Un’istantanea tesa e sospesa: niente precede, niente può seguire. Una tragedia del silenzio, che si è consumata prima. Ma ciò che è accaduto prima e ciò che sta per accadere, un ingombro continuamente alluso e fatto metafora, occupa tutto il presente del dialogo. È una rimozione. È il non detto intorno al quale ruota la conversazione tra i due. Aspettano un treno in una stazione imprecisata tra Barcellona e Madrid. Bevono e l’aria sa di liquirizia e assenzio. Una progressione, un singhiozzo, con squarci che non fanno in tempo ad aprirsi e subito si chiudono. Nei momenti di pausa la tensione si allenta, ma è un’apparenza. Jig deve abortire, l’americano la rassicura. Eppure quando arriverà il treno, sarà perduta ogni possibilità di futuro. Qualcosa che è nell’imminenza di accadere, ma da cui il lettore è tagliato fuori. Qualcosa da cui i personaggi stessi sono esclusi. Il finale si nega, diventa liquido. Ma è proprio la chiusa a renderlo poetico e tristissimo.

(Qui potete leggere il racconto di Ernest Hemingway Colline come elefanti bianchi)