Per gentile concessione di Adelphi edizioni, CrapulaClub è lieta di ospitare Rottami, Interferenze, « Fringe », postfazione di Roberto Francavilla a Clarice Lispector, Un soffio di vita, Adelphi, aprile 2019.

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La complessità di questa tormentata rapsodia clariciana provoca rovelli ermeneutici la cui verifica esula da questa sede. Tuttavia, per provare a illuminare i luoghi del testo contaminati da una creatività linguisticamente sovversiva e dove si rasenta perfino il torbido limbo dell’illeggibilità, il traduttore sente il dovere di compilare un breve avviso ai naviganti con cui illudersi di scampare al naufragio. Avviso, in realtà, i cui dati essenziali sono forniti dalla stessa Clarice, divinità demiurga consapevole del suo progetto fino al più allucinato ritaglio del suo delirio. Fino all’ultima « fringia », come direbbe lei, inventando di sana pianta una parola.
Il disegno si evince già dalle dichiarazioni programmatiche affidate alle epigrafi – « La gioia assurda per eccellenza è la creazione » (Nietzsche) – oltre che al personale esergo: « Voglio scrivere movimento puro ». Clarice capta le « inopinate interferenze » del mondo esterno, che sono « come l’elettricità statica quando interferisce e incrocia la musica alla radio », con il risultato di interrompere, di tanto in tanto, il flusso già di per sé labile della tessitura logica e al contempo torrenziale del testo. Un testo, peraltro, decostruito in partenza (« un libro che sembrerà composto di detriti di libro »), che non ha per obiettivo una redazione coerente bensì il definitivo esorcismo dell’indicibile, quella piega fra contingenze ed evocazioni, fra sensualità materica e inesorabile caduta nell’abisso della morte incombente. Quando, nel 1977, scrive gli ultimi frammenti di Un soffio di vita – riordinati solo postumi dall’amica Olga Borelli –, a Clarice è già stato diagnosticato un cancro che, quello stesso anno, le sarà fatale. La morte, d’altronde, pervade il testo: « Ho una gran voglia di essere dozzinale e un po’ banale e dire: la speranza è l’ultima a morire ».
Le affermazioni della scrittrice brasiliana intorno alla parola (« deiezione del pensiero ») sono assai precise, una mappa di poche e chiare coordinate con cui informa di voler « scrivere a ritmo arpeggiato e agreste i rottami della parola ». Le parole di Un soffio di vita sono « resti della demolizione di un’anima, sono tagli laterali di una realtà che mi sfugge ». E ancora: « Tutto ciò che so senza saperlo veramente non ha sinonimi nel mondo del linguaggio ma mi arricchisce e mi giustifica. Anche se la parola l’ho perduta per aver tentato di pronunciarla ». È così che Clarice eccede con sistematico zelo le forme di una scrittura canonica, alterando le basi del modello linguistico in un atteggiamento inventivo e sperimentale; gli esiti corrono il rischio di essere qualificati come scadimenti o addirittura errori: sovvertimenti di natura sintattica quantomeno acrobatici; abuso della paratassi; implosione di ogni possibile linearità discorsiva. Una prosa che si abbandona in modo quasi euforico al nonsenso, che ricorre a termini pseudo-filosofici (« l’immanescenza del sacro Nulla »), e non esita a soddisfare il bisogno quasi fisico di parola, deformandola e, nel caso, inventandola.
Nella traduzione dei neologismi si è cercato di adottare soluzioni plausibili. Un’indagine obliqua da parte del traduttore, con largo spazio concesso alle suggestioni fonetiche (considerata soprattutto la comune radice del portoghese e dell’italiano), ha permesso di mantenere, per esempio, « estrogina », « durobila », « pietrale ». Clarice conia vocaboli a seconda delle proprie esigenze e in totale libertà, non per deliberata avversità al purismo o per attentare alla norma, bensì allo scopo di reiterare il senso di sfida e di conquista nei confronti della lingua portoghese – il portoghese del Brasile appreso da una bambina ebrea in fuga dai pogrom, arrivata dall’Ucraina nello Stato del Pernambuco nel 1922, all’età di due anni: « Ti ho cercata sul dizionario e non ho trovato il tuo significato. Dov’è il tuo sinonimo nel mondo| Dov’è il mio sinonimo nella vita| Sono asimmetrico ».
Forse Un soffio di vita è un testo per iniziati. Forse chi non lo è dovrebbe seguire l’invito di Clarice a tenere le distanze: « Se mai questo libro verrà pubblicato, che i profani ne stiano alla larga. Giacché scrivere è cosa sacra a cui gli infedeli non hanno accesso ». Che gli infedeli attratti dai labirinti della letteratura e della lingua sappiano, dunque, che Clarice cerca le parole dentro di sé quando non le trova sul dizionario, quando è angosciata dall’insufficienza del linguaggio. Vengono in mente i versi di un grande poeta amico, Carlos Drummond de Andrade: « Non voglio più dizionari / consultati invano. / Voglio solo la parola / che mai vi si troverà / né si può inventare. / Che riassumerebbe il mondo / e lo sostituirebbe ».

(C) 2019 Adelphi Edizioni S.p.A.

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Clarice Lispector
Un soffio di vita
Traduzione di Roberto Francavilla
Adelphi 2019, pp.193