Il giardino di mio zio è pieno di buche. Un giorno gli ho chiesto il perché. Sono le talpe, ha risposto lui, talpe dappertutto.

Mio zio in paese lo conoscono tutti e gli vogliono bene da sempre. Lui costruisce case. La nostra, l’ha fatta con le sue mani. Quando andiamo al bar c’è sempre qualcuno che vuole offrirgli il caffè, l’aperitivo, un bicchiere di vino, perché conosce un sacco di cose e ogni volta trova la soluzione giusta ai problemi della gente.

Cosa sono le talpe? Gli ho chiesto. Così me ne ha mostrata una. Stava tutta sulle sue dita, un batuffolo nero senza occhi e senza coda. Solo le unghie rosa spuntavano fuori dai lati del corpo, come quelle di un neonato, ma più lunghe e sottili. Unghie nere di terra, come quelle di mio zio. Perché è tutta bagnata? Gli ho chiesto. Lui l’ha gettata a terra e ho capito che era morta. Senza rispondermi ha raggiunto il tubo della pompa e l’ha estratto da una delle buche. Un fiotto d’acqua ghiacciata mi ha bagnato i piedi. Le tiriamo fuori da sotto terra con l’acqua che ci ha dato Dio, ha detto lui, così se ne vanno all’altro mondo e sopra alle buche ricresce l’erba. Poi mi ha passato il tubo e mi ha chiesto di infilarlo in un altro foro, dove di sicuro viveva la talpa grossa. Ho fatto come diceva, ma poi mi è venuto da vomitare e sono scappato via.

Mi sono addormentato nel mio letto dopo le preghiere della sera. Non ho detto a nessuno che stavo pregando per la talpa. Non solo per quella che avevo visto morta ma anche per quell’altra, per la talpa grossa. Ho pregato perché si salvasse dall’acqua di Dio e perché restasse sotto terra risparmiandoci la vita.

Pensavo di risvegliarmi la mattina dopo con l’odore dei cornetti del bar e invece un rumore di tuono mi ha fatto spalancare gli occhi nel buio. Ma non veniva dal cielo. Il tuono arrivava da sotto al mio cuscino; più giù, dalla cantina dove teniamo l’olio e il vino, più giù ancora, dal centro della terra. È la talpa, mi sono detto, la talpa grossa. È lei che mi sta cercando. Ma non potevo fuggire, non potevo muovermi. A muoversi era invece la cesta dei giocattoli, i pomi del letto, le pareti della stanza, il soffitto. E intanto il tuono saliva dal basso e salendo si avvicinava sempre di più al mio petto; fino a quando dall’alto una pioggia di sassi mi è caduta sulla schiena schiacciandomi contro il materasso. Aspettavo solo che il muso della talpa grossa si spalancasse davanti ai miei occhi e mi divorasse. La sentivo muoversi sotto alla mia pancia mentre con gli occhi non vedevo più niente; le mani non afferravano nulla e sentivo su di me tutto il peso del tetto, della casa, delle stelle adesive che si illuminavano di notte, cadute come foglie sulla mia faccia, sulle braccia.

A risvegliarmi insieme alla luce che adesso filtra attraverso la montagna che ho addosso è un suono. È la talpa grossa. Mi ha trovato, lo so. Adesso il suono è a un paio di metri da me e posso riconoscerlo. Pian piano la montagna diventa più fina, più leggera, si sgretola scivolandomi via dal corpo e alla fine il suono si trasforma in una voce che conosco. È la voce di mio zio, arrivato a salvarmi dalla talpa.

È colpa mia, diceva. Mi abbracciava e piangeva, ma le lacrime erano già asciutte. Erano solo due righe bianche disegnate sulla sua faccia coperta di polvere.

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In copertina: fotogramma tratto da Nel tempio degli uomini talpa (1956)