Ritratto di Otone, preparazione del delitto e morte di Galba.

21. Intanto eccitavano Otone, che non riponeva nessuna speranza nelle situazioni ben concertate, per il quale ogni decisione finiva nel disordine, molte cose insieme, anche una lussuria penosa per un imperatore, e una povertà a mala pena tollerabile da un cittadino, l’ira verso Galba, l’invidia verso Pisone; fingeva di avere paura perché potesse bramare ancora di più: diceva che era stato insopportabile a Nerone, e che non era necessario aspettare di nuovo la Lusitania e l’onore di un altro esilio. – È sempre sospetto e inviso a chi detiene il potere chi è destinato a succedergli. Ciò aveva nociuto al vecchio imperatore, e ancora più avrebbe nociuto al giovane feroce di pensiero e inasprito dal lungo esilio: insomma, Otone poteva essere ucciso. – Quindi bisognava agire e osare, mentre l’autorità di Galba era instabile, e quella di Pisone non si era ancora radicata. Diceva che i cambiamenti di potere sono opportuni a grandi slanci, e non l’opera compiuta con esitazione, quando l’attesa è più dannosa della temerità. Che la morte, identica per tutti secondo natura, presso i posteri si distingue per l’oblio o per la gloria; e se una stessa fine è destinata al colpevole e all’innocente, appartiene all’uomo più temerario di morire con valore.

22. Il carattere di Otone non era debole e simile al corpo. E i più intimi dei liberti e dei servi, considerati in modo più corrotto che in una casa privata, gli ricordavano con acredine la corte di Nerone e il lusso, gli adulteri, i matrimoni e gli altri piaceri degli imperatori con avidità di tali cose, mostrandoli come suoi, se osasse, come di altri se restasse neutrale, poiché anche gli astrologi lo incalzavano – genere di uomini infidi con i potenti, falso con chi spera, che nella nostra città sarà sempre interdetto e sempre si conserverà – fino ad affermare tramite l’osservazione delle stelle nuovi rivolgimenti politici e un luminoso anno per Otone. Le stanze private di Poppea avevano ospitato molti astrologi, pessimo strumento del matrimonio imperiale: Tolomeo tra questi, compagno di Otone in Spagna, avendogli promesso che sarebbe sopravvissuto a Nerone, e dopo che aveva ottenuto fiducia per il compiersi della previsione, allora grazie alla congettura e al chiacchiericcio di chi confrontava la vecchiaia di Galba e la gioventù di Otone, lo aveva persuaso che sarebbe stato chiamato al potere. Ma Otone interpretava le previsioni come conoscenza vera e avvertimento dei fati, per il desiderio dell’intelletto umano di credere con vivo piacere in cose oscure. E Tolomeo non cedeva, istigatore ormai anche del delitto, verso il quale è molto più facile dirigere la mente già mossa da un tale desiderio.

23. Ma è incerto se l’idea del delitto fosse recente: aveva cercato di ottenere la devozione dei soldati già da tempo nella speranza della successione o in preparazione del delitto, in viaggio, in marcia, negli accampamenti chiamando per nome ogni veterano e in ricordo della militanza sotto Nerone chiamandoli compagni; alcuni li conosceva, di qualcun’altro si informava e lo aiutava con denaro o una grazia, insinuando più spesso lamentele e discorsi ambigui su Galba, e qualsiasi altra cosa che eccita la folla. […]

25. E per di più allora tra i liberti scelse Onomasto come capo per l’imminente delitto, dal quale furono condotti Barbio Proculo tesserario delle guardie e l’aiutante Veturio dello stesso corpo di guardie, dopo che aveva constatato con un discorso ambiguo che fossero astuti e audaci, li aveva colmati con una ricompensa e promesse, e una somma di denaro concessa per saggiare gli animi di molti. Due manipolari si incaricarono di trasferire il potere del popolo romano e ci riuscirono. Pochi furono messi a conoscenza del delitto[…].

27. Alle Calende di Febbraio l’aruspice Umbricio predisse a Galba, che sacrificava accanto al tempio di Apollo, viscere tristi e insidie imminenti e il nemico in casa, intanto che Otone ascoltava (infatti si era fermato lì vicino) e interpretava al contrario come un responso felice e favorevole ai suoi piani. E non molto dopo il liberto Onomasto gli annunciò che era atteso dall’architetto e dagli appaltatori, fatto che era stato convenuto come segnale dei soldati già riuniti e della congiura pronta.

29. Intanto Galba all’oscuro e intento ai sacrifici importunava gli dei per un impero ormai di un altro […].

32. Già tutta la plebe riempiva il Palatino, con gli schiavi riuniti e con grande clamore di chi chiedeva l’uccisione di Otone e la morte dei congiurati, come se chiedessero uno spettacolo al circo o in teatro: e non aveva capacità di giudizio e lealtà, poiché nello stesso giorno e con identico accanimento avrebbe chiesto l’opposto, anzi secondo la morale tradita di adulare qualsiasi principe con libertà di prosternazione e inutile impegno […].

36. […] E Otone non mancava, protendendo le mani, di adorare il volgo, mandare baci, e compiere ogni gesto in modo servile per il dominio […].

40. Galba era condotto qua e là sotto la spinta varia della folla fluttuante, basiliche e templi riempiti da ogni lato, un lugubre spettacolo. E non strepito da parte del popolo e della plebe, ma volti attoniti e orecchie volte ad altre circostanze; non tumulto, non quiete, ma silenzio, quale si addice alla grande paura e alla grande ira. Tuttavia si annunciava a Otone che la plebe si armava; ordinò quindi di affrettarsi e prevenire i pericoli. Così i soldati romani, come se dovessero scacciare Volgere e Pacoro dall’avito trono degli Arsacidi e non desiderassero trucidare il loro imperatore inerme e vecchio, scompigliata la plebe, disprezzato il senato, terribili per le armi, rapidi sui cavalli irrompono nel foro. E la vista del Campidoglio e il rispetto dei templi vicini e i vecchi e i futuri principi non gli impedirono di commettere un delitto, di cui si sarebbe vendicato chiunque gli fosse succeduto.

41. Vista da vicino la colonna di soldati, il vessillario della coorte che accompagnava Galba (si tramanda che fosse Attilio Vergilione) abbatté la statua divelta di Galba: con quel segno fu manifesta a Otone la devozione di tutti i soldati, il foro deserto per la fuga del popolo, le armi sguainate contro chi esitava. Vicino al lago di Curzio per l’agitazione di chi lo portava Galba fu sbalzato dalla sella e travolto. Tramandarono le sue ultime parole in vario modo, che ognuno dimostrò odio o ammirazione. Alcuni dicono che come supplice abbia chiesto perché avesse meritato quel male, implorando pochi giorni per devolvere il donativo [ai soldati, ndt]: i più dicono che abbia offerto spontaneamente la gola agli assassini: agissero e colpissero, se così sembrava utile allo stato. A chi lo uccise non importò che cosa dicesse. Dell’assassino non si conosce abbastanza: alcuni dicono un tale chiamato Terenzio, altri Lecanio; la voce più frequente tramandò che Camurio, soldato della quindicesima legione, gli trapassò la gola con il gladio premuto contro. Altri dilaniarono orribilmente le gambe e le braccia (poiché il petto era protetto); e moltissime ferite furono inferte con crudeltà e ferocia a un tronco che fu parte di un corpo.

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