Di fronte all’Anabasi di Senofonte si resta impietriti.
La letteratura epica era già tramontata – Senofonte scrive nel V sec. a. C. – o, più precisamente, si era trasformata e differenziata nei generi: lirica monodica, corale, filosofia, storiografia (Erodoto, prima ancora di Senofonte, non Tucidide, è il più grande testimone e poeta di questa trasformazione. E ancora altri generi: retorica, politica.
Poi viene Senofonte – la sua opera molteplice, come l’ingegno di Odisseo, come le facce dell’epica. Viene e anticipa. Sta prima, secoli avanti, di Cesare e la sua famosissima 3° persona, per creare il distacco dagli eventi, l’occhio lungimirante. Anticipa un certo modo, che sarà alessandrino, di intercettare l’aneddoto e farlo breve, asciugarlo all’osso e inserirlo all’interno di un “genere” più ampio, di un’opera dal respiro mediterraneo, ecumenico. Senofonte, tra l’altro, inaugura il ruolo dello “storico di corte”, tuttavia egli non parte con l’intenzione di narrare (nell’opera non viene mai detto).
E quindi, tornando all’inizio: l’epica. L’Anabasi ne ricalca tutti i piani: assoldamento di vari contingenti, inizio della spedizione, inizio della guerra, morte del condottiero (Ciro) e ripresa delle ostilità, lunghi dialoghi tra i comandanti, massacri, razzie, morti atroci, l’oppressione del nemico, la malinconia per il ritorno in patria. E inoltre: i soldati che intonano il peana (il canto di guerra in onore di Apollo), i riti sacrificali per intraprendere una battaglia o anche solo guadare un fiume.
È un’opera ancora ateniese, scritta da un ateniese e nella quale si evincono in più passi le stesse considerazioni che si trovano in Erodoto, con la lingua del vincitore, e in Tucidide, con quella del tragico. Eppure Senofonte, allievo e frequentatore di Socrate, da questi trae l’ironia, mai petulante come quel del maestro (ovvero Platone, precursore di Socrate), e quest’ultima striscia proprio in quei conflitti minimi tra le varie etnie, in particolare tra Lacedemoni e Ateniesi – ironia, che non risparmia neanche lo stesso Socrate, quando Senofonte prenderà la decisione di partire per la spedizione.

***

I, 3

Dopo di lui parlò Clearco in questo modo: «Nessuno tra voi mi dica che sarò io a capo di questo esercito (pertanto ci sono molte ragioni per cui secondo me questa scelta non si deve compiere), ma obbedirò il più possibile all’uomo che sceglierete, poiché sappiate che so essere comandato come chiunque altro uomo. […] Se partissi, senza il consenso di Ciro, vorrei allontanandomi passare inosservato. Ma non è possibile.»
[…]Che li conducesse con il re, neanche allora nessuno lo sentì dire, almeno in modo piuttosto evidente.

I,7

E in quell’occasione così Clearcò interrogò Ciro: «Credi dunque, o Ciro, che tuo fratello combatterà contro te?» «Certo, per Zeus» disse Ciro «Se è il figlio di Dario e Parisatide, mio fratello, non gli prenderò ogni cosa senza combattere».

I,8

Tutti questi (divisi) per stirpi marciavano, in un solido squadrone rettangolare ogni etnia umana. […] L’intenzione era di avanzare contro le schiere dei greci e sfondarle.

II, 1

Allora a Ciro vengono tagliate la testa e la mano destra.

II, 1

Era già l’ora in cui la piazza si riempie.

III, 1

Nell’esercito c’era anche un ateniese, Senofonte, che non li seguiva come comandante o generale o soldato semplice, ma Prosseno l’aveva fatto venire in qualità di suo antico ospite. Gli promise, se fosse andato (in spedizione), che lo avrebbe reso amico di Ciro, che Prosseno stesso disse di ritenere più importante della patria. Dunque, Senofonte avendo letto la lettera, si consultò sul viaggio con Socrate l’ateniese. E Socrate, sospettando che sarebbe stata fonte di accusa da parte della sua città diventare amico di Ciro, poiché pare che Ciro abbia combattuto volentieri con i Lacedemoni contro Atene, consiglia a Senofonte di andare a Delfi a consultare l’oracolo sul viaggio.
Recatosi a Delfi, Senofonte chiese ad Apollo a quale dio sacrificare e rivolgere preghiere […]. Quando tornò di nuovo ad Atene, racconta il responso dell’oracolo a Socrate. Questi, dopo averlo ascoltato, lo rimproverò perché prima avrebbe dovuto chiedere quale di queste due cose sarebbe stata migliore se compiere il viaggio o rinunciarvi, ma che egli (Senofonte) avendo già deciso che era necessario partire, si fosse informato su come compiere il viaggio nel modo migliore.

III, 1

«Infatti la disciplina pare che salvi, mentre la mancanza di disciplina ha già rovinato molti uomini».

III, 2

«Io stesso, uomini, ho fatto questa considerazione: quanti cercano di sopravvivere in ogni modo in guerra, questi muoiono duramente e vergognosamente nella maggior parte dei casi; quanti invece hanno capito che la morte è un inevitabile destino comune a tutti gli uomini, a ragione di ciò lottano per morire degnamente, vedo che questi in qualche modo arrivano di più alla vecchiaia e, finché vivono, conducono una vita più felice».

IV, 3

Quando furono sul luogo per il guado e lungo le sponde del fiume, posarono a terra le armi e Clearco per primo incoronatosi e dopo essersi spogliato prendeva le armi e diede l’ordine a tutti gli altri (di fare lo stesso), e comandò ai generali di reparto di condurre le schiere ordinate, alcuni alla sua sinistra, altri alla sua destra. Intanto i nemici scagliavano con l’arco e le fionde, ma non li raggiungevano in alcun modo. Quando infine le vittime sacrificali furono favorevoli, tutti i soldati intonarono il peana e gridarono forte, insieme a loro urlarono anche le donne; infatti c’erano molte prostitute nell’esercito.

IV, 6

«Non mi sembra che sia impossibile sottrarre con un inganno[1], poiché si può partire di notte, per non farci vedere, e si può stare a distanza così da ottenere la sorpresa. […] In fondo, in che modo interpreto riguardo a sottrarre con l’inganno? Io, Chirisofo, so che voi Lacedemoni, quanti appartenete agli uguali, fin da bambini vi esercitate a sottrarre con l’inganno, e sottrarre con l’inganno cose che la legge non vieta, è una circostanza senza vergogna e bella. E si fa in modo che possiate più facilmente sottrarre con l’inganno e riuscire a nascondervi, data la vostra usanza, se foste scoperti mentre sottraete con l’inganno, di essere frustati. Ora senza dubbio ora è l’occasione di dimostrare la vostra educazione, e guardarsi dal farci scoprire a sottrare con l’inganno i monti, senza prenderci frustate».

IV, 7

A Senofonte sembra che stia accadendo qualcosa di molto importante, e montato a cavallo e prendendo con sé Licio e i cavalieri, va in soccorso; e all’improvviso sentono i soldati che gridano: “Mare! Mare!”

IV, 8

«Uomini, questi che vedete sono i soli che ancora ci ostacolano per giungere là dove da molte tempo desideriamo essere; questi, se mai ci fosse possibile, dobbiamo mangiarceli crudi!»

V, 2

Quando intonarono il peana e la tromba risuonò, tutti insieme gli opliti levarono il grido per Enialio e si slanciarono nella corsa.

V, 2

E la notte s’era fatta più terribile, mentre calava.

VI, 5

«Perciò è meglio combattere ora che abbiamo mangiato che domani a digiuno. Uomini, i riti ci danno buone notizie, il volo degli uccelli è favorevole e le vittime sacrificali bellissime; scagliamoci contro questi uomini! E poiché ci hanno visto, non è più necessario che mangino con piacere o che si accampino dove vogliono».

VI, 5

A quel punto fu fatta passare la parola d’ordine: «Zeus Salvatore, Eracle Guida».

VII, 4

Per la comunanza di stirpe dissero la parola d’ordine “Atene”. E dopo aver tenuto questi discorsi, andarono a dormire.


[1] Il verbo klepsai (infinito di klepto) significa “rubare”, ma anche “tendere trappole” o “inganni”. Volendo contestualizzare la ripetizione quasi da commedia di Senofonte, il significato più pregnante è “sottrarre con l’inganno” le posizioni dei nemici che, per l’occasione, fuggono in pianura, mentre i greci inseguono sulle montagne. Non è da sottovalutare un dettaglio fondamentale: Senofonte, ateniese, parla a Chirisofo, capo dell’esercito dei greci e spartano. Senofonte con schiettezza lo scherza, imputandogli un carattere che, storicamente e letterariamente, è sempre stato attribuito agli ateniesi, cioè l’arte dell’inganno. Insomma, Senofonte dà prova qui di applicazione della retorica più pura, più sofistica e irridente. E infine, riesce nel suo scopo.