Dalla morte di Roberto Bolaño a oggi sono circa sette anni. Da allora il suo cassettino – il computer suo o chi per lui – è stato girato e rigirato, rovistato e in ultimo fatto oggetto di sequestro. Bolaño è morto scrivendo, all’incirca, dando al suo editore spagnolo (Jorge Herralde di Anagrama, un editore prestigioso e valiente, presso cui la crème della letteratura ispanoamericana no comercial si è rifugiata e si rifugia come uno degli ultimi luoghi possibili) materia di pubblicazione per molti anni a venire. Poco dopo la sua morte – scrivendo – fu pubblicato il romanzo 2666 (un romanzo infinito, à la L’uomo senza qualità); l’anno scorso è uscito, in Spagna, El tercer reich. Qualche settimana fa, in ultimo, un altro romanzo, Los sinsabores del verdadero policía (a ciò si aggiunge un libro di poesie, La universidad desconocida). Vai a sapere fino a che punto tutto ciò non è puro marketing: Bolaño stesso era un puto, aveva richiesto nel suo testamento che 2666 fosse pubblicato in 5 parti per assicurare ai suoi figli più lucrativa eredità. Aveva persino, per sua propria ammissione e con certa cognizione di causa, abbandonato la poesia e abbracciato la narrativa per mangiare, per meglio quagliarla. Dall’altro lato, però, che una volta all’anno, con ricorrenza rituale, il suo pur prestigioso y valiente editore spari una nuova pubblicazione un po’ puzza. O no? Chi sa, prima di azzardare qualunque parola – magna res tacere – forse meglio leggerselo, ‘sto nuovo romanzo postumo, e lasciare le questioni di principio a chi può.