua sola arma: il disegno. Una sezione aurea, cerchi concentrici, relazioni ripetute, forze centripete, archi e ancora linee di fuga.

VIII.

Abakan, 17 marzo 1927.
La Delegazione Segreta del Governo Rivoluzionario (DsdGR) era appena arrivata in Chakassia sul locomotore per la nuovissima linea ferroviaria Sudsiberiana Abakan-Novokuzneck. Era la segretissima Falange per l’Estirpazione delle Religioni (FER), gli apripista della festa da ballo. Dopo sarebbe arrivata l’altra, di falange, quella armata. Il progetto era chiaro, ma le autorità o erano manovrate da qualcuno più in alto di loro o secretavano i reali obiettivi dell’inaugurazione della nuova linea, come da prezioso documento a stampa, ritrovato in uno scantinato di un cantante neofita moscovita.

Come mai Lunačarskij Commissario del Popolo alll’Istruzione, insisteva sulla centralità dei treni di agitazione popolare? Non ci sarebbe stato nessuno schermo sulla tratta Abakan Novokuzneck, né, tantomeno, nessuna proiezione. Questo il Commissario del popolo lo sapeva?
La missione era chiara: estirpare le religioni, anche con la forza, laddove questo fosse stato necessario.
La FER ci mise il suo tempo a rimuovere immagini sacre, idoli d’ogni specie, catenelle votive, reliquie. Dall’altra parte Osip, novello funzionario del partito, tra i fondatori del Fronte di Sinistra delle Arti, annotava quante, quali e dove erano state ritrovate queste cianfrusaglie. Elencava i nomi e le famiglie con dovizia di particolari. Ma quel suo taccuino voleva dire morte, per una, due, sei famiglie non importa. Quel che si ricavava era il ritratto di una casata particolarmente devota al Cristo Zenio e alla Madonna di Kazan’, una religiosità popolare, pur nella sua sobrietà.
Al di là della spianata v’era un ultimo baluardo della casata abkhaza: una vecchia casa, edificata in mattoni e terracotta, su due piani: un ampio salone al pianterreno e una soffitta. Nessuna immagine fu trovata in quella casa, fatta eccezione per un simbolo avente due lettere aramaiche al suo centro, da cui emanavano dei raggi di un colore violaceo. Fu estirpato. Mancava la soffitta da controllare. A che pro darsi da fare? Non avrebbe contenuto nulla, tant’è vero che quella abitazione era oramai disabitata da tempo.
Osip, tuttavia, non volle venir meno ai diktat dei suoi superiori e ordinò di forzare la serratura. Legna da ardere. Nient’altro, a parte una tela su cui era dipinto Quadrato. Nero, per l’appunto.
Osip lo prese con sé e se ne ritornò nella cittadina moscovita su di un pallone aereostatico. Non poteva soffrire il locomotore, tantomeno i suoi colleghi.
Nel frattempo, l’’Ambasciata Rivoluzionaria di Gerusalemme aveva appena dattiloscritto alla DsdGR di Mosca la notizia di uno strano ritrovamento effettuato da un australiano nella provincia di Haifa, 37 gradi nord, 134 gradi est, nord-est. L’australiano era Vere Gordon Childe, biondiccio e coi baffetti, sedeva da poco sulla cattedra dell’Università di Edimburgo. Aveva progettato nei minimi dettagli il suo viaggio nei Balcani alla ricerca di risposte; imbarcatosi infine a Salonicco, saltò in Egitto, territorio sotto la santa Corona Inglese.
Ai tempi del viaggio in Egitto, i rapporti accademici tra la Russia rivoluzionaria e l’occidente filavano, è giusto ricordarlo, distesissimi. Ikor Diakonoff, archeologo, amava dissertare sul metodo. Lui e Gordon Childe si erano conosciuti tra il ’27 e il ’28 a Sarajevo. Da qui è storia. L’australiano informò Diakanoff del suo viaggio in Egitto: scavava le mura di un antico monastero.
Gordon non amava affatto i suoi colleghi anglosassoni, tanto meno quel tronfio Sir Mortimer Wheeler e il suo stupidissimo sistema di scavo per quadrati regolamentari distanziati. Immerso in questi suoi pensieri ricevette, nei pressi di Haifa, un’interessantissima lettera del russo, i cui punti erano riassumibili come segue:

L’archeologia marxista

  1. a) è evoluzionista;
  2. b) è materialista;
  3. c) è olistica;
  4. d) il cambiamento è dovuto principalmente alle contraddizioni che nascono tra le forze di produzione e i rapporti di produzione. Queste contraddizioni emergono sotto forma di lotta tra le classi.

Questo era ciò che riferiva Vastroslav Ilsinskij a Irina. La Bukoff domandava tuttavia delucidazioni sull’ultimo punto. Confessava di non possedere nozioni di archeologia e le sfuggiva l’importanza che le contraddizioni tra le forze di produzione e i rapporti di produzione potessero avere nel lavoro di Ikor Diakonoff. La verità era che Irina ipotizzava che quella elencata come una delle caratteristiche dell’archeologia marxista fosse un messaggio, neanche troppo cifrato, a Gordon Childe, che, da quel momento e a sua iniziale insaputa, sarebbe stato coinvolto in un intrigo internazionale.

Incurante delle riflessioni di Bukoff, l’australiano rifletteva sulle idee del russo disteso sotto un albero, quando un losco egiziano che aveva assoldato per i lavori pesanti lo chiamò. Dal terreno saltavano via i tesori! Prima un papiro arrotolato, e solo dopo un’icona; era un Cristo, non finito. Si notava già, a occhio nudo, un leggero disasse.

IX.

Tentammo insieme di usare la rappresentazione per scopi antireligiosi. Montammo insieme un certo numero di immagini ritraenti la divinità, da un ricco Cristo barocco sino a un idolo degli eschimesi.

Sergej Michajlovič Ėjzenštejn

Fiorivano i paradossi.
Ejzenstejn, novello cineasta, perveniva a conclusioni antireligiose: manteneva il concetto di Dio, rappresentandolo con immagini contrarie all’intuizione di tale concetto. Distruggere Dio, mostrandolo in immagine. Ejzestejn non era il solo a scoprire le potenzialità dei propri strumenti. Un altro, il cui pseudonimo era Vertov (Dziga) montava la pellicola al contrario forse per “Mostrare l’origine di tutte le cose, a cominciare dal pane” e così dimostrare come l’origine della merce fosse da ravvisare nella forza lavoro. E allora giù con animali sventrati e poi ricondotti al pascolo, pagnotte tramutarsi in farina, cammini a ritroso. Un esperimento? Un vezzo formale?
Le intuizioni di Mat’ Marija, per l’intanto, si erano fatte strada nel paese. Osip Brik ne aveva esposto il contenuto alla Congregazione Affari Generale (CAG). Fu della CAG la decisione di estendere la conoscenza di tale contenuto a tutti gli intellettuali allineati. Da allora il marxismo sovietico iniziò ad interrogarsi sulla rappresentazione di se stesso. Il realismo di Stato si era rivelato insufficiente, in pittura come in letteratura e a fronte delle innumerevoli domande che attanagliavano il paese. Ogni immagine realistica, seppur allineata, condannava il partito ad una fede incondizionata in un soggetto o in un oggetto inequivocabile o, in alternativa, alla distruzione perpetua di immagini.
Le teste del partito, indecise sul da farsi, decisero di affidare a Osip la scelta del simbolo che avrebbe dovuto fare da sfondo al nuovo marxismo rinnovato. Non c’era da perdere un solo secondo.
Osip si ritrovò senza aver ben capito e con Quadrato tra le mani.

Avrebbe preso tempo.
Sul territorio sovietico si consumava, per l’intanto, una battaglia tra architetti d’ogni specie. Quale spazio adottare per la sala riunioni del Palazzo del Comintern?
Tra tutti i progetti fu scelto quello di Matias Krucionis.

X.

 

 

L’architettura materialista ha come fine l’eliminazione della distinzione tra classi.
Il progetto di realizzazione della sala riunioni del Comintern. Esso raccoglie quindici personalità di spicco nella lotta alla rivoluzione permanente e contiene in nuce il senso e gli obiettivi dell’Internazionale Comunista.
Estendere la rivoluzione oltre i confini della sola Russia.

 

 

 

La pianta è circolare[1]. No al tavolo degli accordi consensuali. Sì al fulcro di un’azione estesa.
Ogni membro della riunione sarà posto secondo la direttrice del proprio paese. L’uno di spalle all’altro. Non un accordo sopra le classi, ma un’azione rivoluzionaria.

 

 

 

La cupola in cristalli di vetro e le ampie vetrate, oltre a permettere un ottimale filtraggio della luce, risentono di una letteratura nostrana che al vetro ha dedicato gran parte del suo interesse, un omaggio al romanzo Che fare? di Cernisevskij che affascinò lo stesso Lenin.

 

 

XI.

Il carnevale non conosce la ribalta, neppure nel suo stato embrionale. Al carnevale non si assiste, ma lo si vive.

Bachtin

Il progetto di Krucionis era perfettamente allineato con le neonate teorie aniconiche. Allora c’era chi ventilava la possibilità di distruggere i teatri, a partire dal Bolshoi, culla di una cultura passatista. Dal teatro alla piazza. Dalla rappresentazione all’attuazione di programmi politici, artistici. Finanche la parola arte veniva messa al bando e con essa le ultime secche dell’estetismo allora imperante.
Le domande erano fondamentalmente due: come distruggere il teatro? Quale simbolo per la sala riunioni del Palazzo del Comintern?
Osip continuava a non capire. Quadrato tra le mani.

XII.

Eravamo d‘accordo solo su un punto: distruggere il Piano Cartesiano.
Era oramai ovvio che i vecchi modelli a due dimensioni semplicemente non funzionavano. crisi venuta prepotentemente a galla già ai tempi di Bogdanov, solo ultimamente approfondita dal Dipartimento Folkloristico dell’Università di Leningrado.
Sistema obsoleto e piatto, nonostante le fantasiose applicazioni sullo stesso di simpatiche forme e formule (quali stelle, quadrati e rettangoli).
Eravamo dunque d’accordo con l’esimia Irina: distruggere il Piano Cartesiano!
Eravamo d’accordo dunque, ma neanche tanto.
L’esimia collega sosteneva che il problema principe fosse costituito dall’assenza della terza dimensione, giovane e inesperta qual era. Predicava l’abbandono del sistema a stella a due dimensioni per passare a un nuovo sistema a cubo tridimensionale. Interessante esercizio metafisico, lo definii.
I miei ultimi anni trascorsi con l’esimio linguista Vladislav Illič-Svityč a studiare il proto-altaico, nonché le sporadiche collaborazioni di scavo con l’altrettanto esimio Ikor Diakanoff, archeologo, sui tumuli funerari dei nomadi delle steppe a Pazyryk (Altaj, Siberia meridionale), mi avevano già messo in guardia.
Nessuna forma comprensiva di vertici poteva essere adattata come modello di comprensione del fatto.
La ricostruzione storica, archeologica e linguistica era chiara.
I nessi sono non-misurabili, i vertici sono misurabili.
Onde per cui, in virtù del mio bagaglio, rifuggo e continuerò e rifuggire qualsivoglia figura presentante dei vertici come chiave per la comprensione (tridimensionale o bidimensionale che sia) del dato. Resto comunque, sino a prova scientifica contraria, aperto alle indagini su cerchi, ellissi e parabole (figure senza vertici).

Vatroslav Ilsinskij

La lettera pervenne ai colleghi del Dipartimento di Zagabria, di cui Vatroslav era il direttore. In tanti iniziarono a discettare sul metodo e tra di essi si fece notare un certo Dragan Madenovic, occhiali senza montatura, pelo cranico grigio chiaro, epistemologo vicino al convenzionalismo di Poincaré. La sua idea era quella di rifiutare in toto ogni figura (piana o tridimensionale che fosse). I risultati ottenuti mediante l’utilizzo di cerchi concentrici lo avevano messo in guardia contro qualsiasi metodo aprioristico. Riteneva, nell’ordine: che fondamentale fosse non tanto la realtà (quale mistificazione!), quanto i nessi tra le diverse componenti. Di fondamentale importanza riferirsi a Quadrato non come a un oggetto, ma come all’esito delle relazioni, azioni, controreazioni che lo avevano determinato sino a quel momento. Cos’era Quadrato? Certamente non ciò che non ne pensava Brik, ma neanche il frutto della maestria di Jesij. Quadrato era anche queste cose e nessuna di queste.
Ottenne la cattedra di Epistemologia Applicata.

XIII.

Riassumendo: Quadrato era probabilmente da far risalire all’esordio della malattia di Jesij, che probabilmente coincise con l’esposizione della croce di Cimabue nella Cattedrale della Dormizione. Quadrato era passato nelle mani di una famiglia abkhaza, poi trafugato da un predone dal cuore avido. Quadrato era stato rinvenuto in una soffitta dalla Falange per l’Estirpazione delle Religioni. Quadrato era ora nelle mani di Brik.
Cosa cercava il Partito? Un simbolo? Un’immagine? Questi interrogativi, insieme a tanti altri non facevano minimamente capolino nella mente di Osip. Disfarsi di Quadrato era l’unico suo obiettivo. Stipato nel salotto non faceva pendant con la moquette verde e i candelabri ottocenteschi e le stampe di giovani fioraie e le corse dei cavalli e gli specchi stile art nouveau. La casa di Osip era un monumento alla cultura passatista, mentre, dicono con il suo avvallo, si consumava entro le stesse pareti un triangolo che vedeva coinvolti Lili, lui, Osip, e un fervente Majakovskij.
Disfarsi di Quadrato voleva dire anche questo: sottrarre a Vladimir l’opera che lo aveva stregato.

XIV.

Cosa vi aveva trovato Majakovskij in Quadrato? Non è dato saperlo, ma quel che è certo è che la notizia di un quadrato rinvenuto in una soffitta, ad Abakan, passò presto nelle mani di un certo Kazimir Malevič. Di lì a poco, sarebbe andata in scena al teatro Luna Park, una pièce scritta a quattro mani insiema a una tragedia di Vladimir.
L’ex tempio del simbolismo veniva usurpato da un nugolo di ferventi rivoluzionari, artistoidi, innamorati di Quadrato. Ed eccolo lì Quadrato: lo avrebbero messo in scena in tal Vittoria sul sole, pièce scritta a quattro mani! Non vi dico lo sgomento. Nessuno notò Quadrato. In compenso le due pièce furono crivellate di fischi. Unico a notarlo fu un becchino. Sottrasse l’opera alla scalcagnata compagnia di artistoidi e se ne andò così: con Quadrato tra le mani e il nulla in una tasca.

XV.

La storia del beccamorto senza un quattrino è singolare. Novello nella sua professione, di vent’anni più giovane di Malevič, avrebbe voluto far carriera d’artista. Le porte dell’elite moscovita gli erano precluse. Sino ad allora. Il suo nome non lo conosciamo, ma sappiamo che lo mutò in Pablo Escudero Malevič. Si inventò, pur di far carriera, una sua personale e discutibile biografia.

Nipote di Kazimir. Quando nonno scappava dalla Polizia segreta di Lavrentij Pavlovič Berija, tra le mani stringeva Cerchio nero e la mamma in un fagotto. Incontrò Trockij, in Ispagna, il nonno. Mamma crebbe, dissoluta. Vendette le opere dei padri, la terra era già requisita, dal Governo. Innamoratasi di un torero di Siviglia, noto Escudero, io nacqui.

Lei n’era innamorata.

XVI.

Sapeva che a fuggire non fu il nonno, ma piuttosto la mamma, imbardata d’ogni dire e con fazzoletto scuro sul capo. Come una befana, teneva a un capo del bastone Cerchio e all’altro il nonno.

La Dama di Carta, esule da quel ballo che seguì la messinscena della Baracca dei Saltimbanchi di Aleksandr Blok. Quella sera, le dame, vestirono d’abiti eleganti, ma fatti di carta, di tutti i colori, ma fatti di carta. E così lei venne eletta prima fra le prime, Dama fra le dame. Reca ancora con sé questo titolo: Dama tra le dame di carta.

XVII.

Irina Bukoff non sapeva ancora quanto la corrispondenza con Vatroslav sarebbe durata. Lo studioso di Varsavia eludeva alcune sue domande ed erano giorni che non lo sentiva. C’era il dubbio che forse sperduto in qualche regione sud-siberiana, a trafugar tesori anch’egli, come il predone o, semplicemente, a dilapidare le sostanze del Laboratorio di Analisi Oggettiva. Soggetto imprevedibile, enigmatico e ora restio a comunicare le proprie scoperte, Vasìtroslav Ilsinskij non era personalità affidabile. Irina fu sul punto di interrompere la fruttuosa collaborazione.

XVIII.

Nota del curatore:

Il Laboratorio di Analisi Oggettiva dell’Università di Cracovia finì, ma non come finiscono tutte le grandi imprese. Vatroslav emigrò definitivamente in Egitto, raccontava spesso nonno Daniil, rapito dal ritrovamento di una figura con leggero disasse. Irina inseguì per tutta la vita il sogno di una coerenza fra i dati. Ma la storia di Quadrato era ben altro che un insieme coerente di informazioni. L’analisi mancava la presa: come il predone, il Laboratorio di Analisi Oggettiva sarebbe morto con un Quadrato rinchiuso a doppia mandata in una soffitta?

Alcuni dicono che il Laouc duri tutt’ora. Che vi siano nugoli di intellettuali impegnati in dotte conversazioni su Quadrato, altri dicono che, nella regione sud-siberiana, si tramandino, tra la popolazione, le gesta del monaco Jesij.

Quel che è certo è che come nessuna grande storia che si rispetti tutto si disperse: di Quadrato non restarono che trame da inseguire. C’è chi finì a Singapore, chi in Egitto, chi in Scozia e chi rimase esattamente dov’era. Come Osip. Senza bene capire. Quadrato tra le mani.

Yuri Zibrinskij, poeta[2].

***

[1] Rimane ancora da decidere quale sia il simbolo da porre al centro della sala riunioni. La lotta alle immagini che ha colpito il paese, in seguito al Congresso degli Scrittori e degli Artisti sovietici del 1934, voluto da Maksim Gorkij, ha infatti bandito ogni opera che non abbia forma realista e contenuto rivoluzionario. La Falange per l’estirpazione delle immagini controrivoluzionarie (FEIC) ha già mosso i primi passi verso l’affermazione di una produzione artistica autenticamente marxista.

[2] Pagina di diario sul ritrovamento di un faldone appartenuto al nonno in una scalcagnata casa di Zagabria nell’anno 1993 A.D.