La letteratura non rispecchia nulla. Fa un’altra cosa.
R. P.

 

Kafka precursore di Cesare
Nel vocabolario critico, la parola precursore è indispensabile, ma bisognerebbe purificarla da ogni significato di polemica o rivalità. La tradizione, altra parola ineludibile, è l’annullamento della freccia del tempo da un punto A verso un punto B, sebbene si perseveri a insegnare proprio questa univocità, non il suo contrario. Il fatto è che ogni scrittore crea i suoi precursori. La sua opera modifica la nostra concezione del passato, come modificherà il futuro.

Prendiamo ad esempio: Kafka, Visita alla miniera (1917 ca) e Cesare, De bello civili, III 16-17.
Possiamo leggere Kafka soltanto in funzione di Cesare:

È un ingegnere un po’ tirannico, ma solo in nome degli strumenti. Già dieci passi prima della carrozzina dobbiamo farci da un lato, a un cenno muto del suo dito, anche in luoghi dove non si sa proprio da che parte girarsi. (pag. 229, Kafka, Un medico di campagna, Racconti, BUR 2008)

Ein wenig herrschsüchtig ist dieser Ingenieur, aber doch nur im Namen der Apparate. Zehn Schritte vor dem Wagen sollen wir schon, auf ein wortloses Fingerzeichen hin, zur Seite weichen, selbst dort, wo kein Platz zum Ausweichen ist. (Ein Besuch im Bergwerk)

*

Dietro a questi due signori viene lo sfaccendato inserviente. […] D’altro canto, noi gli ridiamo alle spalle; ma siccome neppure un potente boato saprebbe indurlo a voltarsi, nella nostra considerazione lui resta come un qualcosa di incomprensibile. (pag. 229, ibid.)

Hinter diesen zwei Herren geht der unbeschäftigte Diener. […] Hinter ihm lachen wir allerdings, aber da auch ein Donnerschlag ihn nicht veranlassen könnte, sich umzudrehen, bleibt er doch als etwas Unverständliches in unserer Achtung. (Ein Besuch im Bergwerk)

È inconfutabile che i due passi sopracitati abbiano influenzato i seguenti passi cesariani:

16 [3] Giunto in città, i due pompeiani sono chiamati a colloquio. Libone si presenta e adduce come scusa per Bibulo, il fatto che questi fosse animato da una incontenibile ira e nutrisse anche rancori personali nei confronti di Cesare, nati dalla edilità e della pretura [di cui era invidioso]; per questo motivo aveva evitato il colloquio, perché decisioni di così grande speranza e altrettanta utilità non venissero impedite dal suo rancore. [4] Il desiderio di Pompeo è ed è sempre stato che si giungesse a un compromesso e si deponessero le armi, ma egli [Libone] non aveva alcuna influenza in merito, per il fatto che [i senatori] avessero concesso a Pompeo, secondo la decisione del consiglio, il comando supremo della guerra e di tutte le controversie.

17 [1] A quelle dichiarazioni Cesare ritenne allora di non dover neppure rispondere, né ora riteniamo ci sia un motivo necessario per conservarne memoria. […] [4] Se avessero voluto che da parte sua si allentasse la stretta, loro stessi avrebbero dovuto diminuire la sorveglianza del mare; se avessero mantenuto la parola, anche lui avrebbe mantenuto la sua. Tuttavia sarebbe stato possibile giungere a un accordo, senza che si concedessero dilazioni [alla situazione attuale], né ciò sarebbe stato di ostacolo. […] [6] Quando comprese che Libone aveva tenuto tutto quel discorso per evitare il pericolo imminente di una carestia e che non recava alcuna speranza o condizione per la pace, Cesare ritornò a rivolgere la sua attenzione a ciò che restava da fare per la guerra.
(pagg.191-193, Cesare, La guerra civile, Mondadori 2011 – usato solo come testo di riferimento per la versione in latino, la traduzione è mia.)

Teorie
L’influenza fa parte anch’essa dell’indispensabile vocabolario critico, che permette di addentrarsi nell’attribuzione di specifiche tecniche narrative (altrimenti dette teorie) riprodotte secondo le necessità del caso. L’influenza consente di notificare, non di certificare, alcune teorie che fanno del cannocchiale e del microscopio un unico strumento.
Una di queste, ad esempio, è la “teoria del tempo fuori di sesto” espressa nel Pierre Menard autore del Chisciotte di J. L. Borges oppure in Analisi di guerra di Alberto Laiseca: per cui el Don Quijote del XX secolo è José Kaltenbrunner Garbanzo.
Un’altra è la “teoria della vanità del Senso”, quale espressa nel finale de La storia del Maestro e del Discepolo di Danilo Kiš: “Da questo deriva una nuova morale, la quale, in forma di proverbio, ci suggerisce che è pericoloso sporgersi sopra il vuoto altrui, nel pio desiderio di scorgervi, come nel fondo di un pozzo, il proprio volto; perché anche questa è vanità. Vanità delle vanità.”
Una terza è la “teoria del sabotaggio” del Commando Interpolazioni: “l’ironia, d’altra parte, è una domanda a cui il mittente non sa ancora rispondere, di cui il destinatario conosce già la risposta, ma non può pronunciarla. Ovvero: l’ironia è in effetti una domanda di cui il mittente conosce già la risposta – ma non ne è consapevole fin quando il destinatario non la pronuncia”.

Come se…
Assecondando Erodoto, ogni letteratura (poiché questa, a meno che non sia soltanto l’esercizio di un mestiere, è il fatto politico) potrebbe dipendere da un’appropriazione indebita dei greci, le cui conseguenze sono state proprio la deviazione della freccia del tempo:

[2] Gli Egizi sono i primi che hanno esposto questa teoria: l’anima dell’uomo è immortale, e una volta morto il corpo, essa migra sempre verso un altro essere vivente che è appena nato; e dopo aver percorso in circolo le vite di tutti gli esseri terreni, marini e del cielo, migra di nuovo verso il corpo appena nato di un uomo – il ciclo si compie in tremila anni. [3] Ci sono alcuni dei Greci, chi prima, chi dopo, che si sono serviti di questa teoria, come se fosse una loro invenzione; io ne conosco i nomi, ma non li scrivo. (pag. 410-411, Erodoto, Le Storie, UTET 2006 – usato solo come testo di riferimento per la versione in latino, la traduzione è mia.)

Aporia
Se non fosse che i moderni hanno inventato la letteratura metafisica, saremmo ancora costretti a credere, ad esempio, al miracolo dei Greci o dei Babilonesi, mentre ora grazie al supporto scientifico di questi nuovi metafisici, come grazie ad altri meno fortunati, sono da ritenersi per lo più enti astratti.

***

In copertina: Laura Dern in una scena di Inland Empire (David Lynch, 2006)