“Allora, dove siamo finiti, Fahridi?” gli chiedo. “Dove siamo? Finiti? – Se proprio vogliamo essere, almeno siamo iniziati!” mi risponde, e non sta scherzandomi. “Che ora è?” Non mi trattengo, è più forte di me. “L’urgenza, Quijano, non c’interessa. L’urgenza non è un problema di musica.” Mi rincuora l’arabo, sbarbato, tutto ripulito fuori. “Quando? Inizia la commedia quando? – Te lo ricordi questo vecchio adagio?” Mi dice, ride  e quasi gli cade la chitarra di mano. Io rido, la chitarra pure, scordata e stonata. Ridiamo, tutti, denti di poeti e corde di liuti. Ridiamo, finchè  non si confondono le nostre voci, mai prima d’oggi così indistinguibili e invocanti:  “O Musa, dunque, comincia dalla parte che vuoi! Noi, noi che crediamo solo nei labirinti e nella pazienza, siamo qui per pendere dalle tue labbra, dovunque queste si trovino. Avanti Musa, Metis!”

[addenda dichiarativa di Fharidi: “La suite è composta di questi pezzi: Ô Metis/Mala Sema/Spergiuro/Ô Metis – in caso non si capisse”.