La casa di Christian era una spigolosa villetta a due piani con un rettangolo di giardino, uno dei tanti piccoli edifici unifamiliari costruiti in periferia negli anni Settanta, scatolette in muratura nate per accogliere, e presto spegnere, modesti sogni di evasione urbana. Dal retro della casa, senza finestre e foderato di eternit, si poteva ammirare il panorama migliore: la parte ancora verde della valle, fitti boschi di castagno e prati sfrangiati da uliveti.
Nelle ventose notti invernali le fronde degli alberi ondeggiavano violentemente, frustandosi a vicenda. Quando sua madre dormiva, Chris sgattaiolava spesso fuori, sotto la tettoia dell’ingresso. Restava in piedi, ascoltando il sibilo del vento misto al fruscio del bosco e immaginando il terribile sforzo di quelle radici, avvinghiate al sottosuolo per impedire agli alberi di volare via.
Stava lì anche quella notte ma non era il momento di contemplare la natura e i suoi eventi, perché la mamma era morta, da appena un’ora. E Chris, per la prima volta in vent’anni di vita, in mezzo al trambusto e al via vai di gente in casa, era davvero solo.

«Pronto? Dottor Rozzi, la mamma è morta».
(…)
«Sì, sono Christian, il figlio dell’Assunta».
(…)
«Cosa? Sì, sono sicuro, non respira».
(…)
«Eh? Come?»
(…)
«Ah, sì. È caduta giù dalle scale e ha picchiato di testa. Bam!»

Non ricordò molto di quella conversazione telefonica, non ricordò neppure di essere uscito fuori, dopo, non pensando a niente.
In meno di mezz’ora si era già radunata in casa una piccola folla. Alcuni per esercitarsi nella difficile arte del buon vicinato, altri per un cenno di vita, altri ancora per un’inaspettata ventata di trascendenza. Ma, nonostante il brusio delle comari, il dottore, il prete e quelli delle pompe funebri, lui restava fuori, a tormentarsi di domande e a sperimentare quella strana e per lui nuova condizione: la solitudine. Chi sono io? Cosa sono io? Non lo so mica, io. Solo mia madre sembrava saperlo molto bene.
Chris era nato e cresciuto in quella casa, con la mamma. Niente papà. Era morto prima che lui nascesse o almeno quella era la versione ufficiale. Conobbe la verità in seguito, spiando il chiacchiericcio delle sue vicine, la Lisa e la Luisa, le gemelle Gore.

«È scappato senza sposarla, quello. Il moccioso non poteva scegliere un momento peggiore per nascere. Comunque una donna insopportabile, la Assunta».

Le Gore erano la favola del vicinato. Sui quarant’anni, erano conosciute per le loro stramberie, come portarsi a casa un uomo per goderne entrambe o prendere il sole nude in giardino, un angolo chiuso tra la siepe e lo steccato di legno. Sin dall’adolescenza, Chris era solito spiarle attraverso una fessura verticale dello steccato, ignaro di essere a sua volta visto. Le due gemelle si divertivano a provocarlo con le loro nudità, mostrandogli triangoli di peli pubici e seni gonfi e mobili in cui il desiderio del ragazzo si abbandonava fino al deragliamento dei sensi. La Lisa e la Luisa lo guardavano crescere con la tranquilla serenità del contadino che osserva il suo frutteto maturare al sole di giugno. Un giovane maschio vergine, una bianca statua di marmo levigato da accarezzare senza mai stancarsi, Chris avrebbe potuto essere questo e altro per loro, e chissà, hai visto mai.
Donna Assunta era una fanatica religiosa dura, di quelle che l’apocalisse è domani e noi non abbiamo scampo. Gli ultimi vent’anni li aveva dedicati a scaricare sensi di colpa e nevrosi sul piccolo Chris, negandogli un ambiente normale, programmandogli una vita di preghiere, penitenze, visite a mesti santuari, rimproveri, punizioni e continui, implacabili richiami alla puntualità. In quella casa qualsiasi cosa ragionevole era a lui vietata, soprattutto parlare o chiedere notizie di suo papà.
Conviveva da sempre con lo spettro opaco di quel padre che pure esisteva, doveva essere da qualche parte nel mondo, non c’era mai stato per lui. Non solo, era terribile anche non sapergli dare un volto. Così, quando il piccolo vedeva scene di folla in TV, giocava col pensiero, immaginava di scorgerlo, si illudeva che anche lui lo guardasse.
L’assenza della figura paterna fu compensata da visioni di immagini sacre, cristi in croce e alzate di sopracciglia della madre. Per fortuna esisteva anche il giardino delle gemelle Gore, il luogo di nascita delle sue prime e sole leggende di sesso e libertà. In casa sua niente giocattoli pagani, soldatini o pistole di plastica, a parte le amate e inseparabili biglie di vetro. Il momento più eccitante lì dentro era la visita annuale del parroco per la benedizione, seguita dall’arrivo per posta del calendario di Padre Pio.
La scuola fece di lui un alieno, poi la curiosità dei compagni si trasformò in scherno. Il Biglia lo chiamavano, per quella sua mania di giocare ovunque con le palline di vetro, spesso dimenticandole in giro, guadagnandosi i rimbrotti della maestra.

«Così non si fa, Christian, mi hai capito? Può essere pericoloso! Mi ascolti? Sì, buonanotte».

Durante i compiti a casa, scriveva di nascosto piccoli pensieri di fuga e ribellione su foglietti che poi appallottolava, fasciandoli con la stagnola del cioccolato, convinto in questo modo di renderli invisibili alla curiosità e al controllo della mamma. Puntualmente scoperto, veniva punito per aver manifestato la sua inconsapevole natura libertaria. Abbandonato nelle vaste praterie dell’indifferenza, fu preservato dai mali del mondo, diventando presto una bomba innescata e pronta per esplodere in qualsiasi momento. Il vaglio spietato delle amicizie, soprattutto quelle femminili, il lavoro di pony express, umile e dignitoso ma soprattutto vicino a casa, tutto fu deciso dalla madre.

«Va bene, mamma. Scusa, mamma. Sì, torno in orario, mamma».

Questa situazione perdurò fino al mese prima, fino a Sandra, la nuova segretaria dell’ufficio spedizioni. Donna sola e, orrore, divorziata, Sandra senza volerlo aveva acceso in Chris un immenso amore maldestro, che trovò al solito pane per i suoi denti. Quando raccontò entusiasta a mamma di questo folle sentimento che e della volontà di dichiararsi a Sandra, lei agì come tutte le altre volte in passato, soprattutto durante l’adolescenza, quando le tempeste ormonali lo rendevano incline al peccato. Lo confinò in casa, nella sua stanza, chiuso a chiave. Motivazione ufficiale: esaurimento nervoso. Con il suo malumore risolto in una stizza perenne, mamma Assunta aveva sempre stroncato sul nascere ogni sana pulsione sessuale del ragazzo. Riusciva solo a dispensargli un minimo di pietà, sopportando in silenzio i gemiti soffocati dei suoi orgasmi solitari, che filtravano dalla porta chiusa della camera.
Ma stavolta per Chris fu diverso, il suo era amore vero, ne era certo, e quella prigionia era ingiusta e insopportabile. Lo aveva urlato forte, dalla prigione, quasi stupendosi del rimbombo della sua voce maschia e dei pugni sulla porta. Impressionata, quella notte sua madre non lo chiuse a chiave; ne avrebbero discusso con calma l’indomani, gli disse, convinta com’era di poterlo soggiogare.
Questo accadde quella sera, poche ore prima della disgrazia, prima che arrivasse la morte in casa.

«Entra in casa, Christian, fa freddo fuori!».
«Vieni a salutare mamma, è sul letto ora, sembra stia dormendo…».
«Poveretta, che disgrazia, cadere giù dalle scale e rompersi l’osso del collo».
«Ma davvero! Una donna così prudente e in gamba come lei!».
«Chissà, un malore, eppure stava bene».
«O forse è scivolata. Sì, sarà andata così».
«Dai, sali in camera, Christian. Lei ora è lassù, in cielo, insieme agli angeli».
«Ti guarda e ti aspetta, sai?».

Chris si avviò lungo l’atrio, imboccò le scale pensando alla mamma morta che forse l’aspettava davvero, lassù in cielo, seduta su una nuvola, come in quella pubblicità del caffè che aveva visto in televisione.
Eseguì quel moto ascensionale quasi in sogno, i piedi sui gradini si appoggiavano senza alcuna sensibilità, come anestetizzati. Sul pianerottolo scorse una piccola ma intensa luccicanza, proprio sotto il mobiletto scarpiera, agghindato con immagini sacre. Si chinò, infilò la mano sotto e raccolse una delle sue amate biglie di vetro – ecco cos’era –.
Nella confusione generale il suo gesto passò inosservato. Le gemelle Gore, in piedi sulla soglia della camera, sfoggiavano un sorriso malizioso. Poi il ragazzo si fece largo in corridoio, diretto al letto dove giaceva la salma. La vide, la mamma, sembrava un tronco contorto infilato dentro il vestito della festa, il rosario avvolto tra le dita, la faccia pallida. Notò un bastoncino fasciato con la garza, fissato proprio sotto il mento. Serviva probabilmente per tenerle la bocca chiusa. Conservava ancora quella sua tipica, perenne smorfia di disgusto che neppure la morte e l’estetista delle pompe funebri erano riuscite a cancellare.
Con gli occhi bassi, Christian rigirava in modo compulsivo le biglie che aveva in tasca.

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In copertina: foto di Carla Cerati.