Ogni volta che due persone si incontrano e stabiliscono una relazione si tratta di vedere chi domina l’altro. La gente non ha imparato ad amare. Il prerequisito per poter amare senza dominare l’altro è che il tuo corpo impari, dal momento in cui abbandona il ventre della madre, che può morire.
(Reiner Werner Fassbinder[1])

Mentre leggevo La porta di Magda Szabó ho subito pensato che questo romanzo sarebbe potuto essere il pane ideale per le devastanti fauci emotive e artistiche di Reiner Werner Fassbinder; e in quest’ottica ho continuato a leggerlo, ovvero facendo continui paralleli con La legge del più forte, Effi Briest, Veronika Voss, e, soprattutto, Le lacrime amare di Petra von Kant e Gocce d’acqua su pietre roventi.
Ovviamente la riduzione da me fantasticata non è mai stata possibile, perché Fassbinder è morto nel 1982, e La porta è stato pubblicato in Ungheria cinque anni dopo. Tuttavia, la parentela di visione dei rapporti umani e sociali è tale da far quasi spavento, e fomentare quella corrente di pensiero vagamente new age che vede la sensibilità artistica come una corrente che passa di corpo in corpo e di mente in mente, adattandosi certo al carattere di colui (o colei) che la capta e poi la coltiva, ma rimanendo comunque in circolo, aspettando di essere presa e sviluppata.

L’uomo è educato in modo tale che ha bisogno d’amore in qualsiasi situazione. Ma non c’è nulla nella sua educazione che impedisca a chi è più forte in amore di sfruttare l’amore del più debole. In altre parole, è più facile farsi amare che amare.
(Reiner Werner Fassbinder)

La relazione che intercorre tra Magda, protagonista del romanzo, e la sua donna di servizio Emerenc, da rapporto lavorativo si evolve (o involve?) in un qualcosa di totalizzante, morboso, distruttivo e incomprensibile. A differenza di quanto accade nelle storie di Fassbinder, nell’opera della Szabó le dinamiche non sono molto chiare[2] e i ruoli si rivelano intercambiabili e ingannevoli. Certo, il marito di Magda dà una mano a tirare le somme affermando che “i morti vincono sempre. Solo i vivi perdono” (p. 257), ma il legame tra le due protagoniste, e l’idea stessa che esso ci sia stato e ci sia, rimette in gioco ogni conclusione, e, immaginiamo, la rimetterà in gioco vita natural durante.
Sia Magda che Emerenc sono persone che interiorizzano tutto; Magda filtra ogni cosa a livello emotivo e cerebrale, Emerenc assorbe tutto nel suo corpo. E il sospetto è che l’incomprensione tra le due (e il reciproco rifiuto, che cresce assieme alla reciproca dipendenza) ingeneri proprio da questa radicale differenza di approccio. La mente di Magda è speculativa e analitica (nonché morbosa) esattamente quanto il corpo di Emerenc è capace di assorbire storia e politica e cultura, sviluppando un suo proprio codice, dei suoi propri valori, che vorrebbe trasmettere ma che può solamente vivere.
C’è un che di selvaggiamente nietzschiano in Emerenc, di muscolare più che emotivo, un qualcosa che la porta a sfuggire qualsiasi catalogazione comunemente riconosciuta; e Magda questo lo intuisce, ma non ha abbastanza forza da accettarlo. Di conseguenza, il rapporto tirannico che si instaura tra le due deve la sua ambiguità (e il suo fascino) proprio all’impossibilità di decidere chi tra le due sia più forte, perché anche la debolezza ha un suo potere.

Fassbinder ci dice che non esiste l’amore, esiste solo la possibilità dell’amore; e molti commentatori si sono soffermati sulla prima parte snobbando la seconda, che invece, nel suo essere sibillina, non solo è centralissima all’interno della poetica del regista, ma è riconoscibile in tutta una narrativa che scava nel conflitto amoroso (o, in senso più ampio, sentimentale) per trovarvi altro.
Nello specifico caso de La porta, la possibilità di un rapporto materno/filiale tra Magda ed Emerenc è data dal riconoscere le reciproche peculiarità, mentre l’impossibilità dello stesso nasce dall’incomprensione di quelle stesse peculiarità: il corpo storico (e politico, e forse anche economico) di Emerenc disprezza la mente creativa di Magda e la giudica sciocca, mentre l’altra, a sua volta, trova limitata e limitante la mera fisicità della sua domestica.

Non esiste gente cattiva per natura. L’uomo in sé è buono, certamente. È tutto un problema di condizionamento. Potete dire come Rousseau che è la società che lo ha reso cattivo.
(Reiner Werner Fassbinder)

Il fatto è che Magda ed Emerenc faticano a riconoscersi come persone, come individui. La possibilità dell’amore è annientata dal diverso contesto sociale che le ha formate come donne e viziate nella loro percezione dell’altra (e degli altri), tagliando le gambe all’empatia verso l’altra. E se Magda riesce in qualche modo a supplire questa carenza con l’immaginazione, anche se solo a posteriori, Emerenc non può far altro che imporre la sua fisicità per non soccombere alla debolezza dell’altra.

Ciò che non siamo in grado di cambiare, dobbiamo almeno descriverlo.
(Reiner Werner Fassbinder)

A differenza delle opere di Fassbinder, che credeva nell’utopia e per il quale la visione politica era permeante, ne La porta questa stessa visione politica (corpo politico e mente politica) sembra essere interpretata come costrittiva e inibente; la porta è anche soglia, un accesso verso se stessi, e confine, un terreno neutro tra un dentro e un fuori. Un posto dove si possono valutare tutte le possibilità di un amore.

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Magda Szabó
La porta (1987)
Trad. it Bruno Ventavoli
Torino, Einaudi, 2005
pp. 247


[1] Tutte le citazioni di Fassbinder qui riportate sono tratte da interviste e pressbook riprodotte su brochure e materiale di approfondimento reperito in manifestazioni e retrospettive più o meno amatoriali. Per farvi un’idea più organica del pensiero e della poetica di Reiner Werner Fassbinder, un ottimo punto di partenza è la raccolta di articoli e brevi saggi fassbinderiani I film liberano la testa, edita da Ubulibri; per quel che riguarda il materiale critico la bibliografia è pressoché infinita, almeno per il curioso di buona volontà. Da parte mia, ho in canna il Pasolini e Fassbinder di Mauro Ponzi edito da Nuova Cultura e Un giorno è un anno è una vita di Jurgen Trimborn pubblicato da Il Saggiatore.

[2] Tutto ciò che riguarda le donne si spiega in maniera più semplice. Gli uomini, per lo più, si comportano come se la società li aspettasse. Le donne nuotano veramente contro le regole. Conseguentemente sono trasparenti. Gli uomini recitano sempre una parte, dice Fassbinder. Applicare tale concetto alle due protagoniste de La porta è essere indicativo ma superficiale. Da donna, inoltre, non so se sono completamente d’accordo con questa affermazione del regista tedesco: mi sembra un’idealizzazione, oltretutto portata avanti da un’intellettuale decisamente non allineato che vedeva e rappresentava il corpo come campo politico, economico e sociale (un po’ come de Sade, ma ritengo Fassbinder molto più acuto ed efficace del filosofo francese). Certo, il costrutto sociale è stato messo su da una mano prevalentemente maschile per una fruizione prevalentemente maschile, ma da qui a dire che le donne nuotano veramente contro le regole ce ne corre; anzi, molto spesso idee maschiliste sono portate avanti e difese proprio da donne. D’altra parte, occorre tener presente la tendenza a esasperare tipica di Fassbinder, funzionale quando si parla di metafore politico-sociali (il film Martha è un esempio lampante in tal senso) ma eccessiva al di fuori di questo.