Una storiella zen racconta di un contadino che, chiacchierando con uno studioso in cerca della saggezza negli scritti dei maestri, definisce questi scritti come i loro scarti, perché i grandi maestri il loro meglio lo hanno dato in vita; pertanto, le parole che ci hanno lasciato sono una rimanenza, la parte meno importante del loro insegnamento.
Da parte mia, se da un lato credo che quello verso la conoscenza (o addirittura verso la saggezza) sia un percorso diverso per ognuno e che vada fatto da soli, dall’altra trovo sciocco non approfittare dell’aiuto di chi quel viaggio lo ha intrapreso prima di noi. Affidarsi alle parole dei saggi per cercare la strada, come faceva lo studioso del racconto, è un approccio ingenuo: è la storia del dito e della luna, dove le parole del saggio sono il dito che ci dà una direzione, ma il resto del lavoro (guardare la luna) tocca farlo da soli; ritengo però altrettanto avventato rifiutare il dito che ci viene offerto[i], come farebbe il contadino, e reinventare ogni volta la ruota; ergo, ben vengano le testimonianze dei saggi, che non sono solo scarti ma possono essere considerate distillati da cui prendere spunto.

Avere qualcosa in mente implica che la mente stessa è preoccupata e non ha tempo per nient’altro. Ma già cercare di eliminare il pensiero significa sostituire ad esso un altro pensiero. Cosa fare, quindi? Nulla! Non si deve risolvere, ma sciogliere, non agitarsi, nessuna agitazione: è la mente originaria, assolutamente nulla di speciale.
(Pensieri che colpiscono, p. 128)

Non è necessario che tu esca di casa. Rimani al tuo tavolo e ascolta. Non ascoltare neppure, aspetta soltanto. Non aspettare neppure, resta in perfetto silenzio e solitudine. Il mondo ti si offrirà per essere smascherato, non ne può fare a meno, estasiato si torcerà davanti a te.
(Aforismi di Zürau, p. 121)

Le riflessioni che ci offrono due dei massimi pensatori del secolo, Franz Kafka e Bruce Lee, virano verso l’interno e ci mostrano profondità accecanti e gelide, limpidissime; sia Kafka che Lee rifiutano metodicità e passaggi chiarificatori, offrendo al lettore conclusioni simili di due indagini sulla vita e sul processo di conoscenza in una forma talmente immediata e istintiva, soprattutto nell’opera di Kafka, da essere paragonabile a quella dei koan zen[ii].

Se gli aforismi di Kafka sono una voragine dal retrogusto siderale e desertico che lo scrittore esplora e osserva con il sorriso sulle labbra, i pensieri di Lee colpiscono in quanto riproduzione fedelissima del duello dell’artista marziale con la tradizione taoista, con il pragmatismo americano, con lo star system, con il successo, con il quotidiano: quello offertoci da Bruce Lee è uno studio nato per affinare una fluidità non solo di combattimento, ma anche di pensiero e di vita. Per entrambi, è fondamentale la conquista, consapevole e precaria, di sé: la libertà risiede nella comprensione di se stessi, di momento in momento (p. 144), ci dice Lee, mentre Kafka ci dà due compiti per iniziare la vita: restringere il tuo cerchio sempre più e controllare continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo cerchio (p. 106)[iii].

Le sei infermità sono:
il desiderio di vittoria;
il desiderio di ricorrere ad astuzie tecniche;
il desiderio di esibire tutto ciò che si impara;
il desiderio di incutere soggezione all’avversario;
il desiderio di abbandonarsi ad un ruolo passivo;
il desiderio di liberarsi di qualunque infermità da cui si sia eventualmente affetti.
(Pensieri che colpiscono, p. 107)

Non lasciare che il male ti faccia credere che potresti avere dei segreti per lui.
(Aforismi di Zürau, p. 33)

È uno strano equilibrio tra autoaffermazione e auto-annullamento, quello che Lee e Kafka raggiungono e indagano: il tentativo di trascendere la propria autocoscienza, e portare la propria consapevolezza a un livello più profondo, intuitivo, per certi versi addirittura ancestrale, una comunione tra spazio interiore ed esteriore, una consapevolezza intima e misteriosa dell’abolizione di ogni dualismo: bene/male, interno/esterno, io/mondo, mente/corpo[iv]. Sembra di assistere a una ricerca di assolutezza, di purezza, di astrazione concreta, del principio che regola il nostro posto nel mondo e la nostra identità, e questo rifiutando sia il concetto di posto che quello di identità, riduttivi e limitati. Siamo davanti a uno scavo che apre al cielo.

La verità è indivisibile, perciò non può riconoscere se stessa; chi vuole riconoscerla deve essere menzogna.
(Aforismi di Zürau, p. 93)

Per poter percepire la totalità, bisogna porsi totalmente al di fuori da essa.
(Pensieri che colpiscono, p. 155)

Adesso tocca a chi legge. Deve solo decidere se andare avanti o no.

***

Franz Kafka
Aforismi di Zürau (1946)
A cura di Roberto Calasso
Milano, Adelphi, 2004
p. 144

Bruce Lee
Pensieri che colpiscono (2000)
Trad. it. Andrea Tranquilli
Roma, Edizioni Mediterranee, 2003
pp. 161


[i]       Bruce Lee stesso ci dice che la verità non va cercata nei libri e che è necessaria una ricerca autonoma, non affidandosi alle opinioni di qualcun altro o a un semplice libro. E poco più avanti, dichiara che nella migliore delle ipotesi, questi pochi paragrafi non sono altro che “il dito che punta alla luna” […] . Dopo tutto, la funzione del dito consiste nell’allontanare lo sguardo da sé, dirigendolo verso quella luce che lo illumina insieme a tutto il resto. (Pensieri che colpiscono, p. 161). Con la sua solita secchezza, Kafka apre i suoi aforismi di  Zürau affermando che la vera via passa su una corda che non è tesa in alto, ma appena al di sopra del suolo. Sembra destinata a  far inciampare più che a essere percorsa. (p. 17)

[ii]      Il bello dell’intera produzione kafkiana è che sembra nata per mettere in difficoltà l’intelletto, esattamente come i koan zen; soprattutto gli Aforismi di  Zürau sono una shakerata all’anima. Per quanto si possano cercare significati o rimandi con la vita dell’autore, la forza di Kafka sta nell’entrare nel cuore senza passare dalla testa, o passandoci in maniera molto superficiale. Quel che il cervello suggerisce diventa irrilevante, e Kafka resta dentro e illumina. Da parte sua, Bruce Lee scrive con tutto il corpo, con uno stile assertivo, marziale ed efficace.

[iii]     Non scordiamoci che anche Kafka era un combattente notevole, anche se propenso a svalutarsi: contro suo padre, la religione ebraica, il suo contesto sociale, la tradizione, nel concetto più ampio del termine; e la tradizione (marziale) è stata anche il nemico principale di Lee, che vedeva in essa una cristallizzazione della vita e una tentazione alla pigrizia mentale, ancor prima che fisica. La battaglia per entrambi si gioca sempre e comunque nel cerchio dell’io, l’unico posto sul quale si ha una qualche influenza. E se Lee rifiuta il concetto di metodo perché limitato e riduttivo e spinge sempre alla ricerca personale, Kafka dice senza mezzi termini che c’è una meta, ma non una via; ciò che chiamiamo via è un indugiare (p. 40).

[iv]    È interessante osservare che sia i pensieri di Lee che gli aforismi di Kafka sono nati in un contesto di forzata calma e disagio fisico: un serio problema al quarto nervo sacrale per Lee, l’inizio della tubercolosi per Kafka. E se il periodo di  Zürau per Franz è stato tra i più sereni della sua vita (almeno fino al problema con i topi), il forzato riposo ha dato a Lee l’opportunità di migliorare i suoi metodi di allenamento, nonché di avvicinarsi più in profondità alla filosofia e rafforzare il proprio carattere uscendo dalla sua routine.