Una delle leggende metropolitane più irritanti della storia è che il libro sia migliore del film, e titoli come Shining, Il silenzio degli innocenti, Fight club, Il padrino mi rassicurano su quanto sia falso. Il fatto è che una storia non è solo una storia, ma si nutre anche del punto di vista con cui viene raccontata. Alcuni dei prodotti artistici più interessanti sono riduzioni cinematografiche che stravolgono il materiale di base (Lolita di Kubrick) o cover infedeli (Smells like teen spirit di Patti Smith): prodotti capaci di rinforzare la fonte proprio in virtù del distacco di chi la rielabora.

L’intuizione ci rivela di continuo chi siamo. Ma restiamo insensibili alla voce degli dei, coprendola con il ticchettio dei pensieri e il frastuono delle emozioni.

Non ricordo con quale aspettativa due o tre anni fa mi approcciai a Fai bei sogni di Massimo Gramellini, ma ricordo benissimo l’imbarazzo provato durante la lettura e il disagio una volta chiuso il libro: la sensazione di aver ascoltato una persona che per un sacco di tempo gira attorno a un problema e che quando poi se lo trova davanti, pulito e inequivocabile, ti dice “e poi l’ho capito e ho superato tutto”.
Che il best seller di Gramellini non sia letteratura e neanche un prodotto culturale salta agli occhi: non è elaborato, ha un approccio diaristico, i movimenti psicologici ed emotivi del protagonista/narratore sono appena accennati o dati per scontati, al coraggio dei fatti non corrisponde un coraggio dell’elaborazione dei fatti; Gramellini non si pone come autore[i], si limita a raccontare una storia forte e toccante per suscitare in chi legge al massimo quella compassione di circostanza che si prova verso un estraneo al quale è capitata una disgrazia.
Il fatto è che quando deve raccontare il franare della sua anima davanti all’ambiguità della sua vita e alla crudeltà di un trauma mai superato (il suicidio della madre), Gramellini si fa  non tanto pudico, quanto piuttosto timido, incapace di esprimersi con parole che trascendano assiomi generalizzanti e luoghi comuni: appena le cose si fanno dure l’autore scappa, distoglie lo sguardo, si rifugia nella riflessione astratta che raffredda l’impatto emotivo e allontana il lettore dalla storia.
Il peccato capitale di Fai bei sogni è la totale mancanza di una rielaborazione, di una poetica con cui chi racconta filtri la vicenda narrata.

Non essere amati è una sofferenza grande, però non la più grande. La più grande è non essere amati più… Chi è stato abbandonato si considera assaggiato e sputato come una caramella cattiva. Colpevole di qualcosa d’indefinito.

Se l’indefinitezza è il limite insuperabile di Gramellini, rinchiuso in una visione edificante e costruttiva che lascia nel complesso indifferenti, Marco Bellocchio trova nel libro delle linee guida completamente sue (religione e psicanalisi) e racconta una vicenda umana amara riuscendo a scansare lo sciapo prodotto fatto su commissione e a rendere collettiva una storia di base molto personale. Nelle mani di Bellocchio, Massimo (non più Gramellini) diventa un personaggio al quale la vita sbatte continuamente in faccia la verità ma che non ha le basi per leggerla, figurarsi per capirla, e che viene costantemente messo davanti a se stesso dalle circostanze; l’inconsapevole ma brutale cinismo di Massimo, che fonda la propria carriera e la propria fortuna su quella sofferenza mai pienamente compresa, sfuma nel ritratto collettivo di una società (di una nazione?) che non conosce se stessa e il proprio dolore ma che questo dolore lo sfrutta e lo perverte (la prima, stucchevole risposta di Massimo alla posta del suo giornale, chiosata da Bellocchio, con la complicità di Piera Degli Esposti, attraverso una sola battuta, sarcastica e liberatoria), conducendo una vita agiata ma zoppa, alienata, insoddisfatta.

Non difesi il mio sogno, per la semplice ragione che non lo ascoltavo più. I sogni sono radicati nell’anima e la mia era fuori servizio.

Bellocchio è riuscito a rendere tangibile un non-trauma (la madre morta d’infarto fulminante e che in realtà si è suicidata) attraverso un’elaborazione mancata e una risoluzione sospesa; e certe situazioni che in apparenza sembrano passi avanti nel percorso emotivo del protagonista (il ballo con la dottoressa), suonano quasi beffardi e troppo simili a episodi passati (il ballo con la madre) che suggeriscono un’impossibilità di maturazione.

È interessante notare come il film di Bellocchio illumini non tanto il materiale di base gramelliniano, quanto la mancata autorialità del suo creatore; a chi, come me, ha sofferto la carenza d’intimità e di immedesimazione con il narrato, il regista ha illustrato con ironica crudezza questa assenza.
E forse la bellezza di uno sguardo artistico, autoriale, sta nel riuscire a rendere letteratura perfino se stessi.

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Massimo Gramellini
Fai bei sogni
Milano, Longanesi, 2012
pp. 216

Marco Bellocchio
Fai bei sogni
Italia, Francia, 2016
134 min.



[i]       Con il termine «letterario», nel contesto della narrativa, intendo artefatto nel senso nobile del termine, e pertanto considero la questione dell’autorialità molto più importante di quella della letterarietà di un dato testo, che tendo a dare per scontata. Se dietro a un testo c’è e si percepisce la presenza di un autore è chiaro che il testo sia letterario, e allora la questione diventa se la letteratura in gioco sia buona o cattiva; e la letteratura di Gramellini non è buona letteratura. Ci sono testi narrativi non letterari? Certo: i libri di consumo (tipo gli Harmony), atti a soddisfare una data voglia immaginativa. Tali libri sono il male incarnato? Assolutamente no. Volendo fare un paragone, anche a me (che generalmente sto attenta a quel che mangio) piace ingozzarmi di porcherie ipercaloriche, ma capisco che non è il caso di campare solo di quelle. Oltre a ciò, occorre fare un distinguo tra la schifezza industriale gonfia di additivi chimici che ti rende “dipendente” e assuefatto e la sachertorte preparata dal maestro pasticcere con ingredienti sceltissimi miscelati con maestria, che soddisfa il palato e ti fa venir voglia di provare anche altri sapori.