CrapulaClub ha un debito nei confronti di Ricardo Piglia (Adrogué, 24 novembre 1941 – Buenos Aires, 6 gennaio 2017). Un debito inestinguibile. che proviene da un breve saggio, che è di fatto l’oggetto che contiene questa minuscola, atomica, eredità. Parlo di Tesi sul racconto.
Un testo brevissimo, fatto di periodi veloci, in cui si parla solo di tecnica del racconto, non c’è altra fuga dal discorso. La costruzione del racconto, ci insegna Piglia, rappresenta il modo in cui si configura la fuga stessa. Principalmente fuga dalla realtà, perché scrive finzioni è opporsi alla realtà.
Si sente dire spesso che uno scrittore che voglia imparare a scrivere deve andare a scuola dagli altri scrittori, imparare da loro. Chi meglio di loro? Piglia – e questo per chi scrive è il suo lascito più importante – suggerisce in più che un buono scrittore è necessario che impari innanzitutto a leggere.
E il lettore come si rappresenta in Tesi sul racconto? Di fatto il lettore non c’è, ma Piglia suggerisce un’ipotesi: se il lettore fosse la realtà che lo scrittore vuole convincere della finzione? Una risposta potrebbe essere che la vita acquista pienezza grazie a un senso che si ricava da quel che si è letto in una finzione (L’ultimo lettore, Feltrinelli 2007). Un’altra potrebbe essere che lo scrittore spinga il lettore alla fuga, mentre lui non può fuggire, lo scrittore deve restare. E ciò che resta di lui è il libro. In due parole: tecnica e invenzione. La terza risposta, forse quella più convincente, è che il lettore di Tesi sul racconto è lo scrittore.
Piglia mi ha mostrato questo piccolo dettaglio, facendo luce su un aspetto della lettura come metodo, come si potrebbe mostrare a un bambino il modo in cui incastrare un pezzo rettangolare in un buco della stessa forma.

Infine, c’è un aneddoto legato alla lettura di Tesi sul racconto.
Nel 2014 stavamo cercando un tema per il n° 4 di Ô Metis. Alfredo Zucchi ci disse che c’era la possibilità di tradurre un breve saggio di uno scrittore argentino. Ottenuto il via libera per la traduzione, Alfredo se ne occupò e leggemmo il testo anche io e Anna Di Gioia (che nel 2014 era ancora con noi). Decidemmo di parlarne su Skype. C’era un’aria buona. Anzi l’aria era così buona che la discussione diede subito i frutti sperati: tema di O Metis, titolo del numero, un’intervista a Piglia (di cui ci restano solo le domande, poiché di lì a poco venimmo a sapere della sua malattia e delle ovvie difficoltà di comunicazione). Poi i toni della chat salirono quando commentai sfacciatamente un passaggio del saggio su Kafka. Pro e contro Piglia, pro e contro Kafka, pro e contro tutto e tutti. La chat si chiuse con un mio eloquente (e ora piuttosto spassoso) “Viva l’Europa!”, che non s’era mai sentito così neanche nel salotto di M.me de Staël.