Il fatto è che quando mi sveglio la prima cosa la vedo lì acciambellata fuori dalle coperte con nemmeno dieci gradi, un freddo non freddissimo ma degno di piumone. E poi lei è donna, le donne hanno sempre più freddo. Sono le nove di una domenica di dicembre, lei si è sempre svegliata prima di me: dorme. Le accarezzo la schiena nuda, premo sulle vertebre perché mi piace, lei apre gli occhi a metà poi li richiude e infine sculetta.

Amore sono le nove, meglio che ti svegli ora che poi ci pensano quelli della madonna dell’arco.
Ffffffff
Vabbe’, preparo il caffè.

Prima di andare le appoggio una copertina di lana sul corpo nudo magro caldo e bianco e lei ci si infila dentro con tutta la testa e i lunghissimi capelli scuri e io sorrido. Non ho ancora capito niente ma certi gesti quando li vedi il minimo è che sorridi.
Mentre preparo il caffè penso alla felicità e ai momenti perfetti. Sono cose cui si può pensare solo di domenica, dopo una settimana di lavoro frenetico e nel pieno di una giornata di pace che se poi c’è il sole, e ora c’è, allora bene così: compagna nuda dopo notte di sesso, sveglia di mattina tardi, silenzio intorno, giornata senza niente da fare, luce che dalle finestre filtra, è questa la felicità: una domenica mattina che si prepara il caffè per due senza dover fissare l’orologio.

Io di domenica sono Diego, dal lunedì al sabato invece sono uno che sta alle casse di un ipermercato con tanto di divisa e targhetta con nome che nessuno pronuncia a eccezione dei colleghi. Ho studiato abbastanza da avere un’anima esigente e da poter pensare a felicità società arte storia e altre parole così con una certa finezza. Abbastanza che quando ho visto la prima volta su una fermata dell’autobus sette anni fa Daria che starnutiva e si soffiava il naso lasciando cadere Stoner potevo prendere Stoner da terra porgerglielo e dirle

Gran libro, lo leggerò
E come sai che è un “gran libro”? Non l’hai letto.
Lo stanno leggendo tutti
E che significa? Ti piacciono le cose che piacciono a tutti?

Daria dal primo momento fu subito così: due battute e ti ammutoliva, poi tu dovevi cercare di recuperare, poi lei ti avrebbe ammutolito in tanti altri modi e se capitava, quando capitava, che tu riuscivi a dire qualcosa da wow allora lei trovava un modo tutto suo per non farti sentire da wow: divaricava le lunghe labbra e dal labbro superiore veniva fuori una dentatura bianca e dritta e tra le gote e il mento si formavano delle fossette e ti accorgevi di un neo sul lato sinistro del mento che faticavi a non toccarlo e poi dalle labbra passavi agli occhi castani che dentro avevano qualcosa tipo tutta la storia di Alessandro Magno che io ho sempre amato con tutte le cose meravigliose che lo riguardavano nella versione di Plutarco che non importava distinguere il vero dal falso e vedevi anche il nodo gordiano che eri tu pronto a resistere a tutto ma non a lei Alessandro che brandendo una spada magica che manco excalibur con un colpetto facile il nodo è sciolto, morto, la amo già nell’autobus dopo averle sciorinato la mia conoscenza in letteratura americana prima e dopo Stoner a lei presumibilmente ignota lei mi guarda mi sorride eroica dall’alto di uno stato epico tutto suo e zac, morto, da quel giorno la amo.
Le porgo il caffè fumante

Amoreeeee

Fuori il mondo grida la madonna dell’arco, Daria caccia la testa dalla copertina e non le si vede il viso tutto coperto dai capelli ondulati lunghi e io allora glieli scosto e lei mi dà un morsetto al dito,

ma che fai, amore?
Fffffffff

Si è svegliata gattina, sarà un gioco erotico, subito poso il caffè mi tolgo il pigiama e nudo peloso come sono mi lancio pronto a tutto sul corpo suo, è domenica e siamo felici.
Non l’avessi mai fatto.
Mi prende a unghiate tanto che ho la pelle del petto rossa e mi arriva una manata in faccia tanto che mi ronza l’orecchio e io allora dimentico la felicità:

Daria, ma che cazzo fai?
Miaoooooooo

Una gatta, Daria è una gatta.
A quel punto mi si ammoscia tutto e poi di nuovo tutto sull’attenti. È che ha quegli occhi del desiderio cioè non spalancati e che mi guardano di traverso con un sorriso a bocca chiusa appena accennato e io in quegli occhi suoi in quel momento ci vedo campi di battaglia e animali baldanzosi pronti a scornarsi e sangue versato per nuovi territori e tante femmine e io a tutto quello che vedo non posso mica resistere. No. Proprio no. Ora mi lancio di nuovo alla conquista di Daria pronto a infilarci bandiera e

Cazzo Daria, mi hai fatto malissimo

Mi alzo in piedi e saltello tutto nudo e con le lacrime agli occhi, Daria mi ha dato una zampata proprio lì, tra le gambe, che fa un dolore cane.
Sorbisco il caffè, amaro come la vita, la giornata fa schifo. Ci vuole poco a cambiare lo stato di cose. Tipo Daria di nuovo acciambellata nuda accanto a me come se niente fosse dopo avermi pestato. Che cazzo le passa per la testa, boh. Prendo il libro dal comodino, meglio distrarmi.
Leggo uno, due, tre, quattro pagine.
Mi ritrovo le mani piccole e le braccine pelosette di Daria sulle mie cosce. Mi giro e la vedo che mi fissa in una posizione animalesca da sfinge a petto in giù e culo in su. Vorrei toccarle il culo, in basso mi si smuove di nuovo tutto, non ce la posso fare, uscire dal libro in questo modo è un trauma bellissimo. La guardo, le sorrido e lancio le mie mani verso quel culo sodo e carnoso e appena lo sfioro uh, manata sul muso

Dariaaaaaaa, cazzo ti prendeeeeee?

Non dice niente, solo ride e nei suoi occhi cani e gatti antropomorfi hanno brandito le spade e combattono e parlano in latino medievale in una maniera devo dire abbastanza inverosimile. Ma io capisco tutto.
Mi tocca fare il cane.
Abbaio che mi sento uno stronzo e tra me e me dico “che si passa per scopare e per amare…” e saltello sui quattro arti nonostante il mio metro e ottanta quasi, tanto che il letto cigola e Daria fa un passo indietro e inarca la schiena e sembra abbia una coda che si rizza e ora mi guarda come una pazza e negli occhi ci vedo solo rosso porpora.
Tutto ciò mi inquieta.
Non sono per niente eccitato.

Daria, non mi piace questo gioco, smettiamola.

Mi metto seduto sul bordo del  letto, testa a muro, con una faccia seriosa che manco Seneca ai tempi di Nerone.
Io sono uno che quando si fa serio viene in mente la cinematografia sovietica. Non c’è verso di trovare un’apertura e poterci infilare una risata. Per questo cerco sempre ossessivamente delle fenditure nella vita in cui ridere e credere che vivere è la cosa più bella che possa capitare, la cerco soprattutto dietro la cassa con la gente che sfila e le merci e i denari che tocco e il tempo lento come un lago d’estate il vento assente l’afa che assale. A casa no, c’è Daria la amo e l’amore impedisce al bianco e nero e alla povera gente stracciona dell’est di prendersi il mio sguardo. Ma ora.

Miaooooo
Cazzo, basta Daria!
Miaoooooooo, ffffffffffff

Ce l’ho incollata a me, calda bollente nonostante il freddo intorno. È una situazione da tortura averci addosso la mia Daria bellissima che di solito il sesso è il suo elemento principale che scopiamo quasi tutti i giorni che quando torno a casa dimentico la fatica gravosa della noia e vorrei subito saltarle addosso che quando la sfioro il sangue mio ribolle e mi sale la febbre di lei che quando le tocco il culo potrei anche morire che quando mi lecca le dita potrei morire rinascere e di nuovo morire che quando mi fissa coi suoi occhi epici credo alla trasmigrazione delle anime e alle aurighe di Platone che quando mi accarezza mi sento Bucefalo che insomma lei Daria è il significato della mia vita che ha contagiato il significante, cioè io, fino a farmi sospirare più e più volte ah l’amour… cazzo, ti voglio…
Non sono più serioso, assalto di nuovo, ancora unghiate e manate.
Mi fermo: eccitato, dolorante, dolente, speranzoso, disperato. Che domenica di merda.

Daria, cosa devo fare, dimmi tu.
Miao.

Dopo tutto questo mi guarda con un viso beato, boh.
Le afferro le spalle per scuoterla, mi arriva un morsetto piccolo ma penetrante al collo e quanto dolore

Ahiaaaaaaa

Daria si gira, mi volta le spalle, posso immaginare la coda che danza lenta e superiore come un cobra. Io non so, mi sento impotente. Cioè no, impotente no, il mio sesso è confuso e si irrigidisce e si rilassa di continuo, poverino. Mi devo alzare e uscire, è l’unica cosa. Lasciarla lì a letto e assentarmi e poi tornare sperando sia tutto finito. Ora sta ronfando, ma guarda…
Mi vesto.

Daria, io esco.

Non mi caga proprio. Continua a dormire acciambellata, che tipo.
Prendo il borsello e le chiavi, farò due passi per calmarmi e distrarmi da una situazione che devo dire è abbastanza inedita, anzi, senza abbastanza. Chiudo la porta alle mie spalle. Ho dimenticato il portafogli. Rientro, mi dirigo allo studio che anche se sono solo un cassiere mi piace averlo come rifugio, prendo il portafogli, vado di nuovo in stanza da letto non sia mai le cose siano cambiate.
Il letto è vuoto.

Dariaaaaa, dove seiiiii?

Nessuna risposta, nessun miagolio.
Torno in corridoio, la porta è aperta, cioè: ho lasciato la porta aperta e Daria non c’è più.
Oh, cazzo.
Chiudo la porta, mi spoglio, metto il pigiama, mi infilo sotto le coperte, fino a coprire la testa. Piango.
Dove sei Daria. Non ti troverò più.
Sono un film coreano di fine anni novanta al culmine della disperazione dopo pochi inutili sottotitoli. Solo, dolente, le contraddizioni dell’oriente non più terzomondista, la felicità sgattaiolata via.

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In copertina: Albrecht Dürer, Peccato originale (1504), incisione (25,2×19,4 cm).