Dobbiamo fidarci dei nostri pensieri mentre dormiamo. Dobbiamo fidarci delle nostre intuizioni. Dobbiamo cominciare ad analizzare tutte le cose che ci sembrano irrazionali solo perché non le capiamo. In altre parole, dobbiamo diffidare da ciò che è razionale, logico, sensato, nel tentativo di raggiungere qualcosa di più elevato, di più degno.
(Accettazione, p. 173)

Ho incontrato per la prima volta il termine weird ne La Dea Bianca di Robert Graves. L’autore ne parla fin dal primo capitolo, riferendosi al Tema Poetico per eccellenza, ovvero il racconto della vita, morte e resurrezione del dio dell’Anno Crescente.
Il weird è il rivale dell’eroe, ma è anche il suo fratello di sangue e il suo destino. Se Graves avesse accettato la visione degli archetipi junghiani, forse avrebbe associato il weird al concetto di Ombra, ovvero quella parte di noi stessi che nascondiamo ma che al tempo stesso guida le nostre azioni; e il Tema Poetico, ovvero la storia della nascita, vita, morte e resurrezione del dio dell’Anno Crescente, potrebbe essere esaminato non soltanto da un punto di vista culturale[i] e mitologico, ma anche da un punto di vista più umano e  filosofico.
Dico questo perché il concetto di weird gravesiano è una delle idee più interessanti in cui mi sia mai imbattuta, e ritengo che possa essere una componente essenziale nel distinguere un prodotto letterario/narrativo (che sia di genere o mainstream) di qualità e un altro che non lo è. E la Trilogia dell’Area X di VanderMeer è l’esempio perfetto di buona concezione e trattazione del weird.

Il New Weird come genere non mi ha mai convinta: può essere accettabile se utilizzato come categoria di comodo, di quelle fatte per capirsi (un ibrido plausibile tra fantascienza e fantasy con occasionali puntate nell’horror e un forte senso dell’allegoria), ma non lo vedo abbastanza solido da reggersi in piedi da solo, senza una voce dalla forte sfumatura autoriale e una personalissima visione esistenziale. E questo accade perché il contatto con quel rivale-fratello-destino (specchio?) –il weird appunto, di cui dirò fra poco – ancor prima che un espediente letterario, o elemento caratteristico di un dato genere, è una necessità che la vita stessa ci presenta quotidianamente, in maniera più o meno inquietante o dolorosa; e tentare di confinarlo non è mai una buona idea.

Il weird che VanderMeer mette in scena nella sua Trilogia dell’Area X è l’ambiente, nella più ampia accezione del termine. Che si tratti di una landa dalla vegetazione incontaminata e misteriosa (Annientamento), un’agenzia governativa a dir poco ambigua (Autorità) o addirittura il cosmo tutto e chi/cosa lo popola (Accettazione), il confronto con quel qualcosa che ci minaccia e ci nutre, ci accoglie e ci distrugge è centrale in ogni parte dell’opera.
Tuttavia bisogna fare attenzione: il weird è rivale, ma non nemico, e non ha intenzioni maligne, semplicemente reagisce a noi allo stesso modo in cui noi reagiamo a lui; è il nostro specchio, il nostro destino. Se c’è un nemico da combattere, questo risiede nel concetto di struttura: abolita la struttura, il cui scopo è inquadrare il weird, sottometterlo a una logica e dominarlo, allora la verità si rivela, il nostro rivale e fratello emerge, l’Ombra si chiarifica, lo specchio riflette la verità, il weird non ci divora ma entra a far parte di noi e ci regala una visione più profonda delle cose e di noi stessi.

La trilogia di VanderMeer funziona al suo meglio proprio nei momenti di risonanza, in un’architettura dell’ambiguità, nella quale indagare sul fuori comporta uno smascheramento del dentro, ed è un’eccellente allegoria del vitale bisogno di comunicare con quanto ci circonda e con il weird, abbandonandosi a esso senza farsene dominare, lasciando da parte la nostra autocoscienza per evolverci in qualcosa di più completo[ii], e più libero.

VanderMeer racconta un’evoluzione travestendola da apocalisse (o viceversa); ed evolversi vuol dire anche non delegare ad altri il proprio modo di essere, e tanto meno la cura del proprio weird; centrale diventa capire cosa l’altro è venuto a dirci.
Il fatto è che l’evoluzione, il cambiamento, è inevitabile, ci dice VanderMeer, e non è detto che sia come ce l’aspettiamo; e infatti il weird è anche il nostro destino, e il nostro fratello di sangue, che trasformandoci rinforza ciò che siamo.
E il non essere pronti a cambiare ci rende dei gusci vuoti buoni solo a morire[iii].

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Robert Graves
La dea Bianca. Grammatica storica del mito poetico (1948)
Trad. it. Alberto Pelissero
Milano, Adelphi, 2009
pp. 596

Jeff VanderMeer
Annientamento (2014)
Trad. it. Cristiana Mennella
Torino, Einaudi, 2015
pp. 186

Autorità (2014)
Trad. it. Cristiana Mennella
Torino, Einaudi, 2015
pp. 292

Accettazione (2014)
Trad. it. Cristiana Mennella
Torino, Einaudi, 2015
pp. 288


[i]       Le opere mitologico-poetiche di Graves si giocano tutte a livello di patriarcato vs matriarcato (soprattutto La Dea Bianca) e si basano sulle tesi di  James Frazer, messe in seguito in discussione da studiosi successivi più vicini alla visione junghiana. Anche nella Trilogia dell’Area X si può adocchiare una lettura del tipo dominio del maschio vs dominio della femmina, ma a mio parere è poco stimolante, tanto più che l’idea narrativa di VanderMeer è sfaccettata e ricca.

 

[ii]      Sarebbe interessante conoscere in merito l’opinione di Thomas Ligotti, autore inserito da VanderMeer stesso all’interno del gruppo del “Proto New-Weird” (sic). Ligotti, ne La cospirazione contro la razza umana, descrive l’autocoscienza come un’aberrazione propria dell’animale-uomo. La mia opinione è che Ligotti, nell’Area X, ci si trasferirebbe in pianta stabile, salvo poi trovare qualcosa da ridire anche lì.

 

[iii]     Un consiglio di modalità di lettura: leggete i tre romanzi uno in fila all’altro, senza interruzione, perché Autorità è di una pesantezza assurda, pieno di complotti intra-aziendali inutili allo sviluppo generale e che fanno tanto soap noiosa. Per tacer di John Rodriguez/Controllo, un personaggio che l’autore vorrebbe fragile e ferito e che invece è un piagnucoloso attaccato alle gonne della mamma carogna. In modalità lettura intensiva, è più probabile che tali difetti vi appaiano meno rilevanti e vi sia più facile godervi l’opera, che nel complesso merita di essere letta.