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“Quante volte in un giorno pensi alla morte?” Domandò l’uomo rassegnato.
La donna, cui era rivolta la questione, sedeva al tavolo, e guardava fuori il cielo annuvolato. Storse il labbro inferiore, non appena sentì la domanda e non rispose.
L’uomo rassegnato la incalzò, gli occhi fissarono le mani intrecciate sul tavolo. Non uno sguardo, nessuna intesa! L’uomo disse: “Io non ci penso abbastanza! Eppure – non lo credi anche tu? – dovremmo ritornare a riflettere sulla fine, per non temerla, per scongiurarla finché è possibile.” Con voce flebile, ma che voleva ingannare, aggiunse: “Sono stanco!”
La donna, il cui nome era Giselda, insisteva nel suo silenzio. Taciturna si alzò dalla sedia, scostandosi dal tavolo senza fare rumore. Mosse qualche passo verso il balcone, sospirando.
“Un giorno – prese a dire, dopo una lunga pausa e fumando una sigaretta – un uomo venne alla mia porta. Bussava con veemenza sul vetro, tanto che temevo si spaccasse. Era bello, come a volte avevo immaginato gli uomini antichi: spalle grosse, capelli corti, mani nodose. Se anche la sua voce fosse stata cavernosa, non avrei potuto resistere. Così fu! Quell’uomo voleva aiuto. Era disperato, ma per pudore non gli chiesi mai per quale motivo lo fosse, e non ne ho rimorso. Gli dissi, senza esitazione, che avrei potuto ospitarlo in casa, che avrebbe potuto trattenersi per tutto il tempo che riteneva necessario. L’uomo acconsentì. Io gioivo al fatto di potermi finalmente occupare di qualcuno. Gli preparai una bevanda calda, perché fuori c’era l’inverno e, suppongo, anche dentro le sue ossa s’era annidiato. Al contrario, ero piena di fuoco, avvampavo ed ero pronta a donare la mia fiamma.” Giselda s’interruppe per qualche istante, guardava ancora fuori dal balcone, il cielo assediato da nuvole grigio-nere. Sospirò ancora, poi continuò la sua storia: “La vita, allora, valeva i giorni che vivevo, nient’altro volevo se non prepararmi a donare ciò che era in mio possesso: questo corpo e questa mente. Quando l’uomo finì di bere dalla tazza fumante, alzò gli occhi su di me. ‘Non so come ringraziarti’ mi disse calmo. ‘Non devi’ gli risposi ‘ pensa piuttosto a come riuscirai ad amarmi, a proteggermi’. Con quale coraggio o forse è più giusto dire avventatezza pronunciai quelle parole! E inoltre ad uno sconosciuto. L’uomo, però, sorrise non sembrando affatto spaventato o turbato dalla mia dichiarazione. Annuì due volte con la testa. A volte penso che sia stato solo un atto di riconoscenza l’avere accettato senza ribattere o chiedere spiegazioni. L’entusiasmo, lo chiamano, quel fuoco che brucia ogni cosa, ma dura così poco che quasi non si ricorda il motivo dell’incendio. Solo dopo, in coscienza, mi accorsi del vuoto, del baratro insondabile da cui quell’uomo proveniva e dove sarei stata trascinata. Ma il coraggio di essere giovane e di volere ardentemente qualcosa non mi fece pensare ad altro, ero convinta che avrei potuto tirarlo fuori da là sotto. Non avrei voluto sacrificarmi – non l’ho fatto, anche se apparentemente potrebbe sembrare così – ma qualcosa m’è costato tutto questo tempo, tempo solo per pensare. Io non sono fatta per chiedere o attendere, ma per consigliare. Infatti, non mi sono lasciata incrinare da quel momento di sfasamento, dettato più dalla giovinezza che da altro, ma quando si è giovani non si capisce che cosa questo voglia dire precisamente. Fu un momento di sfasamento, certo, eppure – sai bene – che oggi viviamo in questa sfasatura, in questo slittamento multidirezionale, mi pare di aver addirittura precorso i giorni. Intanto insistevo a dirgli di andare e tornare. Che io avrei atteso, anche non essendo predisposta. Che a nulla sarebbero valsi i suoi giorni di assenza, perché non chiedevo altro che mettermi alla prova. Non mi rispose. Scelse un silenzio ingiustificato ai miei occhi. La sua voce divenne di giorno in giorno un oracolo, parlava per accenni, ammesso che quei suoni, che io interpretavo con molta tenacia e altrettanta follia, fossero parole.” Qui si interruppe, Giselda. Qualcosa come una fitta improvvisa allo stomaco, gli tagliò il fiato. Si piegò su sé stessa. Era stato il ricordo. Si rimise dritta. E disse ancora all’uomo rassegnato: “Sì, come vedi, penso molto spesso alla morte.”
Quando tornò a voltarsi verso il tavolo, nella stanza non c’era più nessuno. L’uomo rassegnato se n’era andato. Aveva portato la sua rassegnazione a qualcun altro, cui chiedere quanto spesso pensasse alla morte. Eppure non un accenno di tristezza, ma un sorriso beffardo si scolpì sul volto di Giselda. Il pensiero che quell’uomo avesse ancora sbagliato l’occasione, la faceva ridere. Il sorriso divenne una risata caotica. Si piegò sulle gambe, tossì diverse volte, infine tirò un respirò profondo.
Si rialzò, per sedersi di fronte alla sedia ora vuota, ma dove prima sedeva l’uomo rassegnato. Finalmente se n’era andato.