L’articolo di Jorge Carrión è apparso, in spagnolo, qui. Ringraziamo il New York Times per averci concesso il diritto di tradurlo e pubblicarlo su CrapulaClub.

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È un errore pensare che la gestione delle eredità letterarie fatta dalle vedove non sia letteratura. Come ci ha insegnato Pierre Bordieau, la letteratura è un campo attraversato da forze sociologiche in cui il potere, l’industria, la classe sociale e il genere sono importanti quasi come i testi stessi. La letteratura è anche la sua circolazione e le sue letture.

Tra la gestione di María Kodama e quella di Carolina López dell’eredità di Borges e di Bolaño, rispettivamente, esistono parallelismi chiari. Entrambe si sono affidate all’agente letterario Andrew Wylie. Entrambe hanno pubblicato un ingente quantità di materiale inedito. Entrambe hanno fatto ricorso agli avvocati per proteggere i propri interessi.

Dalle interviste a Kodama non si deduce in nessun momento che lei capisca realmente la poetica di Borges. Perciò la volontà del defunto (che l’esecutrice fosse lei) sembra entrare in collisione tanto con la sua stessa eredità (i temi borgesiani) quanto con i nuovi paradigmi della cultura (l’appropriazionismo, il remake, il remix, internet). Questa collisione si sta producendo in termini legali e non solo filosofici e artistici. Lo dimostrano l’accordo a cui sono giunti gli avvocati della casa editrice Alfaguara e quelli di Kodama, subito dopo la pubblicazione di El hacedor (de Borges). Remake, di Agustín Fernández Mallo — in cui l’autore spagnolo riscrive ogni poesia e ogni racconto del libro originale — che implicò il ritiro delle copie del testo e nella sua trasformazione in un’opera fantasma; e la battaglia penale contro l’autore argentino Pablo Katchadjian per El aleph engordado, che prosegue nei tribunali, tra altri casi che probabilmente non sono diventati pubblici.

Martedì 23 novembre è iniziato il processo contro Katchadjian. È accusato di “truffa”, un’etichetta generica usata per riferirsi a crimini come la frode. Secondo le ultime dichiarazioni dell’avvocato di Kodama, Fernando Soto, lo scrittore «Katchadjian dice che si tratta di un esperimento, ma non è così. Ha copiato e falsificato».

Un esperimento artistico, e anche uno scientifico, non è spesso proprio copia e falsificazione? Frodare significa causare un danno patrimoniale. Cosa intendono per “patrimonio” gli avvocati di Kodama? Il corpus borgesiano? Secondo La Nación, Soto ha dichiarato che il fatto che Katchadjian abbia pubblicato solo duecento copie di El aleph engordado è irrilevante, perché, se non ha frodato denaro, ha comunque frodato notorietà. Gli avvocati di Kodama hanno offerto allo scrittore sperimentale di pagare un peso simbolico, accompagnato da scuse pubbliche; e lui ha rifiutato. Significherebbe accettare che il suo libro è stato un errore. È stato, invece, un omaggio a Borges, un bell’esperimento letterario.

Nel capitolo di Fuera de campo. Literatura y arte argentinos después de Duchamp (Anagrama, 2006) dedicato a Borges, la critica e narratrice Graciela Speranza pone in epigrafe queste parole del maestro: “Se non ripeto gli altri, ripeto me stesso. Forse non sono altro che una ripetizione”. Borges si rivela il Duchamp della letteratura. Nel racconto “Pierre Menard autore del Chisciotte” compie un gesto equivalente a quello realizzato da Duchamp quando ha dipinto i baffi alla Gioconda e li ha poi tagliati: dimostra che due frammenti identici di Cervantes, separati da 300 anni di storia, hanno significati molto diversi. In un altro saggio imprescindibile, Los muertos indóciles. Necroescrituras y desapropiación (Tusquets México, 2013), Cristina Rivera Garza dice che anche gli scrittori del XXI secolo sono riciclatori, avvezzi al ready-made, ricreatori: gente “che si prende cura delle frasi da inserire, estirpare, citare, trascrivere”.

Ma le leggi della proprietà intellettuale, approvate in un mondo senza internet, non sono adeguate rispetto ai processi creativi di oggi. Invece proteggono perfettamente la proliferazione commerciale di testi con il marchio di autori famosi.

Dopo la selezione fatta da Borges per le sue Opere Complete, è sorprendente che Kodama abbia pubblicato così tanti libri inediti. Alcuni di essi dichiarano fin dalla copertina che si tratta di testi “recuperati”; altri, invece, convivono sugli scaffali delle librerie con i suoi titoli fondamentali. I tre libri inediti di Roberto Bolaño (Il Terzo Reich, I dispiaceri del vero poliziotto e El espíritu de la ciencia ficción) sono in realtà progetti incompleti che non andrebbero confusi con le sue opere principali. Il fatto che Bolaño non li abbia distrutti non vuol dire che avrebbe voluto che fossero pubblicati da Anagrama o da Alfaguara come libri conclusi. Il suo archivio avrebbe potuto essere prestato o venduto a una prestigiosa università nordamericana, accessibile a chiunque avesse voluto studiarlo. I romanzi incompleti avrebbero potuto essere pubblicati in un volume di “Testi recuperati”, chiarendo così fin dal titolo che non sono all’altezza del resto della sua produzione letteraria.

Dopo alcune interviste in cui aveva parlato della sua funzione, López ha pubblicato di recente un articolo su tali questioni. Da esso si deducono due dati: da un lato, che non ha un livello troppo alto di capacità redazionali; dall’altro lato, che ha un problema grave con Carmen Pérez, l’ultima compagna o amante di suo marito. Il primo dato è irrilevante per il buon esercizio della sua professione (educatrice sociale), ma fa sorgere dubbi sull’esercizio della sua funzione di curatrice editoriale dei testi originali di Bolaño. Il critico e editore Ignacio Echevarría non è un santo a cui sono devoto, ma sarebbe stato senza dubbio un migliore esecutore letterario dell’eredità bolañesca. Questo vuol dire che, nominando lei e non lui, Bolaño potrebbe aver fatto il meglio per i suoi figli, ma forse non per la sua opera. Il secondo dato si manifesta in modo freudiano (dice che non dirà quello che, alla riga successiva, dice) e non è altro che un’eco di un’azione che i suoi avvocati hanno già portato a termine: minacciare per iscritto, oltre che Carmen Pérez stessa, giornalisti e editori che hanno menzionato l’amante del marito in articoli e libri.

Per comprendere le azioni di López e Kodama mi ritrovo solo un’opzione: la rilettura radicale della storia dell’appropriazione. Se è certo che tutti gli artisti hanno copiato, adulterato, sperimentato, frodato, truffato — alla fin fine: creato —, è a partire da Walter Benjamin, Marcel Duchamp e Jorge Luis Borges che l’appropriazionismo diventa contemporaneo. Della svolta più radicale è protagonista Sherrie Levine nel 1981, quando espone alla Metro Pictures Gallery di New York After Walker Evans: fotografie delle fotografie di Evans (il famoso fotoreporter della crisi del ’29). Fu denunciata dagli eredi di Evans. Donò le immagini allo Stato. Ora si trovano al MOMA, che custodisce molti ready-made.

Un doppio giro di vite l’ha dato l’artista spagnolo José Manuel Ballester, che nel 2007 ha iniziato il progetto “Espacios ocultos”. Ha fotografato grandi opere della pittura universale e, pazientemente, le ha svuotate dei personaggi. Così “Il giardino delle delizie” di Hieronymus Bosch si è trasformato ne “Il giardino disabitato” (2008) e “Cristo agonizzante con Toledo sullo sfondo” di El Greco si è trasformato in “Lugar para la crucifixión” (2013).

Non è esattamente la doppia operazione che stanno realizzando Kodama e López? Da un lato stanno cancellando i vari amici e amiche di Borges e di Bolaño. Dall’altro si stanno appropriando dei loro testi. Guardo la pagina dei diritti delle Obras completas. Edición crítica (Emecé, 2009) e mi ritrovo “© 1989, María Kodama”. Guardo quella di El espíritu de la ciencia ficción (Alfaguara, 2016) e leggo: “© Herederos de Roberto Bolaño” e, nella pagina successiva, “Para Carolina López”.

Ma senza dubbio Kodama si spinge ancora più in là, è molto più borgesiana. Ha appena pubblicato per Lumen Homenaje a Borges, alla cui pagina 201 racconta di quando, ancora bambina, si innamorò di lui, e cita questi versi: “I can give you my loneliness, my darkness, the hunger of my / heart; I am trying to bribe you with uncertainty, with danger, with defeat”. E a pagina 258 racconta lo stesso episodio e cita questi altri versi: “I can give you my loneliness, my darkness, the hunger of my / heart; I am trying to bribe you with uncertainty, with danger, with defeat”. Tutti e quattro sono di Borges. Ma la seconda citazione è senza dubbio superiore alla prima. Scritti in inglese da uno scrittore argentino negli anni ’30, i versi possono essere letti sia come un omaggio alla sua altra lingua letteraria che come un gesto snob. Riprodotti doppiamente, nella nostra era del copy and paste, da colei che custodisce i diritti di riproduzione: il gesto può essere interpretato solo come una genialità appropriazionista. Kodama ripete il procedimento di “Pierre Menard, autore del Chisciotte”, ma lo fa al riparo della legalità. Doppio giro di vite. Doppio salto mortale.

Incoraggiato dalla perversa argomentazione che sto costruendo, inizio a vedere Kodama e López come appropriazioniste, in un modo nuovo, non ancora codificato dalla storia dell’arte. Magari in 2666 sarebbero considerate artiste punk, strateghe concettuali che si sono vendicate dell’eteropatriarcato, del canone maschile, della stupida fede della nostra epoca nell’autorialità.

Ma non dimentichiamoci che i morti sono inquieti.

E che ne “L’Aleph” Borges incorpora, copia, parodia elementi de L’Inferno di Dante, in cui nel quarto girone si trovano gli avari, nel sesto risiedono gli eretici, nell’ottavo — infine — ardono i fraudolenti, così vicini a Lucifero, eternamente congelato.

Che fortuna che non esistano inferni di questo tipo.

O che non siano metafisici, ma solo mentali.

Così tanto umani.