Questa è la risposta!
La risposta non è ricevere e conservare, ma ricevere e dare.
La risposta non è salvare e preservare, ma crescere e cambiare.

Godbody racconta una di quelle storie che, per quanto risapute e riferite milioni di volte, non perdono mai in freschezza e ribadiscono ogni volta la loro necessità: volano talmente alto e scavano tanto nel profondo da raggiungere una statura intima e mitica. Come l’Ospite del Teorema pasoliniano, o il Quinto Evangelio nascosto e allo stesso tempo disvelato da Pomilio, o L’idiota dostoevskiano o lo Zarathustra raccontato da Nietzsche, Godbody trasmette un insegnamento sovversivo e ardito che non può essere riferito con le parole, ma deve essere sentito, fatto proprio, vissuto e solo in seguito condiviso con altri, in una ricerca perpetua e incessante.
Questo perché Godbody, il personaggio che dà il nome al romanzo, entra letteralmente nudo e vulnerabile, ma allo stesso tempo indistruttibile, nella vita di coloro che incontra durante il suo brevissimo passaggio, e porta con sé un messaggio intuitivo e intraducibile, ovvio e rivoluzionario, che scardina ogni coordinata e senso d’identità in tutti coloro che ne vengono a diretto contatto.

Nel romanzo, i riferimenti al percorso umano e divino di Cristo sono chiarissimi, come lo sono  i richiami agli archetipi ad esso collegati: ci sono il primo apostolo Dan Currier, la fiera Maddalena Britt Svenglund, l’indemoniato Hobart Wellen, la farisea e paladina della morale Willa Mayhew, il pubblicano convertito Andrew Merriweather; e poi ci sono la nascita (il risveglio dei corpi, e la connessione tra questi e una nuova dimensione dell’essere), la morte e la resurrezione, i miracoli; ma, più di tutto, c’è il piacere di leggere un racconto che sappiamo come andrà a finire, di cui conosciamo a menadito tutti i passaggi, ma che ancora ci parla, e che ha come protagonista una figura che non si pone come guida o come esempio ma solo come canale, come via da seguire per entrare più in contatto con noi stessi, una figura di cui si sente sempre la necessità.

Godbody, come il Cristo primigenio e non mediato dalla chiesa, giunge a noi con lo scopo di distruggere l’idea che ci siano cose giuste e cose sbagliate, e per liberare il mondo dal peccato, ovvero dal senso di colpa. E allora, a una morale immobile e portatrice di dolore e di giudizio, il protagonista di Sturgeon sostituisce un’etica fluida, accogliente e rigenerante, e a uno stato di regole minaccioso e inerte fa subentrare un vivere travolgente, generoso e pieno di significato.

La risposta non è fermare le cose, ma lasciarle andare.
La risposta non è coprire e nascondere, ma toccare e condividere.
La risposta non è pensare, ma sentire.

Sturgeon rifugge ogni misticismo e ogni tono predicatorio, limitandosi a sfruttare la forza intrinseca della sua storia e credendoci fino in fondo, senza farsi intimorire da eventuali sfumature sacrileghe o scandalose.
Ed è questa onestà la forza del romanzo, l’elemento che lo ripulisce da ogni sentore di già detto, che rinforza la storia nella sua mutevole e ciclica eternità, nel suo morire nel nostro pensiero e rifiorire nelle nostre più recondite e private percezioni, offrendo pienezza alla nostra vita.

La risposta non è morte, ma amore.
Non morte, ma vita.
Non morte!

Theodore Sturgeon
Godbody (1986)
Trad. it. Marina Sirka Mosur
Roma, Edizioni Atlantide, 2016
pp. 184