Vabbe’, insomma, mi piacciono le chiese.
In che senso?, mi fa.
Non lo so in che senso, gli dico. Nel senso che le chiese sono la prima cosa che vado a visitare quando sono in una città nuova.
Ti faccio un esempio, guarda.

Due o tre anni fa, gli dico, stavo in questa città che ora non ricordo qual è. Camminavo con la mia ragazza. A un certo punto ci trovammo in una via, come dire, una via secondaria, e proseguimmo: guardavamo i balconi, i portoni di ingresso delle case, queste cose qui. Alcune volte in queste vie ci trovi dei palazzi signorili molto belli. Vabbe’. Mentre proseguivamo in questa via spuntammo in un piccolo cortiletto, tutto in pietra, e dentro c’era una chiesa, piccola, niente di che. Una chiesa come tante, di quelle che io chiamo le chiese che servono, come serve una farmacia, o il supermercato, o il ferramenta, per intenderci. Vabbe’. Allora io e la mia ragazza entrammo, e la chiesa, dentro, era proprio come fuori. Senza molte pretese. Tre navate, classico, ma le navate laterali erano piccole, dei corridoi striminziti. L’altare era bello. Ora non mi ricordo com’era esattamente, ma mi ricordo che mi piacque. Alle pareti c’erano dei bei quadri. Dopotutto dentro non era brutta come chiesa. Era accogliente. Mi ricordava una mansarda. Quanto mi piacciono le mansarde. Quelle tutte in legno, con il tetto scosceso, che per aprire la finestra devi piegarti e abbassare la testa. Bellissime le mansarde. Vabbe’. Stavamo per uscire dalla chiesa, ci girammo, e prima di prendere l’uscita vedemmo sopra alla porta d’ingresso un balcone. Un balcone bellissimo. Era grande, spazioso, profondo. Sembrava, sai, il palchetto del re che sta in certi teatri. Era decisamente la cosa più bella in quella chiesa. Mi accorsi che questo balcone, però, non sembrava avere dei punti di accesso. Tant’è che mi ricordo di aver chiesto alla mia ragazza se lei vedesse qualcosa. “Si entra da lì”, disse un signore anziano che evidentemente ci aveva sentito parlare. Ci indicò due punti ai lati del balcone. Erano due porticine, ma piccole. Strette. E ‘ste due porticine stavano incastonate nei muri laterali della chiesa, ecco perché non si riuscivano a vedere bene. “Se volete, vi spiego che cos’è questo balcone”. E ci spiegò, insomma, che questo era il balcone da cui si affacciava il re per sentire la messa. Si parlava di una cosa risalente al milletrecento. Il re seguiva la messa soltanto da qui sopra, e appariva all’improvviso durante la celebrazione. Alcune volte non appariva proprio. Il balcone per lui era fondamentale, perché il re non usciva mai, disse il signore anziano, non usciva mai per strada, perché aveva paura di essere ucciso. Così aveva fatto costruire un corridoio che dal suo palazzo, dai suoi appartamenti, arrivasse direttamente alla chiesa, proprio a questo balcone. E quindi il re poteva andare a messa senza mai uscire da casa sua. Entrava da quella porticina, disse il signore anziano, e usciva da quell’altra, verso un altro corridoio che passava per altri luoghi della città, fino a ritornare, a cerchio, nel palazzo dove il re viveva.

Pensa che bella quella città, gli dico. Sì, le piazze, i monumenti, il museo civico… Ma quella era una città in cui il re si nascondeva, e camminava attraverso passaggi segreti, e andava a messa in quella chiesetta anonima. Bellissimo, no?
Quindi ci credi in Dio?, mi fa.
No, gli dico, io non credo in Dio.
Ma hai detto che ogni tanto ti fermi a pregare, mi dice lui.
Sì, è vero, gli dico. Ma solo perché mi piace guardare le persone che pregano.
Cos’hanno di bello?, mi fa.
Sembra sempre che stiano per morire, gli dico.
Ti piacciono le persone che stanno per morire?, mi fa lui.
Non lo so, gli dico, non ho mai visto una persona che sta per morire. Però ho visto una persona che prega, e sembra sempre l’ultima cosa che sta per fare nella vita.
Quindi la domenica vai a messa?, mi fa.
No, gli dico. Ho smesso di andare a messa quando avevo tredici anni. Andavo in una chiesa lontana da casa mia. Ogni domenica mattina prendevo la circolare e andavo apposta in questa chiesa che sta in centro. Detto fra noi, la chiesa era veramente brutta. L’unica cosa carina era il marmo rosso utilizzato per alcuni pilastri. Vabbe’. Ci andavo solo perché nel coro c’era una ragazza che mi piaceva. Poi lei si è messa con uno, un boy scout di quella parrocchia. E allora ho smesso di andarci.
Però la domenica potresti vedere tante persone che pregano, mi fa.
È proprio questo il problema, gli dico. Non mi piace vedere tante persone che pregano, tipo la domenica a messa, perché tutte quelle persone, insieme, che pregano, mi sembra si divertano. E allora non mi piace. A me piace entrare in una chiesa e vedere due, tre persone che pregano. Solitamente sono anziani. Si mettono lì, da soli, in silenzio, e pregano, con gli occhi chiusi. Quello mi piace. E allora mi fermo pure io, e mi metto pure io come loro, in ginocchio. Ogni tanto mi metto proprio accanto a una di queste persone, per guardarla bene, da vicino. Mi piacciono le loro palpebre chiuse, mi piace il modo in cui tengono chiusa la bocca. Al massimo qualcuno bisbiglia, ma pianissimo. E allora mi chiedo, e questa è una cosa che mi sono chiesto sempre, anche da piccolo, quando andavo a messa con i miei genitori, mi chiedo cosa stanno pensando, quale preghiera stanno recitando. Se stanno recitando una preghiera, di quelle conosciute, e se no quali parole stanno ripetendo in mente, quali frasi, cosa stanno chiedendo a Dio, se è Dio, e se no a Gesù, o alla Madonna, o al Santo al quale sono devoti.
Mi affianco e cerco di capirlo. Cerco di entrare nel loro silenzio, fatto di invocazioni, e di pensieri che io immagino sempre gravissimi.
Certo, avvicinarli è un rischio, perché c’è il pericolo di sembrare inopportuno, e di violare il loro segreto raccoglimento, e questo io non lo voglio, perché poi loro aprono gli occhi e tutto finisce, o perché anche se non aprono gli occhi, sentono che c’è qualcuno vicino a loro e quindi cominciano a stare zitti anche nel loro silenzio, si vergognano, e diventano soltanto delle persone che stanno zitte, con gli occhi chiusi. Una volta mi è capitato.

Ero accanto a una signora anziana, e lei era bellissima. Stava in ginocchio, lei, tutta piccolina, rannicchiata, con i gomiti sullo schienale della panca davanti e la fronte poggiata sulle mani congiunte. Gli occhi non erano solo chiusi. Erano stretti, come se la signora si sforzasse a tenerli chiusi, come se spingesse per serrarli ancora di più. E la fronte non era poggiata. La fronte era proprio morta, su quelle mani congiunte.
Vabbe’. Io non ce la feci. Nella chiesa c’erano in tutto cinque persone. Io non ce la feci a resistere, e mi inginocchiai accanto a quella signora. Mi appoggiai piano piano, senza far scricchiolare nulla. Mi inginocchiai, chiusi gli occhi, e cominciai a pregare, cercando con il mio silenzio di entrare nel suo, che sicuramente era un silenzio pesantissimo, grave. Era la donna che più stava sul punto di morire di tutto il mondo. Era bellissima. Avrei pregato inginocchiandomi di fronte a lei. A un certo punto mi ero talmente innamorato di questa signora che aprii appena appena gli occhi, per spiarla, e dopo un secondo lei si sentì osservata, evidentemente, e quindi aprì gli occhi anche lei e mi scoprì. Mi sorrise, e poi richiuse gli occhi. Ma ormai tutto era finito. Lei non stava più per morire. Infatti dopo un minuto si fece il segno della croce e andò via.
Volevo schiaffeggiarmi da solo per quanto mi sentivo in colpa. Ero stato uno stupido. Quella notte mi ricordo che non riuscii neanche a dormire.

E tu che cosa preghi, se non credi in Dio, mi fa.
Ripeto le preghiere che mi ricordo, gli dico. È più un esercizio mnemonico che altro. E poi, dopo un po’ che sto lì a ripetere le preghiere, mi viene in mente un’immagine, ricorrente. Come un sogno, però non è un sogno, perché non dormo mica. Ho gli occhi chiusi, ma mica dormo. Non mi è mai capitato di addormentarmi in chiesa. Vabbe’. Comunque mentre prego, con gli occhi chiusi, mi viene sempre in mente questa cosa, questo chiamiamolo comunque sogno, giusto per capirci. C’è una persona che cammina, una persona che forse sono io, non si capisce bene. Si vedono molto i piedi, le scarpe, ma poco la faccia. Forse sono io. Ma più che altro, forse, quella persona vorrei essere io, ecco. Questo tizio cammina, da solo, su un sentiero sterrato, in mezzo a un bosco, mi pare. Fa molto freddo. Si sente il rumore pesante dei passi, si sente il rumore delle foglie secche e umide che crocchiano sotto le scarpe. Ogni tanto si vede il vapore del respiro. E poi la scena cambia. Si vede una chiesetta piccola, tipo una chiesa rupestre. È una chiesa abbandonata. Sui muri gli intonaci e i dipinti sono graffiati, rovinati, quasi spariti del tutto. A terra ci sono blocchi di pietra, come se fossero caduti dal tetto. Negli angoli, le erbacce di una vegetazione spontanea. Tutto è pericolante. Ci sono due absidi. In una, quella più piccola, si vede ancora l’altare, ed è molto semplice, spoglio. Deformato. C’è poca luce, e si sente odore di chiuso e di umido.
Ogni volta che ci ripenso a questa chiesa abbandonata, io ho l’impressione di averla vista veramente. È che non ricordo mai dove, però l’ho vista.
Puoi pensarci adesso, mi fa lui, prova a ripensare a quella chiesa abbandonata, magari ti ricordi dov’è, mi fa lui.
No, gli dico, è impossibile. Non ci riesco. Quella dell’uomo che cammina su quel sentiero, e poi di quella chiesa abbandonata, è un’immagine che mi viene in mente soltanto quando prego. A pensarci così, ora, non mi verrebbe in mente nulla. Sì, qualcosa, ma non è come starci dentro. Come un sogno. Puoi ricordarti un sogno, ma non ci stai dentro, e non è la stessa cosa. Capisci?
Certo, mi fa lui, è la preghiera. È così.
Mi piacerebbe ricordarmi dov’è quella chiesetta, gli dico, perché anche nei miei ricordi è bellissima. Forse è la chiesa più bella che abbia mai visto. Mi piacerebbe tornarci. Ne ho viste di chiese, eh, e anche di chiese sconsacrate, come quella dei miei ricordi. Una stava anche nella mia città. Adesso non è più sconsacrata, l’hanno riaperta. Quando era chiusa, ogni tanto, ci passavo. La facciata è molto affascinante. La chiesa non è un granché, anche se è molto antica, se non sbaglio è tipo del milleseicento, ma sulla facciata ci sono raffigurazioni di teschi e di ossa umane. Mai vista una cosa del genere. Vabbe’. Ma la chiesa che mi viene in mente quando prego è di un altro cielo. È un posto diroccato, abbandonato al mondo, come un cane randagio. È un posto di cui tutti sembrano essersi dimenticati. È una chiesa bellissima. Più bella delle cattedrali più belle. Comincio a pensare che non la troverò mai più.
Fede, mi fa lui, bisogna avere fede. E poi puoi sempre rivederla nelle tue preghiere, mi fa.
Te l’ho detto, gli dico, io non ho fede, non credo più in Dio, o non ci credo ancora.
In realtà non glielo dico. In realtà rimango in silenzio, e una stilla di delusione mi basta a pensare che ora voglio andare via. Perché anche lui non mi capisce, anche lui non mi ascolta.
Vabbe’, devo andare via, gli dico, la mia ragazza sta fuori, mi sta aspettando.
Va bene, mi fa lui, allora io ti assolvo da ogni tuo peccato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Adesso recita un Padre Nostro e due Ave…
No, padre, gli dico, non c’è bisogno. Grazie.

Esco dal confessionale, e mi avvio all’uscita dalla navata laterale. È una chiesa bellissima. Ci sono non so quanti dipinti ai muri, un dipinto per ogni evento importante dei Vangeli. Ci sono lampadari che scendono appesi al muro con catenine laccate in oro. Ci sono i candelabri a muro in bronzo, e due cantorìe vicino, una per ogni navata, dove un tempo, nella liturgia antica, c’era il coro che cantava accompagnato dall’organo. Nessuno più utilizza ormai le cantorìe. È un vero peccato.
Tra i banchi ci sono alcune persone, non poche, non tante. Nessuno mi sembra sia sul punto di morire.
Dall’ingresso della navata opposta alla mia entra un vecchio. Cammina appoggiandosi a un bastone. Io sono quasi arrivato all’uscita. Allungo la mano alla porta, quando sento il rumore di un bastone che cade a terra. Il rumore si riverbera per tutto lo spazio, rimbalza sui muri, lanciato all’altare arriva al tetto, scende ed esplode fra i banchi diffratto dal pavimento, termina in un fiato che fa scivolare le fiammelle delle candele votive.
Il bastone cade.
Il bastone cade ripetutamente nell’eco.