B – E alla fine l’unica forza che sembra in grado di fronteggiare l’inerzia dell’indifferenza è proprio la violenza.
A – La colpa è relegare qualcosa fuori quando il fuori non esiste. Questo fuori bussa, entra.

 

Un evento vibra e contagia ogni luogo del romanzo Tu che eri ogni ragazza di Emanuela Cocco (Wojtek, 2018). La natura di questo evento sfugge perché si moltiplica – è la morte di una ragazzina? È la fuga di un’altra ragazzina? È l’assalto a un pedofilo da parte di un mendicante?

La violenza e la vergogna
Il romanzo si svolge intorno a tre assi narrativi: l’educazione sentimentale di Maria Concetta detta Jungla, adolescente della provincia romana seguita dai servizi sociali per una certa sua difficoltà a esprimere le proprie emozioni; la via crucis di un padre che il lutto per la morte della figlia trasforma in moderno Gesù degli accattoni; i tentativi di un assistente sociale, Duca, di essere all’altezza del dolore altrui, di vincere cioè l’invincibile strafottenza per il dolore altrui. Questi tre assi, prima ancora di incrociarsi nella trama del romanzo, comunicano per via di una domanda che rimbalza ossessivamente da un luogo all’altro del testo: è possibile proiettarsi nello sguardo dell’altro, esperire e vivere il suo dolore?

È possibile: per questo abbiamo, sulla terra, la violenza, e abbiamo anche la vergogna. In alcuni casi, come in quello del padre-Gesù, la seconda assale la prima e così accade il miracolo: un disperato, un mendicante che Gesù intendeva aiutare (infine qualcuno si lascia aiutare: un ragazzino a cui intendeva porgere la mano, offrire un posto decente dove dormire, gli aveva riposto qualche tempo prima: “no, grazie: non mi faccio inculare per soldi”) lo accoltella in Piazza Vittorio a Roma, e Gesù si lascia assaltare.

“Come offende d’inverno incontrare le notti alla stazione del verziere
gli addormentati sul lastrico, da sentire il bisogno
d’affrettare il passo, spazzolare il cappotto chiedere
perché non mi assaltano?”
Elio Pagliarani, La pietà oggettiva (citazione in esergo al romanzo)

Padre-Gesù è un caso limite: la colpa – per non essere riuscito a evitare la morte della figlia e per aver avuto una relazione erotica con una minorenne, coetanea della figlia – lo invade come un assoluto: solo allora egli riesce a indossare l’abito del penitente; la vergogna infatti nobilita, la colpa indica il cammino della catarsi. Diverso è il caso di Duca: l’assistente sociale vorrebbe accedere a quello stadio di assolutezza – la vergogna non solo nobilita ma crea senso –, tuttavia il dolore a cui è confrontata è sempre troppo distante, troppo filtrato dalla riflessione e dalla logistica: così, la membrana nella quale si svolge la sua mediocre vita di merda non è quella della vergogna ma un’altra, più sottile e parassitaria, quella del cinismo, dell’opportunismo e dell’indifferenza. Duca dunque rappresenta la colpa – “relegare qualcosa fuori quando il fuori non esiste” – proprio perché non riesce a fare di essa il proprio abito. La vicenda di Duca illumina due elementi fondamentali del romanzo: il primo è un giudizio estetico-morale: la violenza, come veicolo di intensità e di senso, è una benedizione; il secondo è di carattere narratologico: è una peculiare, segreta circolazione di temi tra i personaggi e gli assi narrativi del romanzo.

 

This is the girl

Vasi comunicanti
C’è in effetti un luogo specifico in Tu che eri ogni ragazza, una stanza astratta dei bottoni in cui due personaggi, A e B, commentano gli eventi. Fin qui, siamo nella struttura e nella funzione del coro nel teatro tragico greco di età classica. Tuttavia accade anche questo: commentando gli eventi, A e B finiscono per moltiplicarli; moltiplicandoli rendono possibile il contagio tra una storia e l’altra.

“A – La mia storia è migliore, il grado di pietà oggettiva è maggiore, muore una ragazza.
B – Anche qui muoiono, muoiono tutti.
A – Quando?
B – Nel seguito.
A – Non vale.
B – Stiamo a vedere.”
(p. 75)

Questa circolazione non avviene mai in modo letterale ed evidente: è un contagio metonimico; le tre storie segretamente si appartengono; A e B non potrebbero fare altro che permettere tale contagio; allo stesso modo, nell’Edipo Re di Sofocle, Tiresia, interpellato da Edipo, non può fare altro che ribaltare l’asse della storia dal fuori (la ricerca di un colpevole per lo scoppio del morbo in città) al dentro (il passato di Edipo, la sua sciagura involontaria). Assistiamo dunque a un’operazione consapevole, da parte dell’autrice, di manipolazione di strutture narrative classiche in vista di un effetto che ha a che vedere con la molteplicità.

Fuga e transfert
Nel romanzo coesistono voci, stili e registri diversi: il monologo interiore di padre-Gesù; i dialoghi di A e B in cui drammaturgia classica e teatro dell’assurdo si danno la mano; la voce in terza persona che segue la vicenda di Jungla con grande libertà stilistica, variando i toni a seconda dei contesti, senza mai variare tuttavia la posizione da cui parla: sempre molto aderente alla scena osservata – anche quando si alza in volo:

“Duca legge. Come i passeggeri della linea A, e della B e della C – che però cos’è com’è chi è che la prende – mentre al binario ci si ammazza per salire – sciopero – li licenziassero tutti – mentre la gente: si butta contro le rotaie per farla finita, cade, si disarticola, attraversa i binari in segno di protesta – pagano sempre i lavoratori – con mite temperatura: trentotto gradi già dalle prime ore del mattino, finestrini bloccati, si sviene, si impreca, ci si picchia, ma intanto – è gratis – legge che là fuori, nel mondo, a Roma:

Le pizzerie son lavatrici e dai palazzi della Fleming
i figli alle private, la cena al Pantheon, il gelato alla fontana di Trevi
ci si lancia nel vuoto.
Il parroco: quando l’uomo non ha dio (e non ha più la cartolibreria Volpi),
ha pure sempre
lo spaccio sulla Cassia
le coltellate al Quartaccio,
lo stupro al Torrino.
Sbocco di sangue libero nei corridoi del pronto soccorso.
Spontaneo come un happening dell’emergenza stabile.
Body art metabolica in corsie rosso-violacee
à la Cézanne
il degrado luminoso lungo
la via dell’esodo.
Sbigottito
sulla linea mediana tra la durata e l’estinzione
la residua, irreversibile, vita si autodigerisce”.
(pp. 103-104)

 

 

 

La sonificazione della vergogna indifesa mobilita e infuria

 

Questa molteplicità non è gratuita, al contrario svolge una funzione fondamentale: essa permette di spostare continuamente l’oggetto narrativo di lato, facendolo sfuggire; proprio attraverso questa fuga accade il transfert che è in qualche modo il messaggio del romanzo: la violenza non riguarda una ragazza specifica, ma ogni ragazza; essa abita ogni luogo che la voce osserva ed esplora e riguarda ogni uomo, il suo stesso sguardo; non si tratta dunque di né di una violenza né di una colpa specifica (per non aver saputo o potuto o voluto evitarla) ma della violenza e della colpa in sé.
Il modo in cui questo transfert accade – attraverso la frammentazione e la moltiplicazione delle voci e degli stili –, indica notevole maturità da parte dell’autrice nel maneggiare forme diverse e montarle insieme, nel rimandare a stereotipi narrativi e psicologici senza mai cadere nella trappola del cliché.
Di fatto, in Tu che eri ogni ragazza, Cocco ragiona anche su cosa voglia dire scrivere e costruire una storia: lo fa in modo ellittico e minimalista, mostrandoci i tagli e gli ingranaggi nudi, senza mai commentarli apertamente. Anche questa operazione metanarrativa non è gratuita – essa infatti è la chiave principale per aprire le porte della molteplicità –; tale operazione è inoltre estremamente delicata, e qui è in buona parte riuscita. Da un lato, infatti, il lettore non sente mai il peso della complessità che una riflessione del genere comporta: veicolare idee complesse restando chiari e leggeri è una dote di pochi, ed è un segno di padronanza e consapevolezza degli strumenti utilizzati. Dall’altro lato, la perfezione del procedimento metanarrativo richiede che, a un certo punto, il libro diventi l’oggetto stesso della narrazione: in Tu che eri ogni ragazza questo procedimento è sfiorato ma non realizzato del tutto; questo scarto – la scelta di non affondarvi dentro pienamente – alleggerisce il testo, ma gli sottrae dinamica: esso infatti comporta uno stallo e un appiattimento nella parte centrale del romanzo, quando, per evitare il confronto diretto con l’elemento metanarrativo, il testo ripete lo schema della frammentazione.