Entre Rios Tigres y Eufrates 6 gennaio 2019
in risposta alla Lettera ai maggiorenti della Litweb

 

Al Direttorio, disciolto in data 30 giugno 2019

Se esistessero beni ereditabili, ne sarei venuto a conoscenza.
La palestra, il ponte – che cosa sono? Proiezioni, parlando nel gergo della psicologia. Finzioni, parlando in quello della letteratura. Niente, in quello della laminetta ritrovata a Farsalo.

Questo non era un luogo ma un processo e ora è slittato altrove? Consideriamo invece che le mauvais sang donne sur la mort comme une fenêtre sur la cour.
Consideriamo le spinte centrifughe e cooptanti, alle quali si è dato nel tempo un peso specifico che va oltre le umane resistenze.
Andiamo oltre, poiché lì dove non si può cooptare bisogna passare oltre.

Vi racconto una storia sul passare oltre. Exempli gratia (come dicevano i miei padri).
C’erano una volta un maestro e un discepolo dispersi lungo il corso del Nilo. Erano partiti per cercare le fonti del fiume, ma la loro ricerca era naufragata e il fiume nella sua magnificenza tolse loro la speranza del ritorno. Un giorno una tempesta li colse nel bel mezzo della navigazione e la loro imbarcazione fu sconquassata dalle acque che si alzarono oltre gli argini del Nilo, tanto da lasciar credere davvero che quel fiume potesse sfidare in ampiezza lo stesso Oceano. Il discepolo era molto più atterrito del maestro, che tuttavia fingeva di comprendere ciò che di lì a poco sarebbe accaduto. Quando la tempesta si placò e il fiume con lentezza e fatica rientrò nel suo letto, il maestro tentò di consolare il discepolo, ma si accorse subito che il discepolo era inconsolabile. Vagarono guidati dalla corrente, affamati e assetati, circondati da squali feroci, sette notti e sette giorni. All’ottavo l’imbarcazione improvvisamente cedette e il maestro e il discepolo si ritrovarono in balìa degli squali, i quali però – proprio perché si era nell’ottavo giorno – si ritirarono. Il maestro e il discepolo non s’accorsero della ritirata dei pescecani e nuotarono furiosamente. Quando furono abbastanza lontani e il fiume restringeva il suo corso, il maestro guardò il discepolo per condividere con lui l’insperata salvezza, ma dallo sguardo distante e alcionio del discepolo comprese che qualcosa era cambiato, sebbene non riuscì a determinare cosa. Allora il maestro parlò, come aveva sempre parlato: «Devi imparare. Non devi essere più veloce dello squalo, soltanto degli altri nuotatori».
Discepolo: «Mmm».
Maestro: «Cosa mmm?».
Discepolo: «Maestro».
Maestro: «Dimmi».
Discepolo: «Guardati intorno».
Maestro: «Guardo».
Discepolo: «Dove siamo finiti, non vedi?».
Maestro: «Cosa?».
Discepolo: «Non ci sono più nuotatori e…».
Maestro: «E?».
Discepolo: «E lo squalo sono io».
Maestro: «Ah! Quindi…».
Discepolo: «Sì. Mi dispiace».

Un’ultima cosa. Il problema etico posto dall’umorismo delirante – l’arma più efficace contro ogni istinto cooptante – riguarda uno sdoppiamento peculiare: mentre, con una risata inspiegabile, distrugge edifici millenari, nello stesso istante infonde un piacere sottile nel corpo e nei tessuti di chi ride: così, chi ride, si accontenta di ridere. Aveva allora ragione quel folle che un tempo, se ben ricordo, sentii urlare “Mercenari, come tutti gli altri. Bisogna uccidervi a bastonate”.

Gomez