• Il vivente ha ragione del morto, per ovvie ragioni: principio di una cultura semibarbarica. Valga lo stesso all’inverso*.
  • “All’ombra dei cipressi e dentro l’urne…/ Non sapete che vi state perdendo…”
  • E lo spettro del passato, il totem: la grandezza cristallizzata nella memoria. Che farsene? Studiare, onorare, rigettare? Aut liberi aut libri.
  • Quella leggerezza d’animo, allora, quella strafottenza, implica, di tanto in tanto, uno sputare in faccia ai muort e chi m’è mmuort.
  • Riguardo a quella distinzione che qualcuno sempre più spesso va facendo: gi scrittori come classe superiore rispetto ai narratori. Ecco, però: in questo senso, “gli scrittori” sono meri allacciatori di scarpe rispetto ai “pensatori” –  certi “pensatori”, quantomeno. C’è sempre un più fondo.
  • Quale somma stronzata, in philosophicis, quella di opporre la vita organica alla morte!
  • Quant’è bella, a volte, la Morte quando arriva.

*Il canto drammatico del satiro festante è un canto ebro, cavernoso; eppure una volta sobria mente l’ho sentito affermare: “in una prospettiva filologica, verità è assimilabile a fondamento; in una prospettiva politica essa è uno strumento malleabile, assimilabile talvolta al fondamento; in una prospettiva filosofica, verità è un anacronismo, un usteron proteron.” Destino arduo, quello del satiro, manco fosse un oracolo