Tema dell’esercizio: moriamo delle nostre febbri polimorfe e combinatorie, più che delle nostre malattie di discendenza o che hanno esse stesse la loro discendenza. L’interpolazione è un’antigenealogia?

Nota: Per le ragioni di cui sopra non laudo chi vive sempre con simulazione e con arte, ma escuso chi qualche volta la usa. (Vv. Cuitzialtimi)

Svolgimento dell’esercizio.
«Che cos’è che ha tenuto a freno le belve sanguinarie che si chiamano uomini? Che cos’è che li ha guidati fino ai nostri giorni? All’inizio dell’ordinamento sociale si sono sottomessi a una forza rozza e cieca, e poi alla legge, che è pure una forza, ma mascherata. Il morire – conseguenza della forza, prima, e della legge, dopo – è dunque una lotta fra nemici di forze disuguali. Le grida che si lanciano, le ferite che ci si infligge nel lutto e nella disperazione, sono forse intese come espressione di tale lotta. Il morto non deve credere d’essere ceduto facilmente: per lui si è combattuto. In questa sfera, nel diritto delle obbligazioni, dunque, ha il suo primo focolare il mondo dei concetti morali di “colpa”, “coscienza”, “dovere”, “sacralità del dovere” – i suoi inizi, come quelli di tutto ciò che è grande in terra, sono stati bagnati a lungo e in profondità nel sangue. Ne traggo, quindi, la conclusione che secondo la legge della natura il diritto è nella forza. A sostegno di quest’ultima tesi, rammento le parole dell’aedo: E il Fileide buona lancia, venutogli a tiro, / lo colse nel cervello, alla nuca, con l’asta puntuta. / Diritto fino ai denti la lingua il bronzò troncò: / lui piombò nella polvere, strinse il bronzo freddo coi denti».

Divisione K del Commando Interpolazioni
Apparato di sabotaggio