Io non vedo niente (II).

“Arrivammo a Lucerna e si andò in barca sul lago. Una bella passeggiata, ma triste”.
“Perché? Non capisco”, disse Aleksandra.
“Non so… trovarmi al cospetto di una natura così rigogliosa mi ha sempre messo in uno stato di grande agitazione. Del resto, a quel tempo, ero ancora sofferente.”
“Ebbene”, disse Aglaja, “io vorrei vederlo con i miei occhi un paesaggio del genere! E chi sa quando andremo all’estero! Sono due anni che non riesco a trovare il soggetto per un quadro, che ci posso fare? L’Oriente e il Mezzodì son da tempo descritti… Aiutatemi voi, principe”.
“Io? Non me ne intendo. Mi sembra che basti guardare e copiare, tutto qua”.
“Ma io non so guardare”.
“Ma che indovinelli sono i vostri? Non vi capisco davvero!”, intervenne la madre. “Che cosa significa ‘non so guardare’? Apri gli occhi e guarda. Se non sai guardare qui, non saprai guardare nemmeno all’estero. Meglio che spiegate voi, principe, com’è che guardaste”.
“Sì, sarà meglio”, approvò Adelaida, “perchè fu proprio all’estero che il principe imparò a guardare”.
“Non lo so… Ci guadagnai in salute, questo sì; ma quanto all’avere imparato a guardare, non posso rispondere. So pure che mi sentii sempre molto felice”.
“Felice?”, esclamò Aglaja. “Voi sapete essere felice? E come fate a dire di non avere imparato a guardare? Per piacere, insegnatelo anche a noi”.

(Fedor Dostoevskij – L’idiota, pag 60-61. Ed. Newton Compton. Trad. Federigo Verdinois)