Quarant’anni qualche ora fa dalla morte di Pier Paolo Pasolini, l’ultimo della schiatta dei santi, poeti e navigatori di un’Italia preindustriale che pare non ci sia più. All’occasione, per ricordare o dimenticare, un’antologia di testi, un percorso dedicato.

Pasolini e gli altri (metodo mitico)

1. Sul campo specchiato la crepa si allarga, uno a uno i campioni, i Titani, vi finiscono dentro. E cadono: Nietzsche e il suo baffo infuocato; Fedor l’imprigionato e Moresco dal riso sdentato; De Sade, l’uomo cervello, culo e pisello; Eraclito il discorso-conflitto; Pasolini lo spirto pompino; e Diego, el pibe de oro; e Platini, il piemontese dal piede astuto; e l’Alighiero o l’esilio; e tutti gli altri.

(Mignola-Zucchi, Scontro al vertice: Lo specchio delle idee,  testo in divenire)

2. PPP: “L’Italia in cui lei è arrivato era ancora un’Italia preindustriale adesso è una nazione in gran parte industrializzata, quindi produce i fenomeni letterari analoghi a quelli che produceva l’America in quel periodo […] adesso l’Italia fa parte di queste nazioni industrializzate, quindi culturalmente avanzate. C’è in Italia adesso un movimento avanguardistico, in cui si fa spesso il suo nome. Lei riconosce la paternità di questi movimenti avanguardistici che ci sono adesso in Italia?”
Ezra Pound: “Lei dice nazione industrializzate e quindi culturalmente avanzate – è questo quindi che non mi va. […] Mi è difficile rispondere a questa domanda […] è impossibile per me tenermi informato e al corrente – stavo per dire a galla.”
PPP: “Ma lei ha piacere che il suo nome venga fatto in questi prodotti neoavanguardistici oppure è una cosa che non ama?”
Ezra Pound: “Se la sua tesi del “vecchio Ezra è in fondo al pozzo buio rimasticando la sua vita passata” è esatta – a me non sembra, ma può darsi che abbia ragione lei – non sarei in una condizione che mi consentirebbe di vedere chiaro in quel che accade fuori nella luce al neon del neomondo dei neoavanguardisti, che spero capiranno e parleranno con l’Ezra che non può vederli.”

(Pasolini intervista Ezra Pound)


Pasolini entrevista a Ezra Pound von lahorcaonline

foto pasolini Sibilla

Fine del mondo e fine di specie

Fine del mondo-inizio del mondo (poeti che hanno vissuto questa terribile compresenza nel momento di collasso e passaggio: Dante, Whitman, Majakovskij…)

Molto spesso anche l’inizio di un mondo è vissuto come la fine del mondo.

La fine del mondo (in senso storico-politico, antropologico e antropocentrico). I tre modi di starci dentro.

Sono molti gli scrittori che si sono trovati a vivere un restringimento degli spazi, una mutazione e una “fine del mondo”. Ci sono vari modi di porsi di fronte a tutto questo. Alcuni negano l’evidenza e vanno avanti mostrando di non vedere quello che sta succedendo davvero, dipingendo un mondo diverso da quello che hanno di fronte e riscuotendo i vantaggi del loro addomesticamento e della loro omertà. Altri vedono lucidamente quello che succede e si scavano una loro nicchia nichilistica ed estetica autosufficiente e conchiusa. Ma ce ne sono altri che – pur non nascondendosi la tragicità della situazione e senza possedere alcun tipo di ottimismo e consolazione – vivono questa condizione in modo insubordinato, insurrezionale. Questi ultimi – come Pasolini – sono i più scomodi e pericolosi perché sono incontrollabili, perché portano inquietudine, dolore, fervore, turbamento, tormento.

La fine del mondo è sempre l’inizio di un altro.

La fine del mondo piccola e quella grande. In realtà è infinitamente peggio: la fine del mondo non è la fine del mondo.

Fine del mondo e fine di specie. Ma neppure la fine di specie è la fine del mondo.

Cosa c’è tra la “fine del mondo” e quella di specie?
Il mondo è finito? “Meno male che il mondo è finito!”, mi verrebbe da dire. Così non ci sono più diaframmi e siamo faccia a faccia con la nostra presenza di specie, la sua fine e il suo inizio.

Pasolini è un uomo e un intellettuale novecentesco e antitetico. Non è statico – come tanti altri intellettuali, scrittori e filosofi antitetici della seconda metà del secolo scorso – lui è in movimento. Ma è in movimento solo dentro questo schema concettuale antitetico. Capisce in un istante quel è la tesi del momento, anche e era l’antitesi fino a un secondo prima, mentre tutti gli altri antitetici attardati continuano a sostenerla senza accorgersi che è ormai diventata l’antitesi. Pasolini, con una prontezza di riflessi eccezionale, se ne accorge immediatamente e non ha paura di sfidare i generale conformismo culturale opponendosi ad essa e smascherandola. Ma rimane comunque un uomo e un intellettuale dell’antitesi, è strutturato per funzionare così e per schiacciare soprattutto su questo la sua attività artistica, politica, etica e di conoscenza. Come se l’antitesi fosse la radice, come se questo movimento mentale non fosse ancora e sempre speculare e di superficie. Come se la nostra vita si esaurisse lì e non fosse invece dentro qualcosa di più profondo e più radicale e più grande, come se ciò che sottendono queste due chiavi di lettura concettuali della vita e del mondo che la filosofia e la scienza sociali hanno separato, chiamandole con questi due piccoli nomi da comica metafisica, non fossero movimenti inerti e compensazioni di superficie.

Io oppongo resistenza a Pasolini, a ciò che in lui è ancora bloccato dentro una prospettiva stretta, alle sue chiavi di lettura antropocentriche, estetiche storico-politiche, sociologiche, culturali e culturalistiche, che ha ereditato dalle ideologie moderne e che si riflettono spesso anche nella sua parola e sulla sua lingua dall’eloquenza culturale orizzontale, cumulativa. Però mi piace la travolgente urgenza sentimentale e la sproporzione con cui ci sta dentro, che fanno la differenza.

L’urgenza e la pienezza sentimentale.

La sproporzione, che mette in sofferenza, tormenta e dilata la stessa dimensione stretta, storicistica e culturalistica antitetica dentro cui si muove, che rimanda ad altro, che collega a qualcosa d’altro e di più grande, in cui tutto questo è compreso.

Come in Petrolio, libro che non amo del tutto ma che considero straordinario, che convive con elementi culturalistici e labirintici dentro i quali e contro i quali Pasolini si dibatte, ma dove questa sproporzione porta a un massimo di deflagrazione. Ed è proprio per questa sproporzione, per questa asimmetria e per questo salto di piani e per questo inciampo che Pasolini, come scrittore, si salva, e riesce a scrivere, quasi fuori tempo massimo, proprio alla fine della sua vita, qualcosa di spiritualmente dinamico e grande, che è una fine e un inizio, che può fare passaggio.

La celebrazione di Pasolini. Molta ipocrisia. Usata anche questa per chiudere, non per aprire. Su tutto il Novecento, sull’oggi, anche sulla sua morte, su cui vorrei anch’io la verità, ma non per togliere, semplificare e schiacciare, ma per aggiungere, aprire, moltiplicare e salvare, e mentre oggi è tutto infinitamente peggio e ci siamo lasciati alle spalle “la fine del mondo” e siamo faccia a faccia con la fine della specie.

(Antonio Moresco, Appunti su Pasolini in Lettere a nessuno, Einaudi, 2008)

Pasolini e gli altri: la colpa, la genialità della colpa (metodo dandy)

Così, quando egli viene ammazzato, il conformismo e il consumismo – che una volta sommati formano una combinazione fra le più omicide – hanno la consolazione di constatare: doveva stare in casa come tutti gli altri a godersi i caroselli dei detersivi, ben gli sta. La punizione arriva infatti molto sollecita, molto emblematica, estremamente leggibile.

Permissività, movimenti giovanili e discoteche spazzeranno poi questa tradizione o illusione (e Pasolini stesso si lagnerà della mutazione antropologica: «Ora devo fare centinaia di chilometri per cercare sulle cime dei monti ciò che fino a poco fa trovavo sotto casa»). Ma la caratteristica di queste pagine è una capacità di fissazione amoroso continua, ripetuta, erratica, insaziabile.

Come risolvere, dunque, il problema di un vittimismo masochistico genuino e profondo, ostentato e strumentale per la carriera ma molto autentico, presentandosi insieme come capro espiatorio e agente provocatore – o come capro provocatore e agente espiatorio, sempre più eretico e martire – in una fase tuttavia provvisoriamente priva di grossi lutti sacrificali da elaborare nel dolore, e in ambienti dove il sesso e soprattutto la sodomia venivano vissuti come commedia e non come tragedia?

[…]

I giornali scandalistici sostenevano addirittura che occorreva far parte della “mafia omossessuale” per una carriera nello spettacolo. Ma anche la produzione letteraria della generazione più vecchia e di quella più giovane si presenta ricca di episodi significativi, in prosa e in poesia. E l’accoglienza della ‘society’ romana, tradizionalmente così indulgente, non poteva risultare più benevola.

Ecco dunque un tratto vertiginoso della genialità di Pasolini: riuscire a provocare scandalo con i costumi prevalenti, così come lo provocava con la religione di Stato e le ideologie alla moda. Turbare e scandalizzare i praticanti con le loro stesse pratiche…

Erotismo e pornografia. Davanti all’abbondanza di «coiti orali» in queste pagine, risalta ancora una volta l’impossibilità pratica di fare letteratura erotica e pornografica in Italia, avendo a disposizione una lingua che invece di leggerezze e brevità ‘parlate’ del tipo «suck that dick, baby», deve ricorrere a dinosauri e pachidermi linguistici del genere «l’energumeno estrasse un membro gigantesco»… «Estrasse»… Come si fa, in pornografia, a dire «estrasse»?… È il linguaggio burocratico e fatiscente dell’«obliterare», dell’«inanellare», dell’«aeromobile»… E poi come si fa a dire o scrivere «fammi un coito orale». Sognando un erotismo senza troppe «zz» fastidiose?

E poi andare in uno scenario così volutamente pasoliniano, per incontrarvi una fine non già “tipicamente sua”, ma “tipicamente pasoliniana”[1] secondo il punto di vista di chi non lo conosceva personalmente ma solo di seconda mano… Sono troppi i clichés che uno scrittore di prim’ordine eviterebbe a qualsiasi costo!

(Alberto Arbasino, Ritratti italiani,  Adelphi, 2014)

Pasolini vs. Bene (metodo italiano)
  • Squartamento del linguaggio e del senso della discrittura scenica (decomposizione cartacea-orale-musicale del testo)
  • Disarticolazione del discorso succubo del significante
  • Togliere di scena (contro la confezione cultuale della “messa in”…)
  • Demolizione della finzione scenica = dalla identità immedesimata o delazione epica “straniata” della voce interna re-citante che si preclude l’affinità dei doppi, all’arredamento e al dettaglio dell’ambientazione come rovello della messinpiega.
  • Rinnovamento radicale del poema sinfonico (s)drammatizzato.
  • La voce interna come non ricordo del morto orale pre-scritto.
  • Superamento [di Artaud e] della lingua degli angeli. 
  • La sospensione del tragico
(Giuseppe Genna, Andrea Gentile, Etere Divino, Il Saggiatore, 2015)
"Cavalcalo e il debito sarà estinto." Illustrazione di Saverio Galdo

“Cavalcalo e il debito sarà estinto.” Illustrazione di Saverio Galdo

La memoria è più crudele della morte
Pasolini, o el Paso, rinvenuto morto sborrato sul prato nero della Casilina infernale – ogni inferno ha la sua Casilina, il suo sogno di rivoluzione incompreso.

(Mignola-Zucchi, Scontro al vertice, La caduta: l’inganno è la via, testo in divenire)


[1] “E andarci disarmato, senza coltello o pistola” aggiunge il nostro Antonio Vena, thrillerista