Prima di leggere I crimini dell’amore, gli unici contatti che ho avuto con la figura di Sade sono stati una lettura curiosa e un po’ annoiata della prima Justine a sedici anni, una lettura un po’ meno annoiata e molto più scettica della Nuova Justine, una visione a pezzi del Salò di Pasolini e una comparsata del Divin Marchese, incarnato in maniera seducente da Michel Piccoli, ne La via lattea di Buñuel.
Mi ricordo che in Justine mi piacque tanto il personaggio di Juliette. Questa, cortigiana ricca che ha vilipeso ogni forma di virtù, salvata la sorella Justine buona e sfortunata e per poi vederla morire colpita da un fulmine, non solo si ritira in convento per concludere la vita come esempio di pietà, saggezza, ed equilibrio di costumi, ma coinvolge nel cambiamento anche il suo amante e protettore de Corville che diventa una figura politica giusta e rispettata.
Mi piace pensare che questi “convertiti” dal vizio alla virtù siano i veri eroi morali sadiani, e che la vita infelice di espiazione che li aspetta sia votata alla consapevolezza. Se i virtuosi appaiono stupidi oltre ogni dire, anche i malvagi rasentano spesso la macchietta; e il fascino dei personaggi di Sade emerge quando questi oscillano tra la pulsione alla malvagità e il dovere verso il retto comportamento.

Quello che ho in mente è un capolavoro della ragione.

Il motore narrativo e filosofico che muove le vicende raccontate in Eugénie de Franval, Florville e Courval e Dorgeville è l’incesto. La ragione diventa un sistema sofistico atto a giustificare un dato sistema morale, che si chiami vizio o virtù poco importa: quasi ogni personaggio sposa tale sistema morale coltivando in sé, allo stesso tempo, il suo esatto contrario (la signora de Franval, la cui prontezza a perdonare e riaccogliere il marito aumenta in maniera direttamente proporzionale alle atrocità da lui commesse, o Courval, che non si capisce se sia più attratto dalle grazie o dalle disgrazie della futura moglie, o Dorgeville, pronto a condannare la supremazia maschile ma in cerca di una moglie del tutto dipendente da lui), in balìa di una pulsione che, a prescindere che si rivolga verso l’alto o verso il basso, tende sempre e comunque all’assoluto, finendo per divorare e sottomettere ogni forma d’intelligenza e, con essa, di responsabilità.

Le cose si fanno più etiche e al contempo ambigue quando entrano in scena personaggi che, pur schierandosi con il bene o con il male, non si fondono in toto con i valori adottati, ma mantengono uno spirito critico, individualista, e, soprattutto, si rivelano capaci di portare avanti le loro tesi morali (o immorali) anche adottando il linguaggio della controparte; se da una parte abbiamo una totale adesione alle pulsioni (vita viziosa) contro una totale negazione delle stesse (vita virtuosa), è con l’incontro dei due valori e dei due rispettivi linguaggi che Sade si dimostra eccellente indagatore di una morale malvagia e limitante di per sé.

Ecco su cosa fondo il mio giudizio… l’interesse degli uomini: è questo il movente delle loro azioni, la molla di tutti i loro comportamenti. Dove lo scorgo, subito si accende per me la fiaccola della verità. Sono quasi quarant’anni che mi servo di questo criterio, e non mi ha mai ingannato.

Solo coloro che credono hanno motivo di temere la morte, figlia mia. Tormentati dal pensiero dell’inferno e del paradiso, incerti su dove finiranno, sono consumati dall’ansia. Io che non spero nulla, sicura di non essere più infelice dopo la morte di quanto non lo fossi prima della mia nascita, mi addormenterò tranquillamente in seno alla natura, senza rimpianti e senza dolore, senza rimorsi e senza inquietudine.

Se l’esercizio della virtù non è altro che la debolezza che diventa prevaricazione e il vizio è adesione totale e appassionata allo stato delle cose in Natura, concentrarsi su corpo e cuore può aiutare a gestire la battaglia invece di restarne vittime. La decisione di molti personaggi di condurre una vita ritirata, come la già citata Juliette, equivale a tirarsi fuori dai giochi, a rifiutarsi di soggiacere sia alle imposizioni sociali (nobili e virtuose) sia a quelle naturali (malvagie e viziose), trovando un proprio modo di essere e di vivere, senza negare la propria oscurità e senza lasciarsi governare da essa.
Il libertinaggio acquista il sapore di una libertà più viva, e piena.

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Marchese de Sade
I crimini dell’amore (1800)
A cura di Filippo D’Angelo
Roma, L’orma, 2014
pp. 216